Moni Ovadia: "La cultura più forte è quella più aperta al diverso. Israele apra la gabbia di Gaza"
Intellettuale cosmopolita e quindi prezioso osservatore della realtà italiana spesso troppo china sul proprio ombelico, Moni Ovadia rappresenta una voce indipendente e preziosa proprio per il suo sguardo di viaggiatore del mondo, di quello interiore e di quello calpestabile. Ovadia, attore teatrale, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante, sarà a Cagliari il 5 giugno per la rassegna Leggendo Metropolitanoquest’anno dedicata alle Radici, intese come, cartografie del futuro. Il titolo del suo intervento si addice molto a un uomo che ha spesso in mano la valigia e la penna: “Il Libro e il Viaggio”, e una rassegna che ha per tema il rapporto fra identità e memoria con uno sguardo al domani, sembra proprio nelle sue corde. Ma l'occasione è preziosa anche per parlare di Medio Oriente e di quella guerrra fra israeliani e palestinesi che sembra non avere fine.
Lei fa parte di una civiltà di diaspora che ha molto da insegnare quanto a cura delle radici e della memoria, ma che conosce anche quale sofferenza possa esserci nel sentirsi stranieri. Come coniugare il binomio identità-memoria col saluto a chi viene da fuori?
“Intanto noi dobbiamo ricordare che esiste una radice dell’universalità umana che è nell’esilio. Noi tutti dobbiamo imparare che la terra non ci appartiene ma la attraversiamo e ne siamo ospiti per lasciarla al futuro. Non essendone i proprietari dobbiamo sapere coniugare la radice particolare con quella universale, se non sappiamo farlo viene fuori che questa radice è fonte di discriminazione, respingimento, rifiuto e, al limite, di violenza. Dobbiamo capire che abbiamo molteplici identità e siamo fondati da molteplici radici: una di queste radici è il viaggio.”
Questo è il tema del suo prossimo intervento.
“La storia dell’umanità è una storia di migrazione perché se non avessimo viaggiato, saremmo ancora degli scimmioni nel centro dell’Africa, la nostra radice sarebbe avvitata su se stessa e sterile. Le nostre basi culturali invece danno frutto quando sono alimentate dal confronto, e una radice è tanto più forte quanto è più capace di confrontarsi. Il tutto con la consapevolezza che c’è una radice comune a ognuno che è quella dell’universalità umana. Solo dove convivono questi due elementi, il viaggio e il senso dell’universalità umana, si fertilizza la vita, l’amicizia, la fratellanza e la giustizia. Dove le radici confliggono c’è la guerra e c’è la morte. E dove le radici si mantengono estranee non c’è nemmeno il commercio, manca quindi pure quell’elemento che caratterizza l’uomo economicamente. Nel primo libro di greco dal quale ho studiato, gli antichi greci - considerati i padri della cultura occidentale - vengono descritti così: viaggiarono molto, diedero e presero, impararono e insegnarono.”
L’Occidente oggi è diviso fra l’isteria di una piccola radice e l’omologazione che ha causato. Prendiamo un fenomeno culturale, senza esprimere un giudizio politico, come quello della Lega: i leghisti rivendicano la chiusura, la diversificazione, il respingimento. Ma non si rendono conto che questo effetto lo abbiamo prodotto noi? L’omologazione del mondo l’abbiamo prodotta noi, non sono mica stati quelli che oggi arrivano coi barconi. Siamo andati noi in tutto il mondo con la pretesa di evangelizzare, a dire che eravamo superiori, che avevamo la verità. Chi è andato con la protervia di redimere e invece ha portato lo sterminio? Chi è andato a distruggere intere civiltà precolombiane o africane? Chi ha ucciso i 15 milioni di nativi statunitensi? Lei sa quanti morti ha fatto Leopoldo II del Belgio nel solo Congo belga? 10 Milioni di morti, il buon occidentale del messaggio evangelico ha questo primato oltre a quello dia vere fatto uno zoo in cui ha messo dentro gli africani. Chi ha negato l’esistenza della loro anima? Lo abbiamo fatto noi, siamo stati i peggiori. Il peggior crimine della storia dell’umanità non è la Shoa, che pure è stata terribile per la sua radicalità, ma per vastità il più grande crimine è stato il colonialismo.”
Certo che detto da lei, che fa parte del popolo colpito dalla “Soluzione finale”, fa molta impressione.
“E del resto anche quello compiuto contro gli ebrei è stato un crimine che l’Europa ha compiuto contro se stessa. Perché la radice culturale dell’Europa è quella ebraica. Da dove viene il cristianesimo se non dall’ebraismo. Ci sono voluti 2mila anni perché si ammettesse che Gesù è ebreo e lo è per sempre. Ma perché non si sapeva anche prima? Di quale dio parlava Gesù se non quello della Torah, non c’è mica un dio buon e uno cattivo. E oggi ce la prendiamo pure coi cinesi, ma siamo stati noi a dirgli quanto era bello il capitalismo. Sia bene inteso, la Cina è un paese con un governo che pratica politiche repressive spaventose, ma noi andiamo a dare lezioni ai cinesi? Ma con che arroganza?”
oggi emerge come gli occidentali - che se hanno un primato sugli altri popoli è proprio quello del viaggio - siano i più chiusi ai movimenti migratori e che li temano come una minaccia al proprio benessere e alla propria cultura.
