Afghanistan: armare i droni italiani?
Dopo la polemica sui caccia quella sugli aerei senza pilota. Il Wall Street Journal ha pubblicato la notizia ieri: proprio nel giorno in cui, in Italia, si sono moltiplicati gli appelli per annullare la parata militare del 2 giugno.
Foto di newguernica.blogspot.com
Il Wall Street Journal ha pubblicato la notizia ieri: proprio nel giorno in cui, in Italia, si sono moltiplicati gli appelli per annullare la parata militare del 2 giugno. Inutile, costosa e soprattutto inappropriata, di fronte alle sofferenze della popolazione colpita dal terremoto in Emilia Romagna. Con i soldi risparmiati annullando la parata - ha scritto Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci! -, si potrebbero soccorrere oltre 5mila sfollati. Sulla richiesta proveniente da un’ampia fetta della società civile italiana, il governo per ora tace. Come fa sulla notizia resa pubblica dal giornale statunitense: “l’amministrazione Obama progetta di armare la flotta italiana di droni Reaper”. Per ora, i droni sono usati per compiti di sorveglianza, ricognizione e raccolta informazioni; se fossero dotati di missili Hellfire e di bombe a guida laser, l’Italia sarebbe il primo paese straniero a far volare droni americani armati di tutto punto. Il primo paese dopo l’Inghilterra: in virtù del ruolo di alleati speciali degli Stati Uniti, già nell’ottobre 2007 gli inglesi hanno cominciato a impiegare droni disarmati in Afghanistan, ottenendo poi che venissero armati alla fine del 2008.
Quanto all’Italia, secondo le notizie raccolte dal Wall Street Journal, l’amministrazione Obama avrebbe inviato già ad aprile al Congresso una nota con i dettagli sulla vendita all’Italia di 6 kit per armare i droni Reaper, “versione più potente”, e dunque potenzialmente più mortale, dei Predator (grazie al Multi-spectral Targeting System MTS-B e al Lynx IIE Synthetic Aperture Radar). Dei 6 droni Reaper, i primi due sarebbero stati impiegati nell’operazione Unified Protector in Libia, mentre gli altri 4 dovrebbe essere operativi alla fine del 2012.
Dal Congresso sarebbe potuta arrivare un parere negativo entro il 27 maggio. Il fatto che ciò non sia avvenuto lascia intendere l’intenzione di accordare un parere positivo all’operazione, forse già questa settimana. Dal punto di vista legale, a questo punto – nota il WSJ – servirebbe, entro 15 giorni, una risoluzione condivisa sia dalla Camera che dal Senato. Un’ipotesi improbabile. Secondo una delle portavoce del Pentagono, il comandante Wendy Snyder, “il trasferimento di strumenti e servizi della difesa americana all’Italia, tra gli altri alleati, le permetterebbe di condividere parte dei costi e di contribuire alle operazioni che proteggono non solo le truppe italiane ma anche quelle degli Stati Uniti e di altri partner della coalizione”. Nessun cenno, ovviamente, alle percentuali che segnalano una preoccupante crescita delle vittime civili negli attacchi “mirati” dal cielo. Servirà un anno – dichiarano gli esperti interpellati dal giornale americano – affinché i sistemi vengano perfezionati e gli italiani addestrati all’uso delle nuove armi.
Dall’ambasciata italiana a Kabul, nessun commento sulla contraddizione tra i piani di ritiro del soldati e la richiesta di potenziare le linee di fuoco.
A Washington, molti sono entusiasti. Soprattutto quanti lavorano nel settore degli armamenti: secondo le previsioni degli analisti del Teal group, il giro di affari mondiale per i droni Reaper e Predator arriverà fino a 5,8 miliardi di dollari nel 2017, contro i previsti 4,3 del prossimo anno. Non mancano, però, gli scettici: “la tecnologia americana all’avanguardia non dovrebbe essere condivisa, questa è la mia opinione – ha dichiarato la democratica che guida la Commissione Intelligence del Senato, Dianne Feinstein – sono preoccupata della possibile proliferazione di questi sistemi d’armi”. Il WSJ riporta le recenti preoccupazioni dello stesso John Brennan, consigliere antiterrorismo del presidente Obama: “siamo preoccupati che, usando tali tecnologie, vengano stabiliti dei precedenti che potrebbero essere seguiti da altre nazioni, e non tutte le nazioni condividono i nostri interessi o la priorità che accordiamo alla protezione della vita umana, inclusi i civili innocenti”. Dietro le parole di Brennan, la solita schizofrenia: accusare gli altri di ciò che gli Stati Uniti già fanno.
