L’intervista di re Abdullah – Lettura da un punto di vista giordano


L’affermazione di re Abdullah II di Giordania – in un’intervista alla BBC – che egli si dimetterebbe, se fosse al posto del presidente siriano Assad, ha delle implicazioni per lo stesso contesto giordano, che non sono state sufficientemente messe in luce – scrive la giornalista e attivista Toujan Faisal
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Riguardo alle reazioni locali a ciò che ha dichiarato re Abdullah II, nel corso della sua intervista alla BBC, sono interessanti due cose: la prima è che la reazione popolare si è limitata a sostenere o a rifiutare l’invito a dimettersi rivolto dal re al presidente siriano Bashar al-Assad, ovvero quella parte del discorso del re che riguarda la Siria e i siriani, e trascura completamente ciò che interessa la Giordania e i giordani.
La seconda è la reazione ufficiale alle parole del re, equivalente all’imposizione di una tutela sul popolo e sulle sue menti, e addirittura sul re stesso. La mobilitazione ufficiale ha cominciato con l’indirizzare la stampa affinché si attenesse ad una sintesi molto ristretta dell’intervista, distribuita dall’Agenzia di notizie giordana, e si è conclusa con la messa a punto di una traduzione non completamente fedele.
Le dimissioni sono comparse due volte nel discorso del re, ma la censura giordana ne ha scelto una sola, e l’ha riformulata affermando che “la risposta del re è giunta in un contesto ipotetico riguardante ciò che egli avrebbe fatto se fosse stato al posto del presidente Assad”.
In questo nostro articolo accetteremo di attenerci a questa parte, che ci interessa di più come giordani, essendo il re della Giordania il primo leader di uno Stato arabo ad aver detto che, se si trovasse in una situazione come quella di Assad, si dimetterebbe. E discuteremo queste parole del re nel loro contesto “ipotetico” riguardante il re e non il presidente Assad.
L’intervistatrice Lyse Doucet ha introdotto nelle sue domande più di un termine di paragone fra il governo in Siria e in Giordania. La formulazione delle domande è avvenuta su questa base comune. A ciò si aggiunga che il re si è spontaneamente attenuto ad alcuni di questi paragoni, come quando ha parlato di soluzioni giordane (a una situazione simile a quella che deve fronteggiare Assad) in termini di soluzioni fondate sul “dialogo e l’apertura” .
E questo mentre quella che egli ha chiamato “la commissione per il dialogo nazionale” è stata selezionata personalmente, e gli emendamenti costituzionali sono stati proposti da una commissione reale in cui non vi è nessun rappresentante popolare. Il fallimento di questa esperienza ha trovato conferma nel fatto che il popolo è sceso in piazza il venerdì successivo alla ratifica degli emendamenti da parte della Camera dei deputati, urlando lo slogan “non ci ingannerete”. Questa Camera non ha legittimità, tant’è vero che la Primavera giordana iniziò subito dopo che essa venisse eletta, proprio con la richiesta che tale Camera si dimettesse e che si dimettesse il governo che essa aveva prodotto accordandogli una fiducia di 111 voti, entrata nella storia giordana come “l’insulto”.
Sono questi alcuni degli sviluppi della Primavera giordana che possono trovare conferma rifacendosi sia alla stampa filogovernativa che a quella di opposizione. Citiamo questi eventi per mostrare quale sia la verità su quel pezzo dell’intervista che parla della Giordania all’insegna della Costituzione, della fiducia parlamentare, delle elezioni, ecc. – questioni i cui dettagli dovrebbero essere simili a quanto avviene in Gran Bretagna, visto che la nostra Costituzione è derivata dalla Costituzione belga e da quella britannica.
La giornalista britannica Lyse Doucet sa meglio di chiunque altro che ne è stato della nostra costituzione dopo il golpe reale ai danni del parlamento e del governo eletto, nel 1957. Perciò i giordani chiedono di tornare alla Costituzione del 1952 e di emendarla per garantire il ritorno del potere al popolo attraverso una rappresentanza parlamentare autentica ed un governo eletto, cosicché la monarchia diventi una monarchia costituzionale come accade nelle Costituzioni da cui abbiamo derivato la nostra.
E veniamo alla “condizione” con cui il re ha accompagnato ciò che ha detto a proposito del dovere di dimettersi da parte di chiunque si trovi nella stessa posizione di Assad, a cominciare dal re stesso. Egli ha dichiarato: “Se mi trovassi nella stessa situazione sceglierei di ritirarmi, ma dopo essermi assicurato che chi verrà dopo di me avrà le capacità di cambiare lo status quo”.
