Rapporto choc: Israele condanna ogni palestinese che indaga

Hamas annuncia che i restanti 550 prigionieri dell’accordo Shalit saranno liberati il 19 dicembre e i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane scrivono ad Abbas per chiedere il sostegno dell’AP. Due notizie che arrivano insieme alla pubblicazione di un report preoccupante sullo stato della giustizia in Israele.
  

Il rapporto annuale delle corti militari dello Stato d’Israele, pubblicato ieri dal quotidiano israeliano Ha’aretz, mostra come il 99,74% dei processi all’interno dei Territori Palestinesi Occupati si concluda con una condanna. Nella pratica, ogni palestinese arrestato e processato da corti militari israeliani finisce in carcere. Nel 2010 sono stati 9.542 i casi seguiti dalle corti militari, di cui 2.016 riguardanti attività considerate terroristiche, 763 condotta contraria all’ordine pubblico e il resto presenza illegale nel suolo israeliano. Soltanto 25 casi si sono conclusi con l’assoluzione.

I tribunali militari si occupano di seguire le indagini per reati penali e di sicurezza che coinvolgono palestinesi (in genere, reati contro l’esercito di occupazione che portano o alla detenzione amministrativa o a ordini di espulsione), dal loro arresto fino all’appello. Sono pochissimi i casi in cui un palestinese di Gaza o della Cisgiordania viene giudicato da una corte civile israeliana.  
Infine, per ciò che riguarda la detenzione amministrativa, misura di custodia cautelare per un massimo di sei mesi reiterabili senza limiti di ulteriori sei mesi, il rapporto parla per l’anno 2010 di 714 richieste da parte dei tribunali militari per palestinesi residenti nei Territori: il 98,77% delle detenzioni amministrative richieste è stato approvato.

Il rapporto, che mostra la politica dei due pesi e delle due misure in atto nei Territori contro la popolazione palestinese, arriva mentre Hamas annuncia l’avvio della seconda fase dell’accordo stretto con Israele a ottobre per la liberazione del soldato Shalit e di 1027 prigionieri palestinesi. Dopo la scarcerazione dei primi 477 detenuti, il 19 dicembre toccherà ai restanti 550.
 A dare l’annuncio, il membro di Hamas Salah Al-Arouri che ha sottolineato come l’implementazione dell’accordo richiederà due condizioni: Israele dovrà liberare i prigionieri detenuti per ragioni di sicurezza e dovrà garantire loro il ritorno nelle proprie case. Nella prima fase dello scambio, infatti, circa 200 prigionieri appena scarcerati erano stati inviati in esilio o all’estero o nella Striscia di Gaza. Al-Arouri ha aggiunto che Hamas consegnerà la lista dei 550 detenuti da liberare alle autorità israeliane e che a questi andranno aggiunte altre dieci prigioniere.

Intanto, non sembrano migliorare le condizioni di detenzione nelle carceri israeliane, per cui migliaia di prigionieri hanno lottato lo scorso autunno attraverso uno sciopero della fame durato quasi un mese. Ma i detenuti palestinesi, circa 6.800, non si fermano e proseguono. Ieri hanno inviato una lettera al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per chiedere al governo di sostenere la loro battaglia.

Nella lettera, i prigionieri parlano dell’inasprimento delle misure detentive che le autorità carcerarie israeliane hanno implementato dopo che a giugno il premier Netanyahu aveva lanciato una “campagna” punitiva per vendicare il soldato Shalit, all’epoca ancora prigioniero di Hamas a Gaza. Tra queste, il divieto di accedere all’istruzione scolastica, il divieto a ricevere libri e quotidiani, la riduzione dei canali tv accessibili, la riduzione dei prodotti alimentari di base nelle mense, la diminuzione delle visite familiari e delle visite dei legali e l’obbligo delle catene durante i colloqui, l’inasprimento nell’utilizzo della misura punitiva dell’isolamento.

Ma non solo: la vita nelle carceri si è fatta più dura proprio a seguito dell’accordo di scambio tra Hamas e Israele: la situazione per i detenuti “è vicina all’esplosione – spiegano nella lettera i prigionieri – La rivalità tra Hamas e Fatah e le tensioni politiche tra Israele e l’AP ci stanno impendendo di ottenere delle risposte. Noi chiediamo che tutte le fazioni nazionali palestinesi ci sostengano in questo momento. Non vogliamo che piantino tende o organizzino sit-in, ma piuttosto che assumano decisioni politiche”.

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