Muro e demolizioni a Led, città mista d’Israele e 7500 ulivi palestinesi distrutti in nove mesi

   Led è una delle sei città miste arabo-israeliane a pochi chilometri da Jaffa e Tel Aviv, in pieno Stato di Israele. La vita dei palestinesi in quello che resta del quartiere arabo è una lotta continua contro demolizioni e trasferimenti forzati.È quello che è successo a otto famiglie palestinesi, residenti a poche centinaia di metri dal nuovo quartiere russo, marciapiedi colorati, sculture al centro delle rotonde e palazzi bianchi che continuano ad espandersi. È la destinazione dei tanti ebrei provenienti dalla Russia e dalle ex Repubbliche sovietiche, nuovi cittadini israeliani che difficilmente parlano ebraico. Nei negozi e nei supermarket le insegne e le pubblicità hanno caratteri in cirillico: strano tipo di integrazione nella società israeliana.

Per continuare ad espandere il quartiere, le autorità israeliane proseguono nella demolizione delle abitazioni delle famiglie palestinesi. Il 3 ottobre 2010 è toccato ad otto famiglie, 55 persone: le loro sette case sono state distrutte dai bulldozer dell’esercito israeliano. Di notte.

“Due giorni prima ci hanno notificato un ordine di demolizione – racconta Noor, una giovane quindicenne, costretta ad essere già adulta – Hanno detto che le nostre case erano illegali, erano state costruite senza permesso, e che entro sei mesi avrebbero proceduto alla demolizione. Sono arrivati con i bulldozer solo due giorni dopo”.“Era notte. Ci hanno urlato di lasciare la casa, lasciandoci solo mezz’ora per prendere le nostre cose – continua Amal, solo tredici anni – Ci hanno radunato tutti fuori e ci hanno minacciato con le pistole”. Fuori, nel cortile, un centinaio di soldati, quasi un’azione militare.

“Hanno detto che le nostre case erano illegali – racconta Noor – Le avevamo costruite cinque anni prima sulla terra del nonno. Non ci hanno dato alcuna alternativa: hanno distrutto le case e ci hanno lasciato senza un tetto, senza darci un’opzione a Led o in un’altra città. Hanno anche picchiato nostro cugino, ha passato cinque giorni in ospedale”.

Dopo qualche giorno dalla demolizione, le otto famiglie hanno montato tende e portato container, tra le macerie delle case. Ma dopo soltanto un mese, l’esercito è tornato e ha distrutto anche i container. Ora sono costretti a vivere in una baracca accanto alla casa dei vicini, che offrono loro acqua e elettricità. Ma non si arrendono: “Siamo andati subito in tribunale – prosegue Amal – Abbiamo un avvocato israeliano, ma per ora non ci hanno dato alcuna risposta. Questa non è vita: i bambini più piccoli hanno subito forti traumi, per mesi non sono riusciti ad andare a scuola”.Tra le macerie delle sette abitazioni, spuntano quaderni con i compiti di matematica, bollette, sedie, qualche coperta. Anche la vita quotidiana di otto famiglie è finita sotto le macerie. Ma non la loro dignità: prima di salutarli ci danno una bottiglia d’acqua fresca. “Fa molto caldo oggi”. Loro, che l’acqua la chiedono ai vicini.

La situazione a Led è esplosiva. La convivenza tra arabi e israeliani è rappresentata da un muro. Le autorità israeliane lo hanno costruito per dividere il quartiere arabo dai quartieri israeliani e da quelli dei nuovi immigrati dell’Est Europa, giunti in massa per giudaizzare la città e incrementare il divario demografico tra israeliani e palestinesi. Proviamo a chiedere alla gente che cammina per le strade del quartiere russo dov’è il muro. “Non parlo inglese”, la risposta più frequente. Un uomo al telefono ci saluta e ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto. Appena chiediamo di indicarci il muro di separazione, se ne va immediatamente senza una parola.

Prima del 1948, erano 40mila i palestinesi residenti a Led. Dopo la guerra e la nascita dello Stato di Israele case e terre sono state confiscate, molti palazzi sono stati demoliti per evitare il ritorno dei profughi, quelli che erano stati cacciati. Oggi i residenti di Led sono 74mila, il 30% arabi. Le abitazioni palestinesi si sono ridotte a 5mila unità, ma per la legge israeliana sono illegali perché prive dei permessi di costruzione o perché le famiglie non riescono a dimostrare la proprietà di case vecchie di quasi un secolo. Negli ultimi tre anni, i bulldozer dell’esercito israeliano hanno demolito oltre 150 abitazioni palestinesi.Adesso, le autorità israeliane hanno presentato un piano per l’allargamento della zona industriale e per il passaggio della superstrada proprio nel quartiere arabo di Led. Sono già cinquanta le case che hanno ricevuto l’ordine di demolizione.

