Lo stillicidio di Gaza di Mario Badino









 

L’attentato avvenuto giovedì scorso a Eilat (area turistica israeliana sul Mar Rosso, vicino al confine con l’Egitto) ha fornito il pretesto ai media occidentali per l’ennesima prova di disinformazione, secondo una politica ormai consolidata quando si tratta di israeliani e palestinesi.
È noto ormai che le vittime di Israele diventano subito notizia, che in men che non si dica fa il giro del mondo, trasmessa dai telegiornali; se a fare vittime sono i raid di Tel Aviv su Gaza, invece, il fatto è generalmente ignorato dalle televisioni e dai grandi giornali.
Premetto ciò per ricordare che negli ultimi mesi i bombardamenti sulla Striscia di Gaza si sono susseguiti senza che i media abbiano trovato la cosa degna di essere raccontata; che ancora va avanti, da parte di Israele, la triste pratica degli omicidi mirati di personaggi legati ad Hamas, al fine di destabilizzare un governo che, se non raccoglie le mie simpatie, è stato eletto dal popolo attraverso elezioni regolari – a differenza di altri che l’occidente sostiene; che i soldati d’Israele continuano a sparare sui contadini che si avventurano nei campi a ridosso dei reticolati che chiudono la Striscia, in zone arbitrariamente definite off limits per gli stessi proprietari; che, soprattutto, l’embargonon è finito e che a Gaza continuano a mancare generi di prima necessità e ancora non si sono potuti riparare i danni causati dall’esercito israeliano (Tsahal) nell’oprazione militare «Piombo fuso» (dicembre 2008-gennaio 2009).
Ciò detto, anch’io mi unisco alla condanna dell’attacco di Eilat, del quale hanno fatto le spese un veicolo militare, un autobus con a bordo civili e militari in licenza e due auto civili. L’importanza della vita umana non dipende dalla fazione di appartenenza e si può criticare l’enfasi (liberticida) posta dagli Stati sulla guerra al terrore senza per questo perdere la capacità di riconoscere – e condannare – gli atti di terrorismo. Non posso non notare, però, che quella che era in parte una colonna militare è stata trasformata, dai media, in un paio di autobus turistici… attaccati da Hamas.  
Hamas: nel giro di poche ore i giornalisti occidentali, veri segugi che non mollano una pista finché non hanno scoperto la verità, sono riusciti a trovare il colpevole. Oppure hanno creduto al ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, che si è detto convinto che «la vera responsabile di questo attacco è Gaza». Di fronte a tanta “convinzione”, che importa che Hamas abbia negato il proprio coinvolgimento, oppure il fatto che fino a oggi – e nonostante i raid quasi quotidiani su Gaza – abbia rispettato la tregua unilaterale proclamata nell’estate del 2009?

Secondo i leader di Hamas, i servizi segreti israeliani sarebbero stati informati con qualche giorno d’anticipo, da fonti giordane, dell’imminenza degli attacchi, ma non sarebbero intervenuti in modo da sfruttare la vicenda per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica israeliana, che da settimane protesta contro la politica economica del governo, verso la questione della sicurezza di Israele. Poche ore dopo l’attacco, ileader del movimento di protesta hanno annunciato la sospensione delle manifestazioni programmate per i giorni seguenti.
Ora io, per scelta, non credo alle teorie complottistiche finché non ci sono prove certe a loro sostegno. Non mi interessa sapere oggi se le Torri Gemelle sono cadute a causa di Bin Laden oppure su decisione della Cia, perché non ho modo di saperlo. Ma registro come – in un caso e nell’altro – ad avvantaggiarsi degli attentati dell’11 settembre è stata la politica di “guerra perpetua” di Bush. Allo stesso modo, quand’anche dietro l’attacco di Eilat ci fosse Hamas (il che è improbabile, ma che prove ho per escluderlo?), è da notare come una volta di più a fare le spese delle azioni e delle politiche di pochi è la popolazione. I morti di Eilat, come quelli della rappresaglia israeliana nella Striscia. Da giovedì a oggi i raid su Gaza si sono susseguiti, con il loro bagaglio di distruzione e morte, e – a distanza di tre giorni – non sono ancora terminati. A seguito di questi nuovi bombardamenti, Hamas ha annunciato la rottura della tregua unilaterale e la situazione è destinata quasi sicuramente a precipitare ancora.
In questo crescendo di violenza, l’inaffidabilità dei media è davvero disperante e avverto più che mai la mancanza di Vittorio Arrigoni, testimone e voce della sofferenza dei palestinesi della Striscia. Sono le persone come Vittorio, che neppure era giornalista, almeno non ufficialmente, a tenere accesa la speranza di giustizia di un popolo, perché la “ragione”, nella storia dei forti, non appartiene solo a chi vince sul campo, ma anche a chi sa operare per nascondere la realtà e per confinare la popolazione nell’ignoranza. È per questo che ci indignamo – giustamente – per un attentato, non altrettanto per una reazione non soltanto sproporzionata ma, soprattutto, diretta contro chi non c’entra niente.

Oggi stesso (20 agosto), sotto le bombe israeliane, due ragazzini sono stati feriti a Shijaeya. A uno dei due è stata amputata una gamba [mi giunge un aggiornamento: putroppo il ragazzo con la gamba amputata è morto]. Difficile comprendere quale relazione possa intercorrere tra il loro ferimento e l’attaco di Eilat. O come l’attentato di giovedì possa giustificare l’uccisione di Mahmoud Abu Samra, 13 anni. O quella diIslam Qaraqi, 5 anni (QUI, se lo ritenete, trovate la foto del cadavere). È invece facile capire come l’attuale politica israeliana non possa far altro che alimentare l’odio e, alla lunga, rendere Israele meno sicuro. Non si può continuare a uccidere innocenti, a sfornare “martiri” senza essere colpiti, un giorno, dalla vendetta dei superstiti. O il governo di Israele pensa davvero, come aveva pubblicamente affermato, qualche anno fa, l’attuale ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, che l’unica soluzione davvero risolutiva al problema di Gaza sia la bomba atomica?

>>> L’immagine di questo articolo è di Carlos Latuff.

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