Moni Ovadia “Contro di me un atto fascista”

    “ Un atto intimidatorio e fascista, figlio della temperie berlusconiana”. Moni Ovadia, attore, scrittore e molto altro, bolla così lo striscione anonimo apparso domenica scorsa sul muro della scuola ebraica di Roma: “Ogni ebreo è nostro fratello, Moni Ovadia e Giorgio Gomel no”. Il segno più rumoroso di una polemica che sta lacerando la comunità ebraica italiana. Una ferita (ri)apertasi la settimana scorsa, con una lettera di Gomel al mensile Shalom, in cui l’economista si scagliava contro “l’happening e barbecue con i nostri fratelli di Itamar”. Un’iniziativa organizzata dalla comunità ebraica romana, in quell’insediamento nel West Bank, vicino alla città palestinese di Nablus, dove nel marzo scorso un’intera famiglia di coloni ebrei è stata uccisa. Gomel ha protestato, ad alta voce: “Itamar non è un posto da barbecue e i suoi abitanti non sono i “nostri fratelli”. Itamar è uno degli insediamenti illegali dal punto di vista del diritto internazionale, tra i più assurdi per la geografia e la storia politica. Difficile immaginare un’iniziativa peggiore di questa”. Ne è nato un putiferio, tracimato nello striscione che ha coinvolto Ovadia: anche lui schierato a sinistra, e contrario agli insediamenti dei coloni.
Ovadia, cosa ha provato appena saputo di quella scritta? 
Le dirò che quasi me lo aspettavo, vista l’aria che tira nella comunità. Certi ebrei sentono molto la temperie berlusconiana, questo clima in cui si insulta invece che discutere, e in cui chi ha la maggioranza dei voti pensa di avere il diritto della ragione. La tecnica dell’intimidazione è fascista, tipica di tutti i sistemi totalitari.
Perché si è arrivati a questo?
Perché la situazione si è fatta molto pesante. C’è il crescere delle destre europee, e in più si è tornati a discutere di processo di pace in Medio Oriente. In certi circoli ebrei, Obama viene definito antisemita solo perché ha timidamente proposto di tornare ai confini del 1967. Il nodo centrale è questo: si possono criticare le idee, ma non insultare chi le esprime.
Anche Gomel è stato duro: la precisazione sui fratelli l’ha fatta per primo lui 

innanzitutto, Giorgio si è espresso con una lettera firmata, non come gli autori di quel vigliacco striscione. Poi, ha criticato con argomentazioni precise l’uso strumentale del termine fratello.
Lei e Gomel comunque non siete isolati. Gad Lerner vi ha difeso sul suo blog, e un gruppo di oltre 50 ebrei romani ha provocatoriamente proposto di scrivere sul muro della scuola “i nostri nomi di proscritti”. Mentre Renzo Gattegna, il presidente dell’Unione Comunità ebraiche italiane, ha deplorato “l’uso di termini diffamatori e ingiuriosi”. 
Guardi, come sottolinea giustamente Lerner, nella sua dichiarazione Gattegna non cita neppure il mio nome e quello di Gomel, come se fossero troppo pericolosi. La verità è che episodi del genere vanno condannati con forza, a prescindere. “La calunnia è grave quanto l’omicidio”, sta scritto nel Talmud.
Ma l’isolamento… 
Sono anni che non mi invitano alle manifestazioni per la Giornata della cultura ebraica.
Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, ha annunciato un convegno “in cui discutere della vicenda degli insediamenti”: ha invitato l’ambasciatore di Israele, un rappresentante di Itamar e Gomel. Lei ci andrebbe? 

Non a queste condizioni. Perché non invitano anche un rappresentante dell’opposizione? Il governo non può rappresentare tutto Israele. E comunque non ho voglia di espormi a gogne. Per inciso: Pacifici ha fatto la distinzione tra ebrei buoni e cattivi
.Se potesse parlare a quattr’occhi con gli autori dello striscione? 
Gli porrei una domanda: “Volete discutere con me, o volete ergervi a miei giudici e carnefici?”


.Luca De Carolis, Il Fatto Quotidiano, 26 maggio 2011
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