Egitto: "i diritti delle donne sono diritti umani!”


Migliaia di persone hanno sfilato giovedì 8 marzo nel centro del Cairo in occasione della giornata mondiale della donna, scandendo slogan contro il regime militare e rivendicando il 50% dei seggi dell’Assemblea costituente. Tre giorni dopo la corte militare ha assolto Ahmed ‘Adel al-Mogy dall’accusa di aver eseguito test di verginità. Ora le donne di Piazza Tahrir promettono nuove mobilitazioni. 
 testo e foto di Annalaura Turiano - Cairo
 Il centro del Cairo è stato teatro di una grande manifestazione per celebrare la giornata mondiale della donna. Con la regia di una coalizione di 16 organizzazioni femministe, tra cui l’Alleanza delle Donne Arabe, la manifestazione si è mossa dalla sede del sindacato dei giornalisti verso le 16.
Attraversando le strade del centro, protetto da un cordone rosso, il corteo si è diretto verso la sede del Parlamento.
La manifestazione dell’8 marzo segue le numerose mobilitazioni che si sono succedute nella capitale negli ultimi mesi, come quella del 21 dicembre 2011 organizzata per protestare contro le aggressioni subite da alcune manifestanti durante gli scontri contro le forze dell’ordine, e le cui immagini hanno fatto il giro del mondo.
Le egiziane sono scese in piazza in quell’occasione per ricordare che loro sono la "linea rossa" (el-khatt el-ahmar) da non oltrepassare.
La scelta del luogo di raduno del corteo per la marcia dell’8 marzo è inoltre un esplicito riferimento alla manifestazione del 25 maggio 2005 contro il referendum sulle modifiche della Costituzione, e durante la quale le partecipanti subirono delle molestie sessuali, mentre la polizia restava inerte a guardare.
Un evento che ancora oggi è ricordato come il 'mercoledì nero'.

RAPPRESENTANZA NELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE

L’8 marzo  le donne egiziane sono scese in piazza per rivendicare in primo luogo il  50% dei seggi della futura Assemblea costituente, la cui formazione è prevista per la fine del mese. 
Una rapprensentanza pari alla metà dei seggi è ritenuta necessaria per assicurare che i diritti delle donne siano tutelati dalla nuova Carta fondamentale.
L’attuale maggioranza parlamentare, composta dai Fratelli musulmani e dai salafiti, fa temere che le leggi sull’uguaglianza delle donne e quelle sullo statuto personale passino in secondo piano o vengano esplicitamente omesse nella stesura della Costituzione.
Una rappresentanza paritaria nell’Assemblea costituente è inoltre rivendicata come un diritto, dopo il ruolo svolto dalle donne nel processo rivoluzionario.
“Abbiamo una causa e abbiamo un ruolo, vogliamo il nostro diritto nella Costituzione !”, hanno scandito più volte durante la marcia.
La partecipazione femminile alla rivoluzione che ha portato alla caduta del regime trentennale di Hosni Mubarak è stata in effetti rilevante.
Le donne sono state in prima linea anche durante i sanguinosi scontri tra rivoluzionari ed esercito che hanno avuto luogo dopo la caduta del dittatore.

MARGINALIZZATE DALLA VITA POLITICA

Nonostante l’importante partecipazione delle donne al processo rivoluzionario, le associazioni femministe fanno notare di essere state progressivamente messe ai margini della vita politica, oltre che vittime di gravi violazioni contro i dritti umani.
Le leggi che le proteggono sono oggetto di una recente campagna di denigrazione. Anche il rapporto preparato dal Centro egiziano per i diritti delle donne, in occasione della giornata mondiale a loro consacrata, sottolinea la progressiva marginalizzazione femminile dalla sfera politica.
Nelle recenti elezioni parlamentari, le donne hanno ottenuto una rappresentanza in Parlamento pari al 2% dei 508  seggi dell’Assemblea del popolo (camera bassa del Parlamento).
Abolendo la normativa precedente, che garantiva una quota specifica di seggi, la nuova legge sulle elezioni parlamentari obbliga ogni partito ad avere almeno una donna nella propria lista. Molte candidate sono state tuttavia messe in coda e quindi non sono state elette.
Un altro rapporto, quello della Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH), sottolinea gli ostacoli alla partecipazione politica delle donne e le minacce che pesano sui loro diritti, tenuto conto delle posizioni conservatrici dei nuovi dirigenti e dell’attuale maggioranza parlamentare.
Il presidente del FIDH, Suhayr Belhassen, ha inoltre sottolineato come la “partecipazione delle donne alla vita politica sia una condizione essenziale per la democrazia e la giustizia sociale, valori centrali nelle Primavere Arabe”.

