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LA PALESTINA, TRA LIBRI E EDITORIA E QUALCHE ANEDDOTO


Come si potrebbe definire il rapporto dei palestinesi con la letteratura e la poesia? Esiste un movimento editoriale, letterario e culturale che si muove all’interno della società dei territori occupati? E quali sono le connessioni a livello ragionale arabo e internazionale?

DOUD AL AHMAR
Ramallah (Cisgiordania), 31 marzo 2012, Nena News – Situata in un seminterrato silenzioso al riparo dalla centrale e rumorosissima Ruqab street, a cui deve l’accesso tramite un’esile scalinata, si trova la libreria Al-Roua, uno dei più forniti e conosciuti negozi di libri di Ramallah. Qui abbiamo incontrato il proprietario Nikola Aqal, che con calore e ospitalità, ha risposto alle nostre domande dal suo punto di vista di libraio ed editore.
Palestinese di Ramallah, agronomo di formazione e libraio per passione, Nikola ha fatto ritorno alla città natia dopo una lunga residenza ad Amman, in virtù  delle “aperture” seguite agli accordi di Oslo. Nel 1996, in collaborazione con un amico palestinese, già suo collega all’Università Americana di Beirut negli anni ’60, ha deciso di fondare una libreria che nel corso degli anni, oltre alla cellulosa, ha ospitato politici, pensatori e scrittori palestinesi del calibro di Mahmoud Darwish e Yasser Abd Rabbo.  Di sera ci si incontrava spesso tra amici, ricorda Nikola, a discutere di versi e di politica tra generosissime dosi di caffeina e dense nuvole di fumo. Questi ritrovi oggi sono più sporadici, ma ogni tanto passa qualche amico poeta per comprare qualche libro e fare quattro chiacchiere, in cerca delle ultime edizioni e sperando di non dover essere costretto a fare il solito viaggio ad Amman per placare la sua sete di lettura.
La libreria è ben fornita e da circa un anno ospita, in un apposito spazio amministrato dall’American Colony Bookshop di Gerusalemme, una sezione di libri in lingua inglese dove si possono trovare, oltre alle innumerevoli  opere che trattano il conflitto Arabo-Israeliano, anche opere classiche di letteratura e poesia che trascendono l’argomento principe, affrancandosi dalle priorità geopolitiche dell’area.
Il proprietario ci fa subito notare che quasi tutti i libri in lingua araba che si trovano negli scaffali della libreria (e in generale in Palestina) sono stati pubblicati nel vicino oriente, Libano, Giordania ed Egitto e sono copie degli originali. Ci spiega che secondo un provvedimento voluto dalla Lega Araba (risalente al 1984) la Palestina occupata avrebbe potuto avere il libero accesso alla proprietà intellettuale di tutte le opere provenienti dal mondo arabo. Oltretutto sarebbe impossibile importare  libri stando alle severissime regole imposte dalle autorità israeliane che detengono il controllo di tutti i confini della Cisgiordania e della Striscia di Gaza[1]. Al libraio editore basta quindi avere tra le mani un originale dell’opera desiderata e riprodurla direttamente in loco senza subire imposte legate alla proprietà intellettuale. Ma se è vero che questo garantisce un buon guadagno sulla vendita dei libri (comunque tassati dall’Autorità Palestinese) impedisce però allo stesso tempo ogni possibilità di sviluppo per l’editoria locale.
Da un lato la chiusura dovuta all’occupazione e dall’altro le cattive politiche dell’Autorità Nazionale Palestinese non ci consentono di avere un mercato interno reale, ci spiega Nikola. La libreria Al-Roua funziona anche da casa editrice, attività che però procede a singhiozzo e non solo per le restrizioni che derivano dallo Stato occupante. L’Autorità Nazionale Palestinese non incentiva né supporta le librerie all’interno del proprio territorio: le licenze da libraio sono le più care di tutto il mondo arabo e la mancanza di una norma ad hoc che regoli la proprietà intellettuale impedisce ogni iniziativa editoriale. Tutto ciò questo, secondo il libraio, ha avuto come preoccupante conseguenza  l’aumento del divario tra la produzione letteraria palestinese e il resto del mondo arabo.
Nel corso dell’intervista abbiamo la fortuna di incontrare un visitatore d’eccezione, Ghassan Zaqtan[2], scrittore e poeta palestinese che dopo una vita in diaspora risiede stabilmente a Ramallah. Anch’egli  deluso dalle politiche del governo in campo culturale, è fermamente convinto che le librerie dovrebbero essere sovvenzionate e sostenute con peculiare attenzione dalla politica, e il discorso si estende anche e soprattutto all’editoria. Ci spiega infatti, che un giovane scrittore che intenda  pubblicare una sua opera in Palestina dovrebbe farlo pagandosi tutti i costi garantendo altresì un dato numero di vendite all’editore. Anche Zaqtan come molti altri autori palestinesi, pubblica le sue opere in Libano, paese dove è cresciuto intellettualmente e professionalmente insieme ad altri compagni di esilio. E’ convinto che la classe politica non faccia abbastanza nemmeno per la promozione dei pensatori palestinesi all’interno del territorio. Intellettuali di fama mondiale come Edward W. Said, Ghassan Khanafani o Jabra Ibrahim Jabra, non hanno la popolarità che meriterebbero, anzi per molti palestinesi sono addirittura nomi sconosciuti, ci racconta con scandalizzato fervore. Persino le strade o le piazze di Ramallah non celebrano i nomi che hanno reso celebre la Palestina, di coloro che hanno rievocato la terra perduta attraverso il ritmo aereo della poesia, che ne hanno diffuso il sentimento percorrendo l’elegante tracciato della grafia araba, coloro insomma che hanno dedicato la vita alla bellezza della resistenza e alla resistenza della bellezza.