Questa risposta presuppone che il capo dello Stato che deve dimettersi sia capace, più del popolo nel suo complesso, di decidere chi sia preferibile e chi debba governare il popolo dopo di lui decidendo le caratteristiche del cambiamento necessario. Ovvero presuppone che il sistema di governo possa rinnovarsi semplicemente cambiando i volti – proprio ciò che il re stesso aveva detto essere inutile, in altre parti della sua intervista, a proposito del regime siriano. Si tratta della stessa ipotesi che oggi fa crollare il regime di Assad, che secondo il re aveva “un’intenzione di riforma”.
Dopo aver menzionato questa “condizione”, il re ha riconosciuto l’ineluttabilità del fatto che il “regime” al potere in Siria non permetterà questo cambiamento (il re ha ripetuto questa parola nove volte, e la parola “regime” tredici volte). Ciò ha spinto la sua interlocutrice a definire meglio la sua domanda: “Bashar ha ancora il controllo della situazione in Siria? E’ lui a ordinare all’esercito di scendere nelle strade e di sparare contro il suo popolo? Lei ha detto che il presidente siriano ha un’intenzione di riforma; quest’intenzione ancora esiste?”
Il re giordano ha risposto che Bashar “è in prima linea, e l’immagine della Siria è legata all’immagine del presidente Bashar. Alla luce di ciò, suo fratello e suo cognato giocano un ruolo attivo sul piano militare. In definitiva, come tutti i leader del Medio Oriente, tutti noi abbiamo il potere e abbiamo la responsabilità di ciò che accade nei nostri paesi… ma io ritengo che egli non sia l’unica persona ad avere il controllo della situazione. La situazione viene gestita da una squadra. E, di nuovo, siamo in presenza di un regime, che ha delle aspettative nei confronti di qualunque persona che assume la leadership… credo che inganniamo noi stessi se pensiamo che le cose cambieranno in maniera radicale cambiando una sola persona. Il problema è molto più profondo di così, ed è rappresentato dal regime”.
Doucet: “Ma, come lei sa, questi paesi sono governati da leader, e questi leader rappresentano il regime; dunque, se egli dovesse andarsene, ciò rappresenterebbe una chiusura con il passato? Sarebbe un inizio significativo”. Ovvero, come è già accaduto in Tunisia, in Egitto e in Libia, la soluzione logica di un simile problema è di chiudere la pagina del regime “il quale ha perso la sua legittimità”, come ha riconosciuto il re, “nel momento in cui ha iniziato a usare la violenza contro il proprio popolo”. Ma la fine della legittimità non è legata solo all’uso della violenza, ma anche al cammino della storia e alla logica dell’epoca. Sebbene il re abbia detto che la Siria è un “caso unico”, ciò non ha cambiato il fatto che il discorso ruotasse attorno ai “regimi e le loro leadership”, e non a governi eletti. Un’aggiunta illuminante è venuta quando egli ha detto: “Se lei guarda le cose dalla prospettiva del regime siriano…il regime sembra in una situazione relativamente confortevole, ed esso continuerà ad esistere…dunque continueremo ad assistere ancora a quanto sta accadendo”.
La parte legata alla Giordania è cominciata con la domanda: “E’ rimasto sorpreso dalle proteste senza precedenti nel suo paese?”. Il re ha risposto che la Primavera Araba ha colto di sorpresa molti, e che non poteva essere prevista. Io (l’autrice di questo articolo) tuttavia l’avevo prevista in dettaglio nel mio articolo “Previsioni per l’anno 2011” pubblicato sul giornale al-Raya la prima settimana di quest’anno. E questo ci riporta alla “prospettiva” ristretta da cui guardano tutti i regimi arabi, una prospettiva selettiva che esclude tutto ciò che non li fa sentire in una “posizione comoda”.
Il re ha proseguito dicendo che, di fronte alle proteste, egli ha messo in pratica ciò che aveva imparato da suo padre. Ma pur riconoscendo l’abilità del defunto re, così come quella del defunto presidente Hafez al-Assad, i loro due modelli di governo non si adattano all’era della Primavera Araba.  Il caso della Siria rappresenta un ultimo campanello d’allarme, che potrebbe essere ormai tardivo per il presidente Bashar, ma a cui il re Abdullah potrebbe ancora porre rimedio riconoscendo la nuova realtà araba nel suo insieme.