UNA CAMPAGNA CONTRO LE LEGGI DELL'ANCIEN RÉGIME

A questa marginalizzazione dalla vita politica si aggiunge la recente campagna contro l’insieme di leggi che tutelano le donne, stigmatizzate come un prodotto dell’ancien régime.
A partire dagli anni '80, il Parlamento ha approvato delle leggi sullo statuto personale, il divorzio e l’affidamento familiare, insieme ad un numero di provvedimenti che puniscono le molestie sessuali.
Da qualche mese a questa parte, tali leggi sono oggetto di una campagna denigratoria in quanto associate al vecchio regime, e per questo sprezzatamente definite come le “leggi di Suzanne”,  dal nome della ex first lady che ha più volte patrocinato iniziative in favore delle donne.
Al grido di “non siamo sorelle di Suzanne, i diritti delle donne sono diritti umani!”  le manifestanti hanno voluto ribadire che queste leggi sono il risultato di intense lotte e che la volontà di liberarsi dai “resti” del regime, i cosiddetti fulul, non deve essere un pretesto per cancellare i diritti conquistati.
Scandendo a varie riprese lo slogan diventato famoso durante i giorni della rivoluzione, “pane, libertà e giustizia sociale”, le manifestanti hanno mostrato la volontà d’inserire la loro lotta nel cuore dell’agenda rivoluzionaria.
I volantini distribuiti dal gruppo dei Socialisti Rivoluzionari ribadivano anch’essi il legame inscindibile tra la lotta per i diritti delle donne e gli obiettivi perseguiti dalla rivoluzione.
Tra i partecipanti alla manifestazione vi erano molte rivoluzionarie, tra cui Samira Ibrahim, sottoposta insieme ad altre donne scese in piazza come lei, ad un test di verginità il 10 marzo scorso.
Si chiama Mary Daniel, ed è la sorella di Mina Daniel, giovane copto rivoluzionario, ucciso lo scorso ottobre dall’esercito durante la marcia sotto Maspero, sede della tv di Stato.
In prima linea anche importanti attiviste dei diritti civili quali Ghada Shahbender, dell’Organizazzione egiziana dei diritti umani, ‘Ala Sueif, docente di matematica, e madre del noto blogger Alaa Abd el Fattah, liberato nel dicembre del 2011.
Non sono mancati gli esponenti del Partito degli Egiziani Liberi  (Al-Hizb al-Misriyin al-Ahrar) e del Partito Social Democratico (al-Hizb al-Dimucraty alIigtima‘i) e attivisti come George Ishaq, leader del moviento Kifaya.
Arrivato davanti alla sede del Parlamento, il corteo ha scandito slogan contro la giunta militare e i Fratelli musulmani che detengono oggi il 40% dei seggi.
Questi ultimi sono stati accusati di voler cancellare i diritti delle donne dalla loro agenda politica, oltre che, di “essersi appropriati” della rivoluzione.

MANCANZA DI UNITÀ?

Non mancano tuttavia i timori che il movimento femminista sia disunito e per questo non sufficientemente forte per contrastare i pericoli e le minacce che pesano attualmente sui diritti delle donne.
In un seminario di martedì scorso nella sede del partito Social-democratico intitolato “Il movimento delle donne in Egitto: realtà o illusione?”, Mona Ezzat, ricercatrice specialista di diritti delle donne e membro della fondazione Nuova Donna, sottolineava come il movimento femminista manchi di unità e di una piattaforma strategica comune.
Nel corso della sua relazione ha insistito sulla necessità di un dialogo tra le varie organizzazioni femminili, con l’obiettivo di definire delle strategie e un calendario d’azione comuni al fine di costituire un fronte compatto.
Il documento redatto dalla coalizione organizzatrice della marcia, va nel senso di quanto proposto da Mona Ezzat, dal momento che elenca le principali rivendicazioni delle donne, tra cui il 50% di seggi dell’Assemblea costituente, la garanzia della partecipazione femminile alla vita politica e la protezione dei diritti socio-economici delle donne acquisiti negli anni passati. 
Il documento è stato presentato l’8 marzo in Parlamento.
La costituenda Alleanza delle Donne Egiziane è un’altro segno tangibile della volontà delle associazioni femministe di unire le proprie forze e di costituire una piattaforma d’azione comune.
Le sfide sono ancora numerose, come lascia presagire il verdetto dell’11 marzo.

IL VERDETTO DELL’11 MARZO: LA MOBILITAZIONE CONTINUA

A tre giorni dalla giornata mondiale delle donne, il Tribunale militare ha assolto Ahmed ‘Adel al-Mogy, fisico militare, dall’accusa di aver eseguito test di verginità su alcune manifestanti all’indomani della manifestazione del 9 marzo 2011.
Il verdetto era atteso da molte associazioni femministe.
Maha Ma’amun, membro della campagna “No ai processi militari”, ha dichiarato al quotidiano al-Ahram che il verdetto non sorprende, visto che nel processo “l’istituzione militare è al contempo giudice e imputato”.
Non è ancora chiaro se l’avvocato di Samira Ibrahim, l’attivista che ha intentato il processo contro Ahmed ‘Adel al-Mogy, farà ricorso.
Nel frattempo, l’Alleanza delle donne egiziane ha indetto una manifestazione per il prossimo 16 marzo davanti alla corte suprema, per protestare contro la sentenza e più generalmente contro i processi militari ai civili, diventati troppo frequenti nel dopo Mubarak.
 

13 marzo 2012

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