Che i droni portino inevitabilmente con sé anche vittime innocenti lo testimoniano le ultime stragi afghane, così come le voci raccolte nel bel libro curato da Shahzad Bashir e Robert D. Crews, Under the Drones: Modern Lives in the Afghanistan-Pakistan Borderlands (Harvard University Press 2012, 328 pagine). Un volume che racconta le difficoltà di vivere sotto la costante minaccia che qualcuno, dal cielo, possa ucciderti.
Quanto all’Italia, secondo le notizie raccolte dal Wall Street Journal, l’amministrazione Obama avrebbe inviato già ad aprile al Congresso una nota con i dettagli sulla vendita all’Italia di 6 kit per armare i droni Reaper, “versione più potente”, e dunque potenzialmente più mortale, dei Predator (grazie al Multi-spectral Targeting System MTS-B e al Lynx IIE Synthetic Aperture Radar). Dei 6 droni Reaper, i primi due sarebbero stati impiegati nell’operazione Unified Protector in Libia, mentre gli altri 4 dovrebbe essere operativi alla fine del 2012.
Dal Congresso sarebbe potuta arrivare un parere negativo entro il 27 maggio. Il fatto che ciò non sia avvenuto lascia intendere l’intenzione di accordare un parere positivo all’operazione, forse già questa settimana. Dal punto di vista legale, a questo punto – nota il WSJ – servirebbe, entro 15 giorni, una risoluzione condivisa sia dalla Camera che dal Senato. Un’ipotesi improbabile. Secondo una delle portavoce del Pentagono, il comandante Wendy Snyder, “il trasferimento di strumenti e servizi della difesa americana all’Italia, tra gli altri alleati, le permetterebbe di condividere parte dei costi e di contribuire alle operazioni che proteggono non solo le truppe italiane ma anche quelle degli Stati Uniti e di altri partner della coalizione”. Nessun cenno, ovviamente, alle percentuali che segnalano una preoccupante crescita delle vittime civili negli attacchi “mirati” dal cielo. Servirà un anno – dichiarano gli esperti interpellati dal giornale americano – affinché i sistemi vengano perfezionati e gli italiani addestrati all’uso delle nuove armi.
Dall’ambasciata italiana a Kabul, nessun commento sulla contraddizione tra i piani di ritiro del soldati e la richiesta di potenziare le linee di fuoco.
A Washington, molti sono entusiasti. Soprattutto quanti lavorano nel settore degli armamenti: secondo le previsioni degli analisti del Teal group, il giro di affari mondiale per i droni Reaper e Predator arriverà fino a 5,8 miliardi di dollari nel 2017, contro i previsti 4,3 del prossimo anno. Non mancano, però, gli scettici: “la tecnologia americana all’avanguardia non dovrebbe essere condivisa, questa è la mia opinione – ha dichiarato la democratica che guida la Commissione Intelligence del Senato, Dianne Feinstein – sono preoccupata della possibile proliferazione di questi sistemi d’armi”. Il WSJ riporta le recenti preoccupazioni dello stesso John Brennan, consigliere antiterrorismo del presidente Obama: “siamo preoccupati che, usando tali tecnologie, vengano stabiliti dei precedenti che potrebbero essere seguiti da altre nazioni, e non tutte le nazioni condividono i nostri interessi o la priorità che accordiamo alla protezione della vita umana, inclusi i civili innocenti”. Dietro le parole di Brennan, la solita schizofrenia: accusare gli altri di ciò che gli Stati Uniti già fanno.
Che i droni portino inevitabilmente con sé anche vittime innocenti lo testimoniano le ultime stragi afghane, così come le voci raccolte nel bel libro curato da Shahzad Bashir e Robert D. Crews, Under the Drones: Modern Lives in the Afghanistan-Pakistan Borderlands (Harvard University Press 2012, 328 pagine). Un volume che racconta le difficoltà di vivere sotto la costante minaccia che qualcuno, dal cielo, possa ucciderti.
Fonte: http://www.lettera22.it
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