Iraq, Si tinge di sangue la ''Giornata della rabbia''
Osservatorio Iraq, 25 febbraio 2011
“Giornata della rabbia”, ma anche di sangue. E’ salito a 14 morti, finora, il bilancio delle manifestazioni di protesta che si sono svolte oggi un po’ in tutto l’Iraq, a cominciare dalla capitale, dove le forze di sicurezza hanno fatto ricorso agli idranti e ai lacrimogeni per disperdere i manifestanti.Non era una folla oceanica quella che si è raccolta a Baghdad, dove in circa 5.000 sono arrivati in piazza Tahrir, nel centro cittadino, raccogliendo l’appello di un gruppo di organizzazioni non governative, intellettuali, attivisti, circolato attraverso Facebook.
Sono volati sassi, scarpe, e bottiglie di plastica all'indirizzo dei reparti antisommossa della polizia e dei soldati che bloccavano il Ponte della Repubblica, attraverso il quale si accede alla Green Zone – la cittadella blindatissima in cui hanno sede le istituzioni governative nonché diverse ambasciate, a cominciare da quella di Stati Uniti e Gran Bretagna.Secondo la testimonianza di un giornalista che era sul posto, i manifestanti avrebbero rovesciato due barriere anti-esplosioni in cemento, erette per sigillarne l’accesso, mentre le forze di sicurezza usavano idranti e lacrimogeni nel tentativo di disperdere la folla. Quindici i feriti, secondo fonti del ministero degli Interni.Ma in tutta Baghdad lo schieramento delle forze di sicurezza era imponente. Imposto anche il divieto di circolazione per i veicoli, dopo l’appello televisivo con cui ieri il Primo Ministro Nuri al Maliki aveva invitato gli iracheni a restare a casa oggi, sostenendo che le proteste organizzate avevano dietro “saddamisti, terroristi, e al Qaeda”, e che sarebbero stati loro ad avvantaggiarsene.
Anche se i nomi dei gruppi che giravano in questi giorni su Facebook raccontavano una realtà un po’ diversa: “Rivoluzione irachena della rabbia” e “Cambiamento, libertà, e democrazia reale”, ad esempio.
Basta con il silenzio “Basta con il silenzio, dobbiamo parlare”: questo uno degli slogan che si leggevano sui cartelli dei manifestanti radunati in piazza Tahrir, in maggioranza giovani. Giovani e con richieste ragionevoli, più che rivoluzionarie."Non vogliamo cambiare il governo, perché siamo noi ad averlo eletto, ma vogliamo che si mettano a lavorare!", diceva Darghan Adnan, studente 24enne. “Vogliamo che facciano rispettare la giustizia, vogliamo che riparino le strade, vogliamo che sistemino l’elettricità, che sistemino l’acqua”.
"Adesso sono otto anni, e non hanno fatto nulla per noi. Basta con le parole, vogliamo fatti!", urlava Ammar Raad, 33 anni. Qualcuno arrivava anche da Sadr City, l’enorme slum roccaforte del Movimento di Muqtada al Sadr, nonostante il suo leader, come anche il Grande Ayatollah Ali al Sistani, l’autorità religiosa più influente fra gli sciiti iracheni, avessero preso le distanze dalla protesta di oggi.Shashef Shenshun, 48 anni, raccontava di esserserla fatta a piedi fino a piazza Tahrir: due ore di cammino, "perché voglio che il governo cambi la situazione" – a cominciare dalla sua: “Sono disoccupato. Voglio lavorare, voglio che i miei figli possano andare a scuola”.Critiche nei confronti del divieto di circolazione per i veicoli sono arrivate da Reporters sans Frontières, che ha sottolineato che i canali televisivi non hanno potuto fare dirette della protesta perché impossibilitati a parcheggiare i loro furgoncini satellitari.Divieti simili erano stati imposti anche a Samarra, Tikrit, Ba’aquba, e Ramadi.In tutto, le manifestazioni di protesta sono state 17: oltre un centinaio i feriti, mettendo insieme le informazioni fornite dai vari funzionari.Quattordici morti in scontri con la polizia nel nord, si dimette il governatore di Bassora Ma è nel nord che la situazione è andata fuori controllo, con scontri tra manifestanti e polizia a Mosul e Tikrit, che hanno fatto cinque morti in ciascuna città, mentre due persone sono state uccise a Hawija, vicino Kirkuk.A Mosul, la terza città del Paese, sono stati dati alle fiamme gli uffici del governo provinciale, mentre a Hawija a essere incendiata è stata la sede del consiglio municipale. Un morto, un ragazzo di 15 anni, anche a Kalar, cittadina della provincia di Diyala, a est di Baghdad, abitata in maggioranza da kurdi, e un altro manifestante ucciso a Samarra. A Bassora, la seconda città dell'Iraq, nel sud, c'è stata una vittima politica: il governatore della provincia, Shiltagh Abboud, che si è dimesso dopo le proteste, che hanno visto scendere in piazza circa 10.000 persone. Disperse dalla polizia che ha sparato in aria, fortunatamente senza provocare morti o feriti.Altre manifestazioni nel sud: a Nassiriya, Karbala, Kut – dove la folla urlava “Maliki bugiardo, bugiardo!” – e dove ci sono stati 14 arresti fra i dimostranti.Secondo un funzionario governativo, che ha chiesto l’anonimato, sarebbe stato lo stesso Maliki a rimuovere il governatore di Bassora (che appartiene alla sua stessa formazione politica) in seguito alle proteste. Sempre la stessa fonte riferisce che il premier ha chiesto anche al governatore di Ninive (provincia che ha per capitale Mosul) di dimettersi.
http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=10204
“Giornata della rabbia”, ma anche di sangue. E’ salito a 14 morti, finora, il bilancio delle manifestazioni di protesta che si sono svolte oggi un po’ in tutto l’Iraq, a cominciare dalla capitale, dove le forze di sicurezza hanno fatto ricorso agli idranti e ai lacrimogeni per disperdere i manifestanti.Non era una folla oceanica quella che si è raccolta a Baghdad, dove in circa 5.000 sono arrivati in piazza Tahrir, nel centro cittadino, raccogliendo l’appello di un gruppo di organizzazioni non governative, intellettuali, attivisti, circolato attraverso Facebook.
