MAHANAD YAQUBI E IL SUO CINEMA


          Scritto da Davide Parpinel   
Sabato 13 Agosto 2011 23:18
Il regista palestinese di corti e documentari ci parla della sua arte e della sua personale idea, ma anche dei suoi progetti futuri, sempre con un occhio alla storia e la suo passato.

Capire Mohanad Yaqubi.
Il filmaker di origine palestinese fa parte della nuova generazione di cineasti moderni in grado di sperimentare nuovi linguaggi cinematografici. La sua opera si può collocare a metà strada tra il cinema e la videoarte, ma è davvero così? Chiediamolo direttamente a lui nei giorni scorsi in Italia perché giurato dell'edizione di quest'anno del Lago Film Fest, ospite d'onore dopo la vittoria dell'anno scorso con il corto “Exit”.
Nella tua idea di arte cinematografica cosa significa la ripresa, concretamente? Cosa significa prendere la camera in mano e cominciare a filmare?
La macchina da presa, la camera, è un occhio meccanico che crea una realtà differente da quella che ci circonda. Muovo, gestisco, utilizzo il suo obiettivo come credo, in base a quello che desidero comunicare e realizzare e quindi restituisco allo spettatore la mia personale idea della realtà. Lo shooting, la ripresa non è mai la realtà, ma una realtà.
Scendiamo di livello, analizziamo i tuoi lavori. Il tempo e lo spazio sono due temi molto presenti nei tuoi corti. Cosa rappresentano?
o spazio nei mie corti è un elemento di indagine. Durante il giorno lo spazio è quello familiare del contesto in cui si vive, si lavora e quindi transitorio, rappresenta un passaggio, un qualcosa da attraversare per spostarsi da un luogo a un altro. É pieno dell'uomo.
La notte invece cambia tutto. Il tempo notturno è più reale, più vivo, non è contaminato dagli interessi dell'uomo, è più libero di accogliere i pensieri. Lo stesso vale per lo spazio; ai miei occhi un qualsiasi luogo che vivo durante il giorno, quando cala il sole assume un valore di indagine differente. I miei lavori, quindi, sono ambientati la notte. “Exit” rappresenta una nuova uscita, una nuova strada e una nuova visione anche della metro di Londra (in cui è girato); per questo dovevo girarlo di notte.
Quali sono le tematiche che desideri indagare nel tuo processo di sviluppo artistico?
La mia arte, il mio cinema muove da un presupposto: ricordarsi il passato per cercare il futuro, per connettersi con ciò che verrà. Per questo motivo “Off Frame”, il mio nuovo lavoro, prende in considerazione il passato della Palestina, la sua storia, perché in quel periodo, gli anni Settanta, è nata la nazione Palestina di oggi. Dopo questo documentario vorrei realizzare un film scientifico, una science fiction, perché mi interessa molto il mondo della scienza, sempre in evoluzione: dal passato si proietta nel futuro.
Parliamo ora, quindi, di “Off Frame”. 
Il documentario vuole mostrare ciò che fecero un gruppo di registi che nel 1977 riuscirono a contrabbandare 30.000 m di negativi da Beirut a Roma durante la guerra civile libanese. L'obiettivo del PFU (Palestina Film Unit) era produrre una nuova immagine dei palestinesi, da rifugiati a combattenti.

Quanto è importante per te e per il popolo palestinese quel periodo?

La Palestina è molto cambiata in quegli anni, perché finalmente dopo anni di lotta, riuscì a prendere coscienza della sua realtà, del suo essere nazione e popolo. “Off Frame” vuole restituire al mondo un'immagine della Palestina che combatte, non con le armi, ma con il potere della cultura. Voglio  fornire una nuova immagine e comprendere quanto furono fondamentali quegli anni per creare una coscienza, una precisa identità al popolo. 
Per te, quindi, è importante che il mondo conosca la storia della tua nazione?
É molto importante, ma soprattutto che la capisca per come è stata, quali sono stati i presupposti, le azioni, i pensieri e le conseguenze. Per questo ho scelto di girare il documentario con uno stile narrativo e cinematografico molto simile a quello del tempo, vicino a quello che è definito lo stile del “cinema rivoluzionario”. Dai silenzi alle parole, tutto deve essere originale.
Sei convinto che il cinema di oggi, come lo fu quello di allora, possa avere ancora un valore civile, di educazione?
Il cinema influenzerà per sempre le coscienze della gente, sia che parli di amore o di lotta. Fornirà sempre dei suggerimenti, comunicherà sempre un messaggio, perché questa è la funzione delle immagini.
Come ultima domanda torniamo a te. Analizzando i tuoi lavori si può notare che lo studio dell'inquadratura non è da videoartista, ma da regista, ma allo stesso tempo le tue immagini sono così concettuali da avvicinarti più al mondo della video arte. Tu come ti definisci?
Le categorie chiudono la creatività, uccidono il concetto, l'idea. Sono un documentarista con un progetto artistico molto chiaro in mente. A me interessa prendere vari aspetti dell'arte, da più forme artistiche e rimescolare i concetti. La creazione è ciò che mi interessa.

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