Davide Assael Oslo e la follia politica della contrapposizione

La nostra attenzione non può che essere attratta dagli eventi di Oslo. Alla notizia si è subito scatenata la caccia all’islamico e con essa sono ripartite le diagnosi sull’incompatibilità fra l’Islam e i valori occidentali già sentite infinite volte in questi anni. Invece, era proprio il contrario: l’attentatore viene definito come un fondamentalista cristiano che ha voluto colpire al cuore quel modello multiculturale criticato dalle destre europee. Con ciò, non ci metteremo a insistere sulle conseguenze delle politiche xenofobe che alimentano gesti folli e assassini, perché non faremmo altro che agire specularmene alla chiacchiera sul buonismo e sulla tolleranza senza limite cui da tempo assistiamo. Nessuno nega la difficoltà della relazione e la necessità di stabilire nuovi modelli relazionali. Però, visto che noi esseri umani dobbiamo trovare un senso all’incomprensibile, speriamo che questi atti terroristici, a fianco alle novità che il mondo arabo ha espresso in questi ultimi mesi, scrivano la parola fine alla folle politica della contrapposizione, sorretta da improbabili teorie di scontro di civiltà, sviluppatasi in questi anni. Un tema che riguarda da vicinissimo il mondo ebraico. Cito da un’intervista alla scrittrice norvegese Anne Holt apparsa su “la Repubblica” sabato 23 luglio, quando si pensava ancora alla matrice islamica: “Da circa dieci, quindici anni gli immigrati, anche quelli di seconda, terza generazione, hanno crescenti problemi a trovare alloggi e lavoro. E sono sempre più attaccati verbalmente. Ma non sono i soli. È un’avversione per l’Altro più ampia, che colpisce, per esempio, anche le poche migliaia di ebrei che vivono da decenni nel Paese”.

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