Le famiglie palestinesi cercano di resistere, nei tribunali e nelle corti israeliane, ma senza risultati positivi. I due membri palestinesi della giunta comunale (due su diciassette) non hanno alcun tipo di potere, soprattutto ora che, a causa di episodi di corruzione, il governo di Tel Aviv ha commissionato la giunta. E gli effetti sulla vita quotidiana sono tangibili, le differenze tra la parte araba e quella israeliana abissali. Nel quartiere arabo non passano bus pubblici, non ci sono servizi postali né è prevista la pulizia delle strade. La discriminazione la tocchi con mano.

Ecco a voi Led, città mista nell’unica democrazia del Medio Oriente.  

2   OCHA: 7500 ulivi palestinesi distrutti in nove mesiLa piú grande ricchezza del popolo palestinese è da secoli rappresentata dall'albero di ulivo. Una ricchezza che da decenni l'occupante israeliano minaccia e distrugge: secondo l'ultimo rapporto Onu da gennaio a settembre 2011 sono stati sradicati oltre 7500 ulivi in Cisgiordania.A pubblicare oggi dati tanto preoccupanti è l'OCHA, l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari. Che snocciola una serie di numeri mostrando come l'economia di base palestinese sia drammaticamente minacciata dalle autoritá israeliane e dalla violenza dei coloni.


Un'economia familiare che si basa in molte aree agricole, per lo piú confinate in Area C (sotto il totale controllo civile e militare israeliano), sulla raccolta e la lavorazione delle olive: circa il 45% delle terre agricole dei Territori Palestinesi Occupati ospita uliveti. Sono circa 12 milioni gli alberi di ulivo in Palestina, la maggior parte dei quali in Cisgiordania. Un numero consistente che alimenta l'industria dell'olio di oliva: un quarto della produzione agricola totale nei Territori proviene dall'ancestrale lavorazione delle olive, una ricchezza che garantisce la sopravvivenza di circa 100mila famiglie.

Due le minacce concrete che la popolazione palestinese e i suoi uliveti devono affrontare, come spiega nel report l'OCHA. In primis la politica dei permessi delle autorità israeliane. Molte terre agricole, a causa della costruzione del Muro di Separazione e dell'espansione delle colonie, sono state annesse allo Stato di Israele o agli insediamenti illegali della Cisgiordania. Ció fa sì che un numero consistente di uliveti e terreni agricoli di proprietà palestinese non siano direttamente accessibili ai legittimi proprietari: migliaia di contadini si vedono negato l'accesso alle terre tra la Linea Verde e il Muro per "ragioni di sicurezza" o per l'incapacità a dimostrare la proprietà dell'appezzamento.

Le famiglie titolari delle terre sono costrette a chiedere all'Amministrazione Civile israeliana l'accesso alle proprie terre, attraverso speciali barriere. Secondo l'OCHA, 44 barriere su 66 sono aperte soltanto durante la stagione della raccolta e solo per poche ore, impedendo così ai contadini palestinesi di prendersi cura con costanza della terra e di incrementarne la produttività.

Inoltre, circa il 40% delle richieste di accesso alle proprie terre vengono rigettate dalle autorità israeliane. Alla politica dei permessi si aggiunge la violenza dei coloni: tra gennaio e settembre di quest'anno, secondo l'OCHA, sono stati oltre 7500 gli ulivi sradicati, dati alle fiamme o danneggiati dai coloni israeliani in Cisgiordania. Ne sono seguite 97 denunce da parte dei proprietari palestinesi: nessuna delle denounce alle autoritá israeliane ha condotto all'incriminazione dei responsabili.

Ed infine, Gaza: nella Striscia oltre 7300 dunam di terre, coltivate ad uliveti e situate lungo il confine con lo Stato di Israele (un'area larga 1.5 km), sono state livellate e distrutte dai bulldozer israeliani negli ultimi anni. I militari sono soliti aprire il fuoco contro chiunque si avvicini alla zona cuscinetto.

Secondo la Convenzione di Ginevra, Israele in qualità di potere occupante deve garantire la protezione della popolazione civile sotto occupazione e le sue proprietà, difendoli da qualsiasi atto di violenza. Inoltre le autorità israeliane devono garantire alla popolazione palestinese diritti basilari, tra cui la libertà di movimento e il diritto al lavoro.




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