LA PALESTINA ALL’ONU,COSA SUCCEDERÀ A SETTEMBRE


MIKAELA LEVIN
Beit Sahour (Cisgiordania), 26 agosto 2011, Nena News – “Gli attacchi contro Gaza non cambiano il nostro messaggio di settembre, lo rafforzano: non possiamo continuare ad accettare la situazione attuale”, spiega Xavier Abu Eid, membro del team di negoziatori dell’Autorità Palestinese.
Ottimista nonostante la recente escalation militare israeliana e gli attacchi verbali, Abu Eid, palestinese nato in Cile, ha chiarito la strategia dell’AP di fronte alle Nazioni Unite, il suo possibile risultato e le eventuali influenze a lungo termine sulla lotta politica per la liberazione del popolo palestinese.
Prima di tutto, Abu Eid ha spiegato le due diverse possibilità: presentarsi direttamente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e chiedere il riconoscimento della Palestina come Stato membro delle Nazioni Unite (dove i palestinesi si scontrerebbero con il veto degli Stati Uniti), o rivolgersi prima all’Assemblea Generale per chiedere lo status di Stato non membro. “Sarebbe importante perché non solo verremmo riconosciuti come Stato, ma come Stato potremmo definire confini più efficaci, firmare trattati internazionali e diventare membri degli organi dell’ONU”, ha spiegato Eid.
Lo Stato non membro (lo status, ad esempio, del Vaticano all’ONU) significherebbe la mancanza del diritto di voto in Assemblea Generale e nel Consiglio di Sicurezza, ma la possibilità di essere parte dei diversi organismi, come la Corte di Giustizia Internazionale. “Se diventassimo membri della Corte, saremmo in grado di presentare reclamicontro i crimini di guerra o i crimini contro l’umanità”, ha aggiunto il funzionario palestinese. Un nuovo elemento di lotta della AP contro l’occupazione militare, anche se Israele (come l’alleato americano) non ha firmato lo Statuto di Roma e, di conseguenza, può essere indagato solo formalmente dalla Corte nel caso in cui lo chieda una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. E come la storia ha insegnato al popolo palestinese, le autorità politiche e militari israeliane sono protette dal veto statunitense al Consiglio.
Per quanto riguarda i circa quattro milioni di rifugiati che vivono fuori dai Territori Palestinesi Occupati, Abu Eid ha spiegato che l’iniziativa diplomatica del prossimo mese non cambierà radicalmente la loro situazione: “È importante non fraintendere. Il riconoscimento non significa che potremo dare il passaporto ai rifugiati, che potranno entrate a Gaza e in Cisgiordania e che il problema sarà risolto. No, i diritti inalienabili del popolo palestinese, secondo le Nazioni Unite, includono l’autodeterminazione e il ritorno dei rifugiati”, ha sottolineato Abu Eid.
Abu Eid ha poi enfatizzato che Hamas sostiene la strategia di Mahmoud Abbas nei confronti del’Onu e che il processo di riconciliazione è ancora in vita. “La nostra posizione è chiedere ad Hamas tre cose, tre cose su cui ha già dato il suo assenso: l’accettazione della soluzione di due Stati, il riconoscimento dell’Arab Peace Initiative (ndr, iniziativa di pace proposta nel 2002 dalla Lega Araba al Summit di Beirut: obiettivo è la fine del conflitto arabo-israeliano attraverso la normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo, in cambio del ritiro completo dai Territori Palestinesi Occupati e il ritorno dei rifugiati) e l’impegno a rinunciare alla violenza. Quando Gaza non era sotto attacco, Hamas non ha lanciato razzi contro Israele”Abu Eid ha rigettato le argomentazioni di coloro che chiedono ancora di più ad Hamas e ha messo in dubbio la possibilità di riprendere oggi i negoziati di pace: “La realtà di tutti i giorni mostra che Israele non è interessato alla pace. Anche se il presidente Abbas volesse sedersi al tavolo e negoziare, cosa negozierebbe? I negoziati non sono il fine, ma il mezzo”.
“Spesso ci sentiamo dire che non dobbiamo cedere alla violenza – ha aggiunto il negoziatore – Perfetto, sono d’accordo. Quindi, cosa dobbiamo fare? Quando la Flotilla è partita, Israele l’ha fermata. Quando le Ong tentano di portare i generali israeliani di fronte ad un tribunale, i Paesi europei cambiano le loro leggi. E adesso che vogliamo presentarci all’ONU, dicono no. Allora, cosa ci resta? Quelli che voteranno contro lo Stato di Palestina a settembre, invieranno un messaggio sbagliato, un messaggio che cancella la speranza, la possibilità di pace”.
Secondo Abu Eid, gli unici voti sicuri in Assemblea Generale contro il futuro Stato palestinese sono quelli di Israele, Stati Uniti, Micronesia e Isole Marshall (lo stesso gruppo che ha votato contro il mondo intero a favore dell’embargo americano a Cuba). Il Canada, ha riconosciuto Eid, potrebbe probabilmente unirsi a questa minoranza. Altri Paesi, come Germania, Portogallo, Gran Bretagna, devono ancora decidere e potrebbero astenersi. “La nostra risoluzione avrà un linguaggio molto simile a quello delle risoluzioni Onu e dell’Unione Europea. Sarà veramente difficile per loro giustificare un voto contro”. Nena News

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