“Non confonda il viaggio col turismo. Il turismo è la metastasi del viaggio, è la sua forma cancerogena, con tutto il rispetto per i tour operator. Io parlo da un punto di vista culturale. Il viaggiatore va per conoscere, per essere sorpreso, destabilizzato e per rimettersi in questione. Il turista no, va per ritrovare la cartolina che ha visto sul depliant.”
Quindi il nostro viaggiare è un puro fare chilometri senza apertura all’altro.
“Oggi non si può neanche più viaggiare. Oggi se lei vuole andare a cercare la spiritualità dell’Himalaya, l’Everest lo trova pieno di spazzatura delle spedizioni, trova i barattoli di Nutella. È finita, oggi si può viaggiare solo nell’interiorità, si può viaggiare culturalmente. Perché l’occidente, scegliendo la logica del danaro, del potere, della protervia ha trasformato il viaggio in un commercio. Ci sono ancora pochi viaggiatori, ma si viaggia negli interstizi, nelle periferie, presto finirà tutto e resterà solo il turismo. Il senso del viaggio è quello dell’incontro con l’altro, ma l’occidentale non incontra l’altro, lo omologa a se stesso.”
Il globale ha fagocitato il localeVeniamo ai mali più tipicamente italiani. Siamo al compimento di quasi un ventennio di berlusconismo inteso come dominio delle istituzioni ma anche sociale. Dopo l’esito di queste amministrative, possiamo dirci di fronte a un cambiamento culturale, oltre che politico?
“Secondo me no. Politicamente forse, ma culturalmente dobbiamo prima fare un duro lavoro. È un grande momento per il nostro paese perché la madre di tutte le battaglie è quella culturale. Ma se l’intero Paese, compresa quella destra più civile che si è affrancata dal premier, non farà un lavoro di bonifica dalla sottocultura berlusconiana, non ne usciremo. La battaglia va fatta nelle tv pubblica e private, nella scuola, per l’educazione e la formazione dei cittadini. Se noi non provvederemo ad abbandonare la cultura della furbizia, il Paese finirà alla catastrofe e ribadisco che abbiamo bisogno anche di una destra democratica, civile ed europea che ancora non abbiamo.“
A Milano ha vinto Pisapia nonostante la questione della moschea e il pericolo dell’islamizzazione paventato dalla destra. Che lei sappia la comunità ebraica è in apprensione?
“Non frequento la comunità ebraica milanese se non molto perifericamente. Sono un totale outsider e come ebreo rappresento solo me stesso. La presa di distanza è stata necessaria anche per la mia posizione sulla questione mediorientale. Direi però che tendenzialmente la comunità ebraica non guardi con diffidenza al fatto che un’altra religione, quella islamica in questo caso, abbia i suoi spazi. Certo ci sono anche quelli di destra ma, come minoranza, gli ebrei sono per la libertà di accesso al culto. I problemi sono tutti legati alla questione israeliana, perché altrimenti non c’è nessun tipo di prevenzione.”
A proposito di Medio Oriente, cosa pensa della proposta di Obama di riavviare i processi di pace con l’ipotesi di fare rientrare Israele nei confini precedenti la guerra del 1967?
“È una proposta che hanno fatto in molti ed la pace più realistica possibile. Con scambi di terre uno a uno dove ci sono i confini più delicati e Gerusalemme capitale dei due stati: Israele e Palestina. È il minimo che si possa fare ed è ciò che rappresenta la legalità internazionale: ci sono due risoluzioni dell’Onu approvate dal Consiglio di sicurezza all’unanimità che si chiamano 338 e 242. I governi israeliani sono in evidente violazione della legalità internazionale e l’argomento della sicurezza, che pure è una questione seria, non può essere trasformato in una pistola puntata alla tempia dei palestinesi.
Il primo ministro Netanyahu ha però rifiutato l'ipotesi.
"Israele ha una classe politica più mediocre persino di quella italiana. Gli israeliani dicono unilateralmente: ‘Siccome c’è la questione della sicurezza, decidiamo noi dove stanno i confini’. Ma c’è una legalità internazionale che va rispettata. Israele è nata su una risoluzione dell’Onu, la 181. Può Israele, nata grazie all’Onu, universalmente accettata da tutti i paesi, non rispettarne la legalità? Le condizioni in cui vivono i palestinesi sarebbero intuibili dalla sola evoluzione delle cartine geografiche: colonizzazioni, territori occupati direttamente dall’autorità militare israeliana, strade che i palestinesi non possono percorrere, check point rigidi o morbidi e muro, si tratta di una prigione a cielo aperto. Gaza era una gabbia finché gli egiziani non hanno aperto in confini. Finché gli israeliani non riconosceranno l’umanità dei loro vicini palestinesi, questa guerra non avrà fine.”
03 giugno 2011
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