Paola Caridi da invisiblearabs: noi ,la Libia, la dignità




“Social media is the only space available to show our solidarity with the free people of the world as our govs stand silent”. I social media sono il solo spazio disponibile per mostrare la nostra solidarietà con i popoli liberi del mondo, mentre i nostri governi rimangono silenziosi. E in questo strano blob, mentre un tweet di un utente che si chiama Razano esprime quello che molti pensano – me compresa -, scorrono le immagini di  Hotel Rwanda, quello sì j’accuse alla ignavia e all’indifferenza sostanziale. Un abominio di oltre sedici anni fa, che nulla sembra aver insegnato, se la voce flebile dell’Unione Europea si è alzata solo di un po’, solo per dire di fermare la violenza. “Sono dei codardi, Paul. La vostra vita non vale un solo voto, per loro”, dice nel film il direttore della Sabena. “Devono arrossire di vergogna”, dice poi Paul, il direttore dell’albergo Milles Collines di cui la Sabena era proprietaria, a Kigali.
Parlavano di Rwanda. Sembra. Oppure no?In questi giorni il senso di nausea è diventato sempre più profondo, insopportabile. Non solo come cittadina italiana. Ma in questo caso soprattutto come cittadina italiana all’estero. Vedere il mio paese messo alla berlina, infangato, ridicolizzato per quello che il governo italiano ha detto (o più spesso non ha detto) su quello che stava succedendo in Tunisia, e poi in Egitto, e poi in Libia. Nella Libia dove il ricordo dell’Italia è quella del nemico, del colonizzatore, dell’omicida…Italia colonizzatrice, Italia che fa affari col potente di turno, Italia che tenta di salvare i propri affari. Senza neanche pensare che, comunque vada a finire, il destino di Gheddafi è segnato, e che dunque avrebbe più senso – per gli affari prossimi venturi – non appoggiare ancora adesso Gheddafi, “non disturbarlo”. E’ questa l’immagine che vedo scorrere sui network, sugli schermi, nelle analisi dei grandi giornali internazionali. Un’Italia da commedia di quart’ordine, mentre montano anche le notizie false sui piloti dei jet che hanno bombardato Tripoli. A un certo punto, nel pomeriggio, su twitter, come in un flipper, rimbalzava la notizia che ci fossero anche italiani, tra i piloti dei caccia che stavano sparando sulla folla inerme, uccidendo centinaia di persone. Una notizia subito smentita, ma che comunque ha girato parecchio, e che ha costretto il nostro ministro degli esteri a una smentita formale. Un segnale pericoloso di quanto la nostra sia ormai un’immagine screditata, tanto  screditata che le si può cominciare a imputare nefandezze di questo tipo.Spesso, in questi ormai dieci anni vissuti all’estero, nel Medio Oriente e Nord Africa, mi è capitato di pensare all’ignavia dei governi che si sono succeduti in Italia, quando sentivo le dichiarazioni ufficiali sul mondo arabo. Dichiarazioni che ci sono costate peso politico, caratura diplomatica, capacità di incidere sulle scelte della comunità internazionale. Le immagini di questi ultimi giorni, le strette di  mano troppo compiaciute a un Gheddafi ormai ombra di se stesso, gli spettacoli equestri, i sorrisi troppo sorridenti, sono state passate sugli schermi di tutti i network come un tamburo ossessivo. Facendole diventare la nostra immagine, l’immagine dell’Italia. Appiattendo su quell’immagine il lavoro, le lacrime e la dedizione di altri italiani, volontari, medici, cooperanti, preti, suore, e anche giornalisti.C’è bisogno di una riflessione? C’è bisogno di capire perché siamo diventati così? C’è bisogno di uno scatto d’orgoglio, e soprattutto di dignità? Ha ancora senso rimanere in silenzio? Io non ci sto a essere rappresentata in questo modo. Non ci sto a mettere in gioco l’immagine del mio paese e di me stessa per l’incapacità del mio governo di prendere le distanze da chi sta bombardando il suo popolo. Se il viceambasciatore libico presso l’Onu chiede di indagare Gheddafi per crimini contro l’umanità, noi italiani potremmo anche spendere qualche parola di più. O no?La nostra prudenza è usata, ora, per proteggere gli italiani che sono in Libia? Potrebbe avere un senso. Forse. Ma mi chiedo cosa pensino i libici, e non il regime libico, di un paese che non prende posizione con le vittime. Il giorno in cui Gheddafi non sarà più il potente, in Libia, pagheremo anche questo? Gli italiani all’estero si difendono difendendo la dignità dell’Italia.  E’ l’unico metodo che paga, nel breve come nel lungo termine.Un piccolo, doveroso aggiornamento va fatto, dopo aver letto il commento di Roger Cohen sul New York Times, con un titolo a dir poco efficace, Berlusconi’s Arab Dancer. Cohen dice che a Berlusconi va la palma di chi, in Europa, si è comportato peggio. Questo è quello che pensano di noi all’estero, quello che noi dobbiamo ascoltare, da italiani all’estero. E non sono solo loro a pensarlo.It says something about the miserable European response to the Arab spring that Italian Prime Minister Silvio Berlusconi’s personal contribution to North African affairs — his alleged liaison with a then-17-year-old Moroccan dancer — only just takes the prize for most abject performance.PS. dopo essere stati al servizio di Gheddafi, molti tra i suoi principali ambasciatori si stanno dimettendo. Nella migliore delle ipotesi, non hanno resistito al senso di nausea e hanno avuto uno scatto di dignità. Nella peggiore delle ipotesi, si stanno già preparando per il dopo-Gheddafi.

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