E’ successo ad esempio –  e qui ci racconta un episodio capitato all’amico Darwish quando era ancora in vita – che il governo avesse deciso di dedicare una strada a Mahmoud. Così gli avevano goffamente chiesto di designare il luogo che avrebbe portato il suo nome. Bé, il più celebre fra i poeti Palestinesi, disertò l’appuntamento fissato rifiutando di rispondere al telefono colto da quell’imbarazzante richiesta che aveva anche un qualcosa di mal augurante. Ghassan incalza sull’argomento riferendoci che ad esempio l’Iraq ha dedicato l’anno culturale 2011 a Jabra Ibrahim Jabra, originario di Bethlehem, autore che in Palestina è pressoché sconosciuto.  Jabra è stato, tra le altre cose, il traduttore arabo di numerosissime opere classiche da Shakespeare a Oscar Wilde a Beckett, oltre ad aver influenzato tutta una generazione di intellettuali palestinesi, Darwish e Khanafani inclusi. Ma la Palestina è troppo legata alla politica, sottolinea sarcasticamente il poeta, e questo ha i suoi risvolti negativi soprattutto quando si tratta di fare i conti con una materia sfuggente e imprevedibile come quella della creazione.
Nonostante le barriere, la letteratura nel vicino e medio oriente è inestricabilmente legata alla sua natura linguistica: transnazionale quasi per essenza, tutt’oggi si nutre e si sviluppa attorno a al carattere poliedrico che la caratterizza.  Il Libano ad esempio è sempre stato il paese principale per le opere di letteratura  e poesia. L’Egitto è invece più specializzato nella saggistica mentre Iraq e Giordania hanno coperto il campo più strettamente accademico. E la Palestina, in tutto ciò, dove si colloca?
Ghassan Zaqtan intanto ci saluta portandosi via diversi tomi dagli scaffali del  suo amico Nikola rimandando per il momento il viaggio ad Amman e noi approfittiamo per chiedere al libraio cosa si venda nei territori.
Una fetta importante della clientela, ci racconta Nikola, è rappresentata dai Palestinesi residenti in Israele, Haifa, Nazareth, Acca, che vengono ad acquistare libri irreperibili al di là del muro o che trovano qui a minor prezzo. Il suo pubblico legge soprattutto romanzi indicandoci un libro che esposto in questi giorni. Si tratta dell’opera che ha vinto il prestigioso premio Arabic Booker di quest’anno, “Druzi di Belgrado” scritto dal Libanese Rabee Jaber. Avendo intuito il vincitore di quest’anno ho stampato numerose copie già prima dell’assegnazione del premio, ci racconta Nikola, sottolineando con soddisfazione il fiuto del mestiere.
Ma possibile che non ci sia un’opera  di un autore palestinese famoso pubblicata dalla libreria?
In effetti c’è, ed è proprio Mahmoud Darwish amico e assiduo frequentatore della libreria, che ha concesso la pubblicazione della sua “ Come i fiori di mandorlo o più lontano” e un Nikola raggiante ce ne mostra una copia.
Per chiudere quindi ci racconta che il più amato tra i poeti palestinesi amava raccontare le barzellette e ne ricorda una in particolare.
“Un giorno un contadino muore e va in Paradiso. Tuttavia per avere l’accesso a regno dei beati deve superare una prova di grammatica e l’angelo esaminatore gli chiede di scrivere correttamente la declinazione del verbo essere. Il contadino supera il test ed ha accesso alle mirabili delizie e godimenti che lo attendono per l’eternità. Dopo qualche anno però muore la moglie e così il contadino supplica Dio di poter sostituire l’angelo e assumere le funzioni dell’esaminatore. Arrivata alle porte del Paradiso la moglie incontra il marito che, come prova di grammatica, gli chiede di scrivere correttamente nella lingua originaria la parola Czechoslovakia”.
Mahmoud si era sposato due volte ed entrambi i matrimoni sono stati un disastro! sorride Nikola.
Nessuno è perfetto.

[1] E’ interessante sapere, ad esempio, che le importazioni dei libri per ragazzi sono consentite, ma subiscono una specie di tassazione del 14% sul prezzo di vendita; si tratta in realtà di una multa imposta dagli israeliani perché la lingua dei libri per bambini non è l’ebraico. Pare infatti che secondo gli accordi di Oslo, lo Stato d’Israele abbia deciso di imporre tale ammenda per salvaguardare “l’identità del popolo eletto”.
[2] Ghassan Zaqtan è stato anche tradotto in italiano vedi: “Ritratto del passato”, Poiesis Editrice

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