Mya Guarnieri :Che fine ha fatto l'Intifada beduina?

Che fine ha fatto l'Intifada beduina?

di  Mya Guarnieri 
al-arakib-aicNel 2004 i funzionari israeliani temevano un'imminente Intifada beduina. Ma i beduini non si sono ribellati ed ora, nonostante l'intenzione di Israele di espellere decine di migliaia di beduini dalle loro case in Cisgiordania e nel Negev, la situazione rimane relativamente tranquilla. Perché? 
                                                        
Il villaggio beduino non riconosciuto di Al Arakib dopo che è stato demolito nel settembre 2010 (foto: Mya Guarnieri)

Mentre Israele intensifica le proprie politiche espansionistiche sia all'interno che all'esterno della Linea Verde, la comunità beduina è sotto un'intensa e continua pressione.

All'interno di Israele, lo stato cerca di giudaizzare il deserto del Negev. In particolare il piano Prawer dello scorso anno prevede lo spostamento di 30.000-40.000 cittadini beduini dai loro villaggi natii verso township impoverite in modo da lasciare spazio ad insediamenti destinati unicamente agli ebrei.

Dopo che il governo israeliano ha approvato il piano Prawer a settembre 2011, il centro legale Adalah per i diritti delle minoranze arabe in Israele ha paragonato questo progetto ad "una dichiarazione di guerra".

Al Arakib può essere considerata una battaglia di inizio. Lo stato ha prima demolito il villaggio non riconosciuto a luglio 2010, distruggendo case e sradicando completamente molti alberi di olivo per  far posto ad una foresta che dovrebbe essere piantata dal Fondo Nazionale Ebraico. Dopo che i beduini di Al Arakib hanno ricostruito il villaggio, le forze israeliane sono tornate e lo hanno distrutto nuovamente. Da allora, Al Arakib è stato demolito e ricostruito più di 30 volte.

Le politiche di Israele sono altrettanto disumane al di là della Linea Verde, dove la cosiddetta "Amministrazione Civile" ha presentato un piano per spostare 27.000 beduini dall'area C con lo scopo di espandere gli insediamenti illegali israeliani. Il piano dell'Amministrazione Civile verrà attuato nei prossimi tre-sei anni.

Le Nazioni Unite hanno riferito che il mese scorso le forze israeliane hanno demolito 44 edifici di proprietà palestinese a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, di cui 14 case. 66 persone sono state sfollate, 40 delle quali erano beduini.

Negli ultimi anni c'è stata un'escalation della campagna israeliana a favore dello spostamento dei palestinesi e dei beduini dalle loro case. Secondo le Nazioni Unite, quasi 1100 palestinesi e beduini sono stati sfollati dalle demolizioni israeliane delle case a partire dal 2011 - quasi l'80 per cento in più del 2010.

Ma dov'è l'Intifada beduina?

Nel 2004, il quotidiano israeliano Haaretz aveva affermato che una rivolta beduina era "praticamente inevitabile". Passando da una dichiarazione allarmista all'altra, l'articolo etichettava i beduini come una "bomba ad orologeria" e come “una dinamite", e li presentava non come gli abitanti nativi, ma come criminali che si erano impossessati del Negev.

Nell'isteria generale, l'allora vice consigliere di sicurezza nazionale per la politica interna, Reuven Gal, aveva commentato che per i beduini "l'onore è più prezioso del denaro."

Lo scrittore concludeva con tono minaccioso: "E' molto probabile che ogni piano di sviluppo del Negev provochi una violenta opposizione da parte dei beduini che vivono nella zona."

L'articolo è pieno di razzismo e colonialismo – il piano israeliano di spostare i beduini viene definito come "sviluppo." Non solo i beduini sono convinti ad opporsi a tale "progresso", ma è molto probabile che essi siano pure "violenti”. E poi ci sono le raffigurazioni orientaliste secondo le quali i beduini sono dei reazionari, degli esseri incapaci di controllare i propri impulsi, soprattutto quando c'è il tema dell'onore in gioco.

Ma sarebbe sbagliato dare la colpa solo allo scrittore e agli intervistati.

Hillel Cohen, nel suo libro Good Arabs, descrive un incidente avvenuto nel 1950, quando il capo dell'esercito israeliano ha visitato una tribù beduina, con reporter a seguito. Il giornalista ha raccontato di un "pasto regale," consumato sullo sfondo di "echi di spari" e di “cavalieri al galoppo." La serata è culminata con una cerimoniale "presentazione della spada del deserto".

Cohen spiega che la rappresentazione fatta dal reporter "si adatta bene alla descrizione dei beduini come selvaggi nobili ed ospitali molto diffusa in quel periodo". Una visione orientalista dei beduini è profondamente radicata e, come suggerisce l'articolo pubblicato su Haaretz nel 2004, continua ad essere diffusa.

