Jeff Halper : i manifestanti israeliani saranno in grado di uscire dalla custodia (sionista)?


  Le dimostrazioni che attualmente irritano Israele, costituiscono una sfida della base popolare al regime neo-liberale israeliano. E’ iniziato come un’insurrezione delle classi medie – specialmente dei giovani che hanno problemi a trovare degli alloggi a basso costo – e si è estesa alla classe lavoratrice, ai poveri, anche alle comunità arabe, anche se non ancora a quelle religiose. Molti dei settori lavorativi si sono uniti alle proteste che durano da tre settimane: dottori, madri nubili, genitori che chiedono l’istruzione gratuita, tassisti sconvolti  per il prezzo della benzina, perfino la polizia. Lo Histadrtut, cioè la Federazione israeliana del commercio e molti comuni si sono uniti alle proteste. Si ipotizza che stasera le proteste in tutto il paese porteranno mezzo milione di persone nelle strade.Si discute molto la protesta  se dovrebbe essere un fatto politico o no. Sono stato alle dimostrazioni il 30 luglio e mentre lo slogan principale era “Domandiamo giustizia sociale” (sebbene si sentissero scandire anche slogan di “Mubarak, Assad, Netanyahu”), era chiaro che la maggior parte dei persone che partecipava volevano che il movimento rimanesse “non politico”, radicato completamente  nel consenso tradizionale. La spinta è anti neo-iberale, anche se non formulata esattamente con quelle parole. Invece i problemi sono definiti ancora in modi più  limitati e tecnici: alloggi a basso costo, istruzione accessibile, ecc. Questa può essere una strategia iniziale efficace, poiché si rivolge a un pubblico più vasto. Molti di coloro che appoggiano le proteste, per esempio i tassisti, tendono a votare per il partito Likud di Netanyahu. Tutto ciò che è politico resta appena sotto la superficie. Le parole “Bibi [Netanyahu] vattene a casa” sono dappertutto: scritte sui manifesti, sui volantini, e scandite come slogan.Ci sono quelli della sinistra come noi, che cercano di spingere la protesta in una direzione più politica, sebbene siamo sensibili al fatto che deve verificarsi  un processo graduale di presa di coscienza politica. Nelle nostre dichiarazioni e nelle discussioni che facciamo nelle città-tenda in tutto il paese, cerchiamo di denunciare  il neo-liberalismo come causa fondamentale di disuguaglianza nella società israeliana; il neo-liberalismo come l’ideologia dominante del governo, come suo insieme  dominante di politiche, come un sistema e non solamente un insieme di politiche scollegate dalle quali uno possa attingere  e scegliere. Noi facciamo anche un collegamento tra il problema dell’uguaglianza sociale e della ripartizione delle risorse con l’Occupazione e con  l’ingente bilancio di Israele per le spese militari (16 miliardi di dollari, o 2.300 dollari a persona, il più alto  rapporto tra spese per la difesa  rispetto  al prodotto interno lordo esistente  nelle nazioni industrializzate).
L’Unione degli studenti di Tel Aviv che si è assunta parte della leadership amorfa ha opposto particolare resistenza a questo problema. Finora c’è uno sforzo consapevole della maggioranza dei dimostranti e degli organizzatori di escludere l’Occupazione dalla discussione e di mantenere le proteste “non-politiche”. Ironicamente, sono i coloni che insistono perché la protesta prenda posizione sull’Occupazione. All’inizio si sono opposti alle proteste, sostenendo che il movimento è soltanto un modo per indebolire Netanyahu in previsione della richiesta palestinese di diventare stato che verrà fatta all’ONU in settembre. La settimana scorsa, però, i giovani coloni dell’ala razzista di estrema destra hanno piantato le tende nella parte di Tel Aviv dove si fanno le proteste (con lo slogan “Tel Aviv è ebrea”) per far accettare  l’idea che la soluzione alla crisi degli alloggi è di costruire massicciamente nei Territori Occupati. Nel frattempo, 42 membri di destra della Knesset hanno mandato una lettera a Netanyahu esortandolo a risolvere il problema degli alloggi con una massiccia opera di costruzione in Cisgiordania.Rimangono quindi aperti due problemi. Primo: le proteste si fermeranno quando    avranno davanti  il soffitto invisibile del confronto reale con il sistema neo-liberale, compresa l’Occupazione? I dimostranti sono in grado di “andare là”,  hanno la capacità di mettere davvero  in discussione  le premesse fondamentali del sistema e le sue politiche? Qui il sionismo continua ad avere