Il 2012 visto da HRW: "è tempo di abbandonare gli autocrati e abbracciare i diritti"
L’enciclopedico rapporto pubblicato ogni anno da Human Rights Watch, summa del monitoraggio dei diritti umani nel mondo nell’anno appena trascorso, stavolta si apre con un’introduzione sulla Primavera Araba. Evidentemente i fatti mediorientali e nordafricani sono stati straordinari non solo da punto di vista politico, ma anche da quello del rispetto dei diritti dell’uomo.
Maria Letizia Perugini
Ogni anno l’americana Human Rights Watch pubblica un rapporto sull’attività svolta nel corso dell’anno trascorso, una sorta di rapporto riassuntivo sullo stato dei diritti umani nei 90 paesi esaminati.Nell'introduzione a firma di Kenneth Roth, direttore esecutivo dell’organizzazione, si afferma che dopo quanto accaduto nel 2011 è giunto il tempo di: “abbandonare gli autocrati e abbracciare i diritti”.Fin dalle prime battute infatti si sente forte il dito puntato contro i governi occidentali che, scrive Roth, hanno attuato in questi anni nei confronti del Medio Oriente una politica di contenimento: “gli arabi andavano temuti e controllati”.Questo atteggiamento ha portato l’Occidente a mantenere e tollerare una schiera di autocrati, asserviti ai suoi interessi.“La promozione dei diritti umani nel mondo ha avuto un’eccezione araba” afferma Roth, sottolineando che la 'piazza araba', “a lungo discussa ma quiesciente”, ha finalmente deciso di alzarsi per spazzare via il vecchio ordine.Le scinitlle che in ciascun paese hanno fatto scoccare il momento della protesta sono state essenzialmente determinate dalla volontà di affermazione dei diritti umani: il sacificio di Mohamed Bouazizi in Tunisia o le foto del volto deformato di Khaled Said in Egitto, sono tutti esempi del quotidiano abuso a cui questi popoli sono stati costretti.Non tutti i paesi hanno avuto la stessa sorte però: il rapporto individua tre macogruppi in base ai quali sono state calssificate le rivolte.Il primo è rappresentato da Tunisia, Egitto e Libia, paesi in cui la rivolta ha portato effettivamente alla sostituzione dei vecchi regimi, con governi di transizione ai quali tocca ora un compito molto difficile.Il secondo 'gruppo' è invece costituito da Siria, Yemen e Bahrain, in cui la volontà dei governi esistenti di restare al potere è stata tanto forte da riuscire a resistere alle sofferenze del proprio popolo.Infine le monarchie della regione, Giordania, Marocco, Kwait, Qatar, che hanno fatto leva sulla tradizione e sulla possibilità di sostituire i governi contestati senza dover necessariamente lasciare il potere. Tattiche politiche accompagnate da una buona dose di repressione violenta.Dal punto di vista diplomatico, se l’Occidente ha inizialmente esistato a prendere posizione, alcuni paesi hanno dimostrato una vera e propria "ostilità" nei confronti delle rivolte. Si tratta di tutti quei governi autocratici, dalla Cina alla Corea del Nord, che hanno visto nelle piazze arabe un pericoloso esempio per i propri popoli.Secondo HRW una 'presenza' interessante è stata quella turca, che nei mesi passati ha raggiunto un ruolo di leadership rispetto agli eventi arabi. Ora bisognerà vedere se il governo di Ankara deciderà di ergersi a difensore dei diritti umani anche nei confronti di paesi come l’Iran o i paesi dell’Asia Centrale, e sopratutto come gestirà i problemi interni in materia di diritti, con particolare riferimento alla questione curda.
Per scaricare il rapporto, clicca qui
Maria Letizia Perugini
Ogni anno l’americana Human Rights Watch pubblica un rapporto sull’attività svolta nel corso dell’anno trascorso, una sorta di rapporto riassuntivo sullo stato dei diritti umani nei 90 paesi esaminati.Nell'introduzione a firma di Kenneth Roth, direttore esecutivo dell’organizzazione, si afferma che dopo quanto accaduto nel 2011 è giunto il tempo di: “abbandonare gli autocrati e abbracciare i diritti”.Fin dalle prime battute infatti si sente forte il dito puntato contro i governi occidentali che, scrive Roth, hanno attuato in questi anni nei confronti del Medio Oriente una politica di contenimento: “gli arabi andavano temuti e controllati”.Questo atteggiamento ha portato l’Occidente a mantenere e tollerare una schiera di autocrati, asserviti ai suoi interessi.“La promozione dei diritti umani nel mondo ha avuto un’eccezione araba” afferma Roth, sottolineando che la 'piazza araba', “a lungo discussa ma quiesciente”, ha finalmente deciso di alzarsi per spazzare via il vecchio ordine.Le scinitlle che in ciascun paese hanno fatto scoccare il momento della protesta sono state essenzialmente determinate dalla volontà di affermazione dei diritti umani: il sacificio di Mohamed Bouazizi in Tunisia o le foto del volto deformato di Khaled Said in Egitto, sono tutti esempi del quotidiano abuso a cui questi popoli sono stati costretti.Non tutti i paesi hanno avuto la stessa sorte però: il rapporto individua tre macogruppi in base ai quali sono state calssificate le rivolte.Il primo è rappresentato da Tunisia, Egitto e Libia, paesi in cui la rivolta ha portato effettivamente alla sostituzione dei vecchi regimi, con governi di transizione ai quali tocca ora un compito molto difficile.Il secondo 'gruppo' è invece costituito da Siria, Yemen e Bahrain, in cui la volontà dei governi esistenti di restare al potere è stata tanto forte da riuscire a resistere alle sofferenze del proprio popolo.Infine le monarchie della regione, Giordania, Marocco, Kwait, Qatar, che hanno fatto leva sulla tradizione e sulla possibilità di sostituire i governi contestati senza dover necessariamente lasciare il potere. Tattiche politiche accompagnate da una buona dose di repressione violenta.Dal punto di vista diplomatico, se l’Occidente ha inizialmente esistato a prendere posizione, alcuni paesi hanno dimostrato una vera e propria "ostilità" nei confronti delle rivolte. Si tratta di tutti quei governi autocratici, dalla Cina alla Corea del Nord, che hanno visto nelle piazze arabe un pericoloso esempio per i propri popoli.Secondo HRW una 'presenza' interessante è stata quella turca, che nei mesi passati ha raggiunto un ruolo di leadership rispetto agli eventi arabi. Ora bisognerà vedere se il governo di Ankara deciderà di ergersi a difensore dei diritti umani anche nei confronti di paesi come l’Iran o i paesi dell’Asia Centrale, e sopratutto come gestirà i problemi interni in materia di diritti, con particolare riferimento alla questione curda.
Per scaricare il rapporto, clicca qui
Commenti
Posta un commento