Dobbiamo anche considerare i motivi che stanno dietro a questi "avvertimenti". Come ha dichiarato ad Haaretz Jaber Abu Kaf, rappresentante del Consiglio Regionale dei villaggi beduini non riconosciuti, nel 2004, le dichiarazioni di un'imminente Intifada beduina "sono infondate e sono volte a promuovere un programma politico”.

Ma ipotizziamo che i beduini vogliano fare una rivolta violenta contro la discriminazione che subiscono in Israele.

Lasciamo da parte i silenziosi atti di resistenza, la piccola, silenziosa Intifada, già in atto: la ricostruzione delle case demolite; la giornata di sciopero generale nel dicembre del 2011; la massiccia protesta davanti all'ufficio del Primo Ministro sempre a dicembre.

E cerchiamo di mettere da parte l'iniziativa singola ed ipotizziamo che i beduini possano reagire solo collettivamente alle politiche israeliane.

Allora, perché questa "bomba ad orologeria" non è ancora esplosa?

La risposta si trova, in parte, nella fondazione dello stato. Prima del 1948, circa 91.000 beduini vivevano nel Negev. Dopo la guerra, solo il dodici per cento della popolazione originaria è rimasta. Molti dei beduini che sono stati costretti al trasferimento forzato dalla Cisgiordania oggi sono rifugiati e le loro famiglie sono state mandate via dal Negev durante la Nakba.

Divisi e dispersi, i beduini sono stati oggetto di continui tentativi della politica israeliana del divide et impera. Molti di coloro che erano riusciti a rimanere nella loro terra nel Negev sono stati mandati via in un secondo momento. In alcuni casi, lo stato ha nominato governatori locali, mettendo le famiglie una contro l'altra, e ponendo a capo dei villaggi leader deboli o coloro che facevano gli interessi di Israele.

Le autorità israeliane hanno seminato germi per dividere incoraggiando attivamente - e premiando con laudi premi – la collaborazione. Che alcuni hanno abboccato, e ciò contraddice l'affermazione orientalista che per i beduini l'onore vale più dei soldi.
Israele ha anche fomentato la povertà nella comunità beduina. Nel 1970, lo stato ha costruito sette township per i beduini del Negev che oggi sono casa di circa 80.000 beduini. Questi ghetti hanno il più alto tasso di disoccupazione e di abbandono scolastico del paese così come la più alta percentuale di problemi sociali legati alla povertà e alla disperazione, tra cui anche il dilagante abuso di droga.

Quelli che sono rimasti nel deserto non hanno avuto una vita più facile. Nonostante il fatto che molti beduini vivono in villaggi che sono precedenti allo Stato, Israele non riconosce la maggior parte di queste comunità. Circa 80.000 beduini vivono nei villaggi non riconosciuti che non dispongono di infrastrutture e scuole superiori. Rawia Aburabia, avvocato dell'Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI), definisce lo stato d'istruzione dei beduini "catastrofico", sottolineando che il tasso di abbandono scolastico raggiunge il 40 per cento.

C'è anche la questione controversa del servizio militare. Alcune tribù beduine servono nell'esercito israeliano, molti invece non lo fanno. Questo crea tensione all'interno della comunità e costituisce un ulteriore ostacolo all'unità necessaria per una rivolta di successo.

Con i beduini della Palestina sparpagliati in Israele e nei paesi circostanti, divisi tra coloro che servono nell'esercito israeliano e quelli che non lo fanno, essi lottano per sopravvivere, non hanno una leadership nè una strategia nazionale coesa, e per tutti questi motivi una rivolta organizzata e sostenibile è ben poco probabile. La comunità internazionale, poi, ha la responsabilità di fermare le demolizioni di case e i trasferimenti forzati che i palestinesi e i beduini subiscono quotidianamente in Cisgiordania e in Israele.

L'appoggio per un intervento esterno corre il rischio di sembrare condiscendente, nella migliore delle ipotesi, e coloniale, nel peggiore dei casi. Questo è il bello della campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS). L'invito al BDS proviene dalla società civile palestinese ed è espressione della volontà popolare.

Mentre alcuni palestinesi non considerano i beduini come palestinesi - e molti beduini, nello stesso tempo, non si considerano palestinesi – il BDS è una risposta adeguata al trattamento israeliano contro i beduini. Essi subiscono le stesse politiche discriminatorie dei palestinesi. E le due comunità condividono speranze comuni per i diritti umani e civili, chiedono il diritto al ritorno ed il diritto a vivere in libertà, giustizia e dignità.

Tradotto in italiano da Marta Fortunato per l'Alternative Informaton Center

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