È passato un anno dal mio arresto. Il mio “contributo” è modesto se paragonato a quello di altri prigionieri che sono entrati nelle carceri israeliani quattro decenni fa. È vero, non si dovrebbero fare distinzioni tra le sentenze – come non si dovrebbero fare differenze tra i combattenti per la libertà – perché la sentenza rilasciata da un giudice dell’oppressione è sempre crudeltà, terrore e abuso.
Le cose in Palestina accadono seguendo la stessa regola: più dura è l’escalation di terrorismo, oppressione, persecuzione politica e deportazioni, più forti sono la nostra resistenza, la sfida di rimanere e preservare la nostra identità, l’impegno per la nostra causa e i diritti negati. Loro vorrebbero dividerci, attraverso la geografia e il diverso colore delle carte d’identità, ma la nostra forza non sarà mai annullata e la nostra lotta per la liberazione è dentro ognuno di noi. Mentre loro continuano a produrre oppressione, noi produciamo libertà e rompiamo il loro circolo vizioso, trasformando le loro azioni nelle nostre reazioni. Il nostro diritto alla Palestina, sia dalla nostra patria sia dall’esilio, è uno: il ritorno, l’autodeterminazione, la fine dell’occupazione, la liberazione dei prigionieri, la riconquista delle terre confiscate, lo smantellamento delle colonie e del Muro dell’apartheid, la protezione di Gerusalemme, del Negev, della Galilea e di tutta la costa dalla “giudaizzazione” e dai piani di espulsione, la rottura dell’assedio israeliano a Gaza. Tutte queste battaglie sono parte della stessa causa.
Ma la lotta per la nostra causa non è combattuta solo da noi palestinesi, perché è parte delle rivolte nel mondo arabo e del movimento globale per il boicottaggio di Israele, impegnato nell’isolamento di Tel Aviv sia a livello regionale che internazionale. Queste azioni sono l’estensione del movimento palestinese contro la normalizzazione del conflitto dentro Israele e della nostra battaglia per spogliare il regime coloniale e razzista della sua legittimità.
Parlando a favore del movimento dei prigionieri, vorrei ricordare i pericoli derivanti dalla cosiddetta cooperazione per la sicurezza tra Israele e i partiti palestinesi e arabi. Le vittime di una simile collaborazione sono, prima di tutto, i combattenti e i prigionieri per la liberazione della Palestina e dei popoli arabi. Invitiamo tutti i popoli a fermare la complicità tra alcuni regimi arabi e Israele, attraverso l’avvio di una campagna araba e palestinese.Passare un anno in prigione significa pagare un prezzo alto. In ogni caso, il voglia di libertà ha trasformato questo anno in resistenza, sfida e lotta per la nostra gente. Invio un messaggio di apprezzamento e amore a tutti quelli che hanno chiesto il mio rilascio, così come al comitato popolare impegnato nella mia difesa e al Comitato Popolare per la Difesa delle Libertà Politiche, che ha lanciato una campagna per la mia liberazione dal primo giorno del mio arresto. Dalla mia cella, voglio anche mandare un saluto alla mia amata famiglia, che continua a supportarmi, e a tutti quelli che hanno espresso solidarietà per la mia causa, qui e all’estero, come individui e come organizzazioni. Sono in costante contatto con me e sono i compagni della nostra lotta per la liberazione. Quello che cerchiamo, come prigionieri politici, è la libertà e non l’accumulazione di anni di prigionia. Siamo nati liberi e proteggere la nostra libertà è nostra responsabilità. Il 15 maggio abbiamo commemorato il 63° anniversario della Nakba palestinese. La nostra forza deriva dalla legittimità della nostra causa e dei nostri diritti, che possono essere riconquistati solo attraverso la lotta. Lottare per la liberazione, così come la riconquista di noi stessi come popolo e come istituzioni, è nostro diritto e nostro dovere. Il prezzo che stiamo pagando è doloroso, a livello individuale e collettivo. Indipendentemente da quanto forte sia la sofferenza, non abbandoneremo mai la strada verso la liberazione della nostra terra e del nostro popolo.
La loro politica, non importa quanto lunga, è a termine, la nostra libertà è il nostro destino.
(Ameer Makhoul è il direttore generale di Ittijah – Union of Arab Community-Based Organizations in Palestine 48 e presidente del Comitato per la Difesa delle Libertà Politiche. È prigioniero politico da maggio 2010)
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