Amos Oz, il mio libro a Barghouti la pace si fa col nemico

L'autore di "Una storia d'amore e di tenebra" spiega il gesto che scandalizza Israele

ELENA LOEWENTHAL
Quando, qualche giorno fa, ha spedito una copia dedicata del suo romanzo Una storia di amore e di tenebra a Marwan Barghouti, detenuto in un carcere israeliano per svariate condanne all’ergastolo, non pensava certo di suscitare quel gran polverone che ne è venuto. Da allora, Amos Oz si è trincerato dietro il silenzio. Ora per la prima volta prende la parola. Ed è una parola dosata, più parca che mai: se l’ebraico non ammette sbrodolamenti, lo scrittore quest’oggi soppesa le frasi con una prudenza che avvolge lo sconcertoAmos Oz, poteva prevedere che il suo gesto avesse un’eco del genere?
«No. Ne è venuto fuori uno scandalo. Ci sono state reazioni indignate. Io volevo che Marwan Barghouti leggesse Una storia di amore e di tenebra perché so che questo libro ha aiutato molti arabi a capire Israele. E perché sono sicuro che un giorno o l’altro noi parleremo con lui. Per “noi” intendo lo Stato d’Israele. Un giorno o l’altro Israele si troverà a parlare con Barghouti anche se lui è stato il mandante della seconda Intifada e ha sulla coscienza un gran numero di attentati suicidi e tante più vittime di quegli attacchi terroristici. Il mio romanzo (tradotto in italiano da Feltrinelli editore, nda) è una storia profondamente individuale e familiare, ma è anche e forse soprattutto l’epopea del sionismo vista dall’interno, con le sue ragioni e le sue radici». 

Lei ha spedito a Barhouti una copia della traduzione in arabo del suo romanzo. Che ha una storia tutta particolare, tragica e bella, a suo modo.«Sì. Una storia di amore e di tenebra è stato tradotto in quasi venti lingue. Nel 2007 un editore di Beirut ha pubblicato la versione in arabo. Che è stata finanziata da un avvocato arabo di Gerusalemme, appartenente a una grande famiglia della città. Suo figlio Georges è stato ucciso nel 2004 da un fanatico mentre faceva jogging nel campus universitario del Monte Scopus, dove studiava giurisprudenza: il terrorista l’aveva scambiato per ebreo. Il padre decise così di fare tradurre il mio libro in arabo per favorire la comprensione fra le parti. Un gesto coraggioso, che si racconta nella prefazione alla traduzione».

Ha un’idea di come Barghouti abbia accolto il libro? «A dire la verità, non so neppure se l’abbia ricevuto, se gli sia stato consegnato in cella. Pensare che davvero volevo che lo leggesse. Ci tenevo a farglielo avere, lo avrebbe aiutato a capire le nostre ragioni, le ragioni di Israele, così come è stato per altri lettori. Non era un gesto simbolico, il mio, ma di sostanza».

Ritiene che questa levata di reazioni al suo gesto, all’idea che il detenuto Barghouti ricevesse da lei un libro, abbia qualche cosa a che fare con ciò che sta avvenendo in questi giorni nel mondo arabo?«La reazione al mio gesto rientra nell’ambito dell’isteria. In questi giorni ero invitato a tenere una conferenza presso un ospedale, che mi è stata annullata per queste ragioni. Non me le spiego, e non posso pensare altro che tali reazioni siano dettate da un impulso emotivo di quel genere, riconducibile all’isteria. Quanto a ciò che sta avvenendo nel mondo arabo, siamo nel campo della storia. Sono eventi di portata storica»Ci spieghi. Come vede dal suo punto di vista questi movimenti, queste rivoluzioni che sembrano non escludere nessun Paese arabo, in un rapido effetto domino?
«Come dicevo, si tratta di eventi d’ordine storico, di grande rilevanza. Ma attenzione. Quel che avviene in Libia non c’entra nulla con ciò che accade in Siria, o in Egitto o in Tunisia. Ogni Paese ha la sua storia, il suo presente. Evitiamo le generalizzazioni. E prima di giudicare o poter fare un bilancio, ci vorrà del tempo. Al momento non è possibile, almeno secondo me. Infine, vorrei dire ai lettori della Stampa ancora qualcosa in merito alla vicenda della copia del mio libro Una storia di amore e di tenebra che ho spedito con dedica a Marwan Barghouti. L’ho fatto con piena coscienza. Armato soprattutto di una certezza che non guasta ricordare: e cioè che la pace si fa con i nemici. Con gli amici non si fa la pace, con i nemici sì. Non è forse vero?». 

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