Il governo israeliano “si inchina” alle pressioni dei coloni
La scorsa settimana, dopo la notizia che l’esercito israeliano stava pianificando l’evacuazione e la demolizione di Ramat Gilad, outpost illegale in Cisgiordania, i coloni israeliani sono insorti. Hanno preso a sassate automobili palestinesi e lanciato un mattone dentro una jeep militare, mentre estremisti ebrei di destra hanno bruciato e vandalizzato diverse moschee. Ora, sembra che lo Stato abbia fatto marcia indietro. Il governo israeliano ha raggiunto un accordo con Moshe Zar e il Consiglio di Yesha, organizzazione che coordina le attività dei coloni in Cisgiordania, accordo che consente il mantenimento dell’insediamento illegale e lo spostamento di cinque caravan.
Moshe Zar rivendica di aver acquistato le terre di Ramat Gilad da un palestinese nei primi anni Ottanta. Secondo Zar, il palestinese fu assassinato per aver venduto la terra ad un israeliano e di conseguenza la registrazione di proprietà non era stata conclusa.
Le voci riguardo l’intenzione del Ministero della Difesa di smantellare l’outpost erano state causa di scontri tra l’esercito israeliano e i gruppi dei “giovani della collina”, un gruppo paramilitare ebreo in Cisgiordania che è solito aggredire palestinesi quando l’esercito smantella insediamenti non riconosciuti.
Dopo aver saputo dell’imminente evacuazione e demolizione di Ranat Gilad, circa 50 coloni e estremisti di destra sono entrati nella base della Brigata Regionale Efraim, vicino alla città palestinese di Qalqilya. I coloni hanno lanciato pietre, bruciato copertoni e vandalizzato veicoli militari. Durante l’attacco, un comandante di brigata è rimasto lievemente ferito dopo essere stato colpito alla testa. Il gruppo di estremisti ha poi bloccato la strada principale della zona e lanciato pietre contro le automobili palestinesi che stavano passando e contro i soldati israeliani.
Portavoce dell’esercito e del governo hanno sottolineato che “la linea rossa è stata superata” e che i gruppi dei “giovani della collina” meritano di essere trattati come famiglie criminali. Nei giorni successivi all’attacco, numerosi attivisti ebrei di destra sono stati arrestati per aver preso parte alle aggressioni. È improbabile, tuttavia, che tali arresti portino a perseguire ufficialmente i responsabili.
In un’intervista all’agenzia di informazione vicina al movimento dei coloni Arutz 7, Shaul Halfon, uno dei leader dei “giovani della collina”, ha affermato: “Le azioni del governo provocheranno gravi gesti che noi non vogliamo compiere”. Aggiungendo: “Noi siamo i padroni della terra e la terra di Israele è di proprietà del popolo israeliano, per sempre”.
Nonostante il pubblico oltraggio alla base militare, il governo israeliano è giunto ad un accordo con i coloni al fine di evitare lo smantellamento dell’outpost illegale. L’esecutivo, tuttavia, ha rigettato la proposta di legge del partito HaBeit Ha Yehudi (La casa degli ebrei) con cui si volevano legalizzare tutti gli outpost esistenti.
Secondo l’accordo, di cui è stato mediatore il ministro senza portafoglio Zeev Binyamin Begin (Likud), cinque costruzioni verranno spostate di qualche centinaio di metri. In cambio, lo Stato renderà l’outpost parte del Consiglio Locale di Karni Shomron, amministrazione in grado di fornire permessi di costruzione di edifici residenziali permanenti.
Mentre a molti israeliani piacerebbe credere che le realtà imposte dai coloni in Cisgiordania siano un’eccezione, gli eventi della scorsa settimana provano il contrario. Quando esiste una discrepanza tra il potere esecutivo del governo, che sostiene il progetto coloniale, e il potere giudiziario, che tenta di dare alle politiche israeliane una facciata di democrazia, a mediare in realtà sono i “giovani della collina”. Le loro azioni consentono allo Stato di giustificare tali decisioni come realizzazione della volontà dei cittadini, mentre in realtà sono gli estremisti a riflettere il volere di Stato.