il suo ruolo (perfino una delle grandi fazioni di “sinistra” che partecipano alle proteste si chiama Sinistra nazionalista). Se la base del Sionismo non viene contestata, cioè Israele deve essere uno stato ebraico sull’80% o più della Palestina storica – allora il risultato più importante alla base delle proteste, la giustizia sociale per tutti, non può essere raggiunto dal punto di vista delle strutture e dell’ideologia. L’integrazione, l’uguaglianza completa, e la democrazia genuina non possono nascere all’interno di Israele fino a quando gli Ebrei reclameranno diritti privilegiati sui Palestinesi e su altri cittadini di Israele – tenendo nel frattempo milioni di cittadini non-Palestinesi in stato di occupazione o “schiaffati” in campi profughi. La realtà è che la vasta maggioranza dei dimostranti presta servizio militare nell’esercito e sono, in modo genuino e sincero,  parte del consenso nazionale.Nella città-tenda a Tel Aviv ho incontrato un veterano della IDF (Israel Defense Forces – Forze di difesa Israeliane, n.d.T.),che è stato 7 anni nell’esercito; ha cercato di convincermi che Che Guevara (rappresentato su un manifesto con una  grossa X  sulla faccia) non poteva avere il ruolo di modello  rivoluzionario perché era violento. Il mio interlocutore, che si considerava liberale e illuminato, non poteva afferrare la relazione tra il fare parte dell’esercito israeliano, che rientra nella categoria del consenso nazionale, e il suo credo non-violento.L’altra domanda è: dove può andare questo movimento? Dopo che Ehud Barak e soci (vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Ehud_Barak, n.d.T.) hanno alla fine smantellato il Partito laburista, che 25 anni fa era diventato neo-lberale,a Israele manca un importante partito sociale democratico [in questa fase il  Meretz  (http://it.wikipedia.org/wiki/Meretz-Yachad, n.d.T.) non conta affatto]. Dov Khanin  del Community Party rappresenta  forse la voce più chiara e rispettata contro il neo.liberalismo nella Knesset ed è molto popolare tra i dimostranti (è anche uno dei primi membri della Knesset cui è stato consentito l’accesso alla città tenda). Il suo partito, però, che si identifica quasi esclusivamente con la comunità araba, non può servire come tramite di quel tipo. Una possibilità molto realistica e interessante è che Arye Deri, un ultra ortodosso Mizrahi (http://it.wikipedia.org/wiki/Mizrahi),e fondatore dello Shas  (http://it.wikipedia.org/wiki/_Shas, n.d.T.),  che ha grande credibilità  perfino tra le classe medie laiche, fonderà un partito di quel tipo. Naturalmente questa è la speranza della classe dirigente: che l’insurrezione morirà una volta  che poche richieste saranno accettate, altre saranno destinate a interminabili riunioni di comitati e una volta che  le vacanze estive saranno finite.Ci sono  comunque delle potenzialità in questa situazione. Alcune delle discussioni stanno diventando politiche (nella città-tenda di Tel Aviv  c’è anche una tenda del 1948) e resta da vedere che cosa accadrà se il governo fa muro e respinge le proteste. E’ un’insurrezione che vale la pena di seguire. Forse non è una  Primavera araba, ma una promettente estate israeliana. Un processo di presa di coscienza è certamente iniziato tra gli Israeliani ebrei tradizionali che per generazioni sono stati chiusi a chiave nella “Custodia” del conformismo. Quindi il processo, il flusso, la potenzialità, sono ancora all’ordine del giorno. Un test per vedere fino a che punto possono  arrivare le dimostrazioni  ci sarà in settembre quando i palestinesi dei territori occupati inizieranno massicce proteste in previsione del voto dell’ONU. Che cosa accadrà se le proteste delle città-tenda sopravvivranno  e continueranno fino a settembre? Si uniranno ai loro omologhi  palestinesi? Noi della sinistra critica che siamo impegnati in entrambi i movimenti, saremo capaci di fare da ponte tra di loro? Immaginate una marcia di massa da Tel Aviv a Ramallah e ritorno! Sono i momenti in cui i paradigmi vengono polverizzati e si aprono invece possibilità di un ordine sociale, politico ed economico completamente nuovo. Auguriamoci che  tutti noi possano arrivare a settembre.

Jeff Halper è il Direttore dell’Israeli Committee Against House Demolitions (ICAHD) (Comitato di Israele contro la demolizione delle case, n.d.T.). Si può contattare all’indirizzojeff@icahd.org.
Traduzione di Maria Chiara Starace
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