Sono volati sassi, scarpe, e bottiglie di plastica all'indirizzo dei reparti antisommossa della polizia e dei soldati che bloccavano il Ponte della Repubblica, attraverso il quale si accede alla Green Zone – la cittadella blindatissima in cui hanno sede le istituzioni governative nonché diverse ambasciate, a cominciare da quella di Stati Uniti e Gran Bretagna.Secondo la testimonianza di un giornalista che era sul posto, i manifestanti avrebbero rovesciato due barriere anti-esplosioni in cemento, erette per sigillarne l’accesso, mentre le forze di sicurezza usavano idranti e lacrimogeni nel tentativo di disperdere la folla. Quindici i feriti, secondo fonti del ministero degli Interni.Ma in tutta Baghdad lo schieramento delle forze di sicurezza era imponente. Imposto anche il divieto di circolazione per i veicoli, dopo l’appello televisivo con cui ieri il Primo Ministro Nuri al Maliki aveva invitato gli iracheni a restare a casa oggi, sostenendo che le proteste organizzate avevano dietro “saddamisti, terroristi, e al Qaeda”, e che sarebbero stati loro ad avvantaggiarsene.
Anche se i nomi dei gruppi che giravano in questi giorni su Facebook raccontavano una realtà un po’ diversa: “Rivoluzione irachena della rabbia” e “Cambiamento, libertà, e democrazia reale”, ad esempio.
Basta con il silenzio “Basta con il silenzio, dobbiamo parlare”: questo uno degli slogan che si leggevano sui cartelli dei manifestanti radunati in piazza Tahrir, in maggioranza giovani. Giovani e con richieste ragionevoli, più che rivoluzionarie."Non vogliamo cambiare il governo, perché siamo noi ad averlo eletto, ma vogliamo che si mettano a lavorare!", diceva Darghan Adnan, studente 24enne. “Vogliamo che facciano rispettare la giustizia, vogliamo che riparino le strade, vogliamo che sistemino l’elettricità, che sistemino l’acqua”.
"Adesso sono otto anni, e non hanno fatto nulla per noi. Basta con le parole, vogliamo fatti!", urlava Ammar Raad, 33 anni. Qualcuno arrivava anche da Sadr City, l’enorme slum roccaforte del Movimento di Muqtada al Sadr, nonostante il suo leader, come anche il Grande Ayatollah Ali al Sistani, l’autorità religiosa più influente fra gli sciiti iracheni, avessero preso le distanze dalla protesta di oggi.Shashef Shenshun, 48 anni, raccontava di esserserla fatta a piedi fino a piazza Tahrir: due ore di cammino, "perché voglio che il governo cambi la situazione" – a cominciare dalla sua: “Sono disoccupato. Voglio lavorare, voglio che i miei figli possano andare a scuola”.Critiche nei confronti del divieto di circolazione per i veicoli sono arrivate da Reporters sans Frontières, che ha sottolineato che i canali televisivi non hanno potuto fare dirette della protesta perché impossibilitati a parcheggiare i loro furgoncini satellitari.Divieti simili erano stati imposti anche a Samarra, Tikrit, Ba’aquba, e Ramadi.In tutto, le manifestazioni di protesta sono state 17: oltre un centinaio i feriti, mettendo insieme le informazioni fornite dai vari funzionari.Quattordici morti in scontri con la polizia nel nord, si dimette il governatore di Bassora Ma è nel nord che la situazione è andata fuori controllo, con scontri tra manifestanti e polizia a Mosul e Tikrit, che hanno fatto cinque morti in ciascuna città, mentre due persone sono state uccise a Hawija, vicino Kirkuk.A Mosul, la terza città del Paese, sono stati dati alle fiamme gli uffici del governo provinciale, mentre a Hawija a essere incendiata è stata la sede del consiglio municipale. Un morto, un ragazzo di 15 anni, anche a Kalar, cittadina della provincia di Diyala, a est di Baghdad, abitata in maggioranza da kurdi, e un altro manifestante ucciso a Samarra. A Bassora, la seconda città dell'Iraq, nel sud, c'è stata una vittima politica: il governatore della provincia, Shiltagh Abboud, che si è dimesso dopo le proteste, che hanno visto scendere in piazza circa 10.000 persone. Disperse dalla polizia che ha sparato in aria, fortunatamente senza provocare morti o feriti.Altre manifestazioni nel sud: a Nassiriya, Karbala, Kut – dove la folla urlava “Maliki bugiardo, bugiardo!” – e dove ci sono stati 14 arresti fra i dimostranti.Secondo un funzionario governativo, che ha chiesto l’anonimato, sarebbe stato lo stesso Maliki a rimuovere il governatore di Bassora (che appartiene alla sua stessa formazione politica) in seguito alle proteste. Sempre la stessa fonte riferisce che il premier ha chiesto anche al governatore di Ninive (provincia che ha per capitale Mosul) di dimettersi.
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