La Knesset cerca di mediare tra tali discrepanze nominando giudici che sono concordi con il progetto coloniale e tentando di ridurre il potere dei tribunali. Il parlamento è concretamente impegnato nella modifica degli equilibri semi-costituzionali tra il carattere ebraico dello Stato e gli elementi democratici, un equilibrio traballante che alcuni accademici chiamano “etnocrazia”.
I “giovani della collina” non sono altro che pedine inconsapevoli in questo processo.
Moshe Zar rivendica di aver acquistato le terre di Ramat Gilad da un palestinese nei primi anni Ottanta. Secondo Zar, il palestinese fu assassinato per aver venduto la terra ad un israeliano e di conseguenza la registrazione di proprietà non era stata conclusa.
Le voci riguardo l’intenzione del Ministero della Difesa di smantellare l’outpost erano state causa di scontri tra l’esercito israeliano e i gruppi dei “giovani della collina”, un gruppo paramilitare ebreo in Cisgiordania che è solito aggredire palestinesi quando l’esercito smantella insediamenti non riconosciuti.
Dopo aver saputo dell’imminente evacuazione e demolizione di Ranat Gilad, circa 50 coloni e estremisti di destra sono entrati nella base della Brigata Regionale Efraim, vicino alla città palestinese di Qalqilya. I coloni hanno lanciato pietre, bruciato copertoni e vandalizzato veicoli militari. Durante l’attacco, un comandante di brigata è rimasto lievemente ferito dopo essere stato colpito alla testa. Il gruppo di estremisti ha poi bloccato la strada principale della zona e lanciato pietre contro le automobili palestinesi che stavano passando e contro i soldati israeliani.
Portavoce dell’esercito e del governo hanno sottolineato che “la linea rossa è stata superata” e che i gruppi dei “giovani della collina” meritano di essere trattati come famiglie criminali. Nei giorni successivi all’attacco, numerosi attivisti ebrei di destra sono stati arrestati per aver preso parte alle aggressioni. È improbabile, tuttavia, che tali arresti portino a perseguire ufficialmente i responsabili.
In un’intervista all’agenzia di informazione vicina al movimento dei coloni Arutz 7, Shaul Halfon, uno dei leader dei “giovani della collina”, ha affermato: “Le azioni del governo provocheranno gravi gesti che noi non vogliamo compiere”. Aggiungendo: “Noi siamo i padroni della terra e la terra di Israele è di proprietà del popolo israeliano, per sempre”.
Nonostante il pubblico oltraggio alla base militare, il governo israeliano è giunto ad un accordo con i coloni al fine di evitare lo smantellamento dell’outpost illegale. L’esecutivo, tuttavia, ha rigettato la proposta di legge del partito HaBeit Ha Yehudi (La casa degli ebrei) con cui si volevano legalizzare tutti gli outpost esistenti.
Secondo l’accordo, di cui è stato mediatore il ministro senza portafoglio Zeev Binyamin Begin (Likud), cinque costruzioni verranno spostate di qualche centinaio di metri. In cambio, lo Stato renderà l’outpost parte del Consiglio Locale di Karni Shomron, amministrazione in grado di fornire permessi di costruzione di edifici residenziali permanenti.
Mentre a molti israeliani piacerebbe credere che le realtà imposte dai coloni in Cisgiordania siano un’eccezione, gli eventi della scorsa settimana provano il contrario. Quando esiste una discrepanza tra il potere esecutivo del governo, che sostiene il progetto coloniale, e il potere giudiziario, che tenta di dare alle politiche israeliane una facciata di democrazia, a mediare in realtà sono i “giovani della collina”. Le loro azioni consentono allo Stato di giustificare tali decisioni come realizzazione della volontà dei cittadini, mentre in realtà sono gli estremisti a riflettere il volere di Stato.
La Knesset cerca di mediare tra tali discrepanze nominando giudici che sono concordi con il progetto coloniale e tentando di ridurre il potere dei tribunali. Il parlamento è concretamente impegnato nella modifica degli equilibri semi-costituzionali tra il carattere ebraico dello Stato e gli elementi democratici, un equilibrio traballante che alcuni accademici chiamano “etnocrazia”.
I “giovani della collina” non sono altro che pedine inconsapevoli in questo processo.
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