La Doucet gli ha posto la domanda successiva dicendogli: “Lei sa che, in qualità di re, possiede dei poteri illimitati. Sembra che i manifestanti chiedano un primo ministro eletto e il rafforzamento del ruolo del parlamento, e vogliano un re con poteri limitati. Lei accetta tutto ciò?”. Il re ha risposto: “Vorrei essere chiaro: il regno in Giordania è un regno costituzionale, e non ha dei poteri assoluti”, e ha citato alcuni dei nuovi emendamenti alla Costituzione, tra cui la creazione di una Corte costituzionale. Tuttavia in base all’emendamento, è il re che forma questa Corte. Ed è proibito a singoli individui o a gruppi di persone rivolgersi ad essa. E si tratta di quegli stessi cittadini di cui la Costituzione dovrebbe regolare i diritti e proteggere le libertà. E questo è un punto che chiariamo qui tanto per fare un esempio.
Alla luce della somiglianza fra i regimi arabi che emerge per bocca della Doucet e dello stesso re (“un regime impone le proprie aspettative alla leadership, la quale diventa una sorta di prima linea che non può che assumersi la responsabilità, con la presenza di persone all’interno della famiglia al potere che ricoprono ruoli…”), l’intervistatrice chiede al re del suo periodo di governo, che coincide con quello di Bashar al-Assad, senza che siano state realizzate riforme: “Qual è il problema? Perché da quando lei ha preso il potere, ha parlato di riforme politiche ed ha costituito più di dieci governi. Chi è che ostacola il cambiamento?”.
Il re risponde che l’ostacolo è giunto da parte di ciò che egli definisce “una vecchia guardia che ha interesse al permanere dello status quo”. Ma è il re che ha preservato costoro. Egli ha affidato perfino la formulazione degli emendamenti costituzionali alla vecchia guardia, e ciò ha fatto sì che gli emendamenti proteggessero il vecchio patto rappresentato dalla monarchia assoluta.
Di fronte all’insistenza della Doucet (“si aspetta di vedere una monarchia molto differente?”) il re risponde: “La questione è oggetto di dibattito nella società giordana, perché penso che lei dica che la gente oscilli avanti e indietro su molte di queste questioni, giacché le persone hanno fatto proprie alcune voci ed alcuni appelli durante la Primavera Araba, ma poi hanno detto ‘lasciateci pensare alla cosa in maniera più approfondita’”.
La Doucet non ha detto che “la gente” oscilla avanti e indietro su questi temi. Ma sembra che vi sia chi ripete alle orecchie del re che “la gente” ondeggia nelle sue richieste. Mentre invece la richiesta di una “monarchia costituzionale”, in particolare, è stata presentata dalle forze popolari sotto forma di emendamenti costituzionali che chiariscono il loro intento con lo slogan “il popolo vuole riformare il sistema”. Il popolo non ha ritrattato una simile richiesta, ma anzi ha ventilato la possibilità di un’escalation. Mentre la “lotta alla corruzione”, poi, è l’ultima delle richieste della Primavera giordana, non è meno importante della richiesta di riformare il sistema, tant’è vero che nel frattempo ciò ha fatto cadere tre regimi.
La risposta del re non è soddisfacente, e perciò la Doucet riformula la sua domanda chiedendo al re se ritiene che suo figlio un giorno erediterà il suo regno. Il re risponde che “il regno giordano hascemita proseguirà. Ma certamente il modo in cui mio figlio erediterà il trono sarà del tutto differente dal modo in cui io ho ereditato il governo. Ancora una volta tutta la faccenda è legata all’evoluzione”.
In precedenza il re aveva risposto di aspettarsi che egli stesso avrebbe visto “un regno molto differente”, dicendo: “La Giordania attraversa una fase di evoluzione, non di rivoluzione”. E’ lo stesso concetto espresso da Bashar al-Assad. Il trarre insegnamento dall’esperienza di Assad presupporrebbe un riesame del rapporto organico fra evoluzione e rivoluzione, che a volte raggiunge il limite della piena sintonia, al punto che la “scienza” riconosce tale sintonia definendola come un processo di “mutazione”. Questa parola aiuta a descrivere la Primavera Araba per coloro che non l’hanno prevista come un risultato inevitabile di un’evoluzione per accumulazione.
Toujan Faisal è un’attivista dei diritti umani ed ex giornalista televisiva; è stata la prima donna eletta nel parlamento giordano, fra il 1993 e il 1997
(Traduzione di Roberto Iannuzzi)

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