Ian McEwan ,scrittore, :Perché Israele deve rinunciare alla tentazione della forza

  Pubblichiamo il discorso che Ian McEwan ha tenuto ieri alla consegna del Jerusalem Prize Il palmares di questo premio non ha pari al mondo. Molti degli scrittori ai quali avete consegnato questa onorificenza in passato sono da tanto tempo parte del mio corredo mentale, hanno plasmato il mio modo di intendere che cosa sia la libertà e ciò che può realizzare l´immaginazione. Non riesco a credere nemmeno per un istante di poter essere considerato all´altezza di illustri scrittori del calibro di Isaiah Berlin, Jorge Luis Borges o Simone de Beauvoir. E per un verso sono sopraffatto dall´idea che voi crediate che io lo sia. Da quando ho accettato l´invito di recarmi a Gerusalemme, non ho vissuto giorni tranquilli. Molte organizzazioni, molte persone, in termini differenti e con livelli diversi di civiltà, mi hanno esortato a non accettare questo premio. Un´associazione ha scritto a un giornale nazionale dicendo che a prescindere da ciò che io penso in fatto di letteratura, della sua nobiltà, delle sue possibilità, non posso eludere l´aspetto politico della mia decisione. Con riluttanza, con amarezza, devo ammettere che le cose stanno proprio così. Provengo da un Paese che gode di relativa stabilità. Abbiamo forse anche noi dei senzatetto, ma abbiamo una patria. Quanto meno, il futuro della Gran Bretagna non è in discussione, a meno che essa non si frammenti per una devolution pacifica e democraticamente concordata. Non siamo minacciati da vicini intimidatori, né siamo stati trasferiti a forza. Nel mio Paese gli scrittori hanno il lusso di poter scrivere tanto quanto sta a loro a cuore di questioni politiche. Qui, per gli scrittori israeliani e palestinesi, la "situazione", ha matsav, è sempre incombente, esercita incessantemente pressioni, come un dovere, come un fardello o un´ossessione prolifica. Affrontarla è una lotta creativa, come è lotta creativa anche non affrontarla. In linea generale direi che tutte le volte che la politica penetra in ogni angolo dell´esistenza, allora qualcosa è andato profondamente storto. Nessuno può fingere che le cose vadano bene qui, quando la libertà degli individui - e ciò significa di tutti gli individui - è complicata per l´attuale situazione di Gerusalemme. Una volta deciso che sarei venuto, ho chiesto consiglio a uno scrittore israeliano, un uomo che ammiro profondamente. È stato molto incoraggiante, ha esordito dicendo: "La prossima volta cerca di farti premiare dalla Danimarca". Alcuni di coloro che sono stati insigniti prima di me da questo premio hanno espresso le loro riflessioni davanti a un´assemblea come questa e hanno irritato alcune persone. Chiunque, però, è consapevole di un semplice fatto: istituendo un premio per filosofi e scrittori creativi, avete abbracciato la libertà di pensiero e di parola, e io considero l´esistenza del Jerusalem Prize alla stregua di un tributo alla preziosa tradizione di una democrazia delle idee in Israele. Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sulla forma del romanzo e sull´idea delle libertà dell´individuo, che avete scelto come tema del vostro Premio. La tradizione del romanzo al quale io lavoro affonda le proprie radici nelle energie laiche dell´Illuminismo europeo, durante il quale le condizioni personali e anche sociali dell´individuo iniziarono a essere oggetto di attenzione duratura da parte dei filosofi. Si affermò una classe sempre più ampia e relativamente privilegiata di lettori, che avevano il tempo non soltanto di riflettere sulla loro stessa società, ma anche sulle proprie relazioni intime, e costoro scoprirono che nei romanzi le loro preoccupazioni erano riflesse e approfondite. In Swift e Defoe, i personaggi erano messi alla prova dall´etica, e le loro società erano oggetto di satira, o giudicate tramite racconti di viaggio che erano o del tutto immaginari oppure basati su documentazioni reali. In Richardson, forse, troviamo il primo intenso resoconto a grana fine della coscienza individuale. In Fielding, agli individui sono conferite visioni panottiche di una società nello spirito di una commedia benevola e inclusiva. Infine, la meraviglia che corona il tutto: in Jane Austen il destino degli individui è rappresentato tramite una nuova modalità narrativa - poi tramandata alle generazioni successive di scrittori - uno stile libero indiretto, che permetteva alla attenta valutazione di una terza persona oggettiva di fondersi con un aspetto soggettivo vivace - tecnica che permetteva al personaggio-individuo del romanzo un maggiore spazio di crescita. Per tutto il diciannovesimo e ventesimo secolo, nelle opere di maestri quali Charles Dickens, George Eliot, James Joyce e Virginia Woolf, l´illusione letteraria del personaggio e la rappresentazione della coscienza furono maggiormente rifinite, con il risultato che il romanzo è diventato il nostro migliore e più sensibile mezzo di esplorazione della libertà degli individui. E tale esplorazione spesso rappresenta ciò che accade allorché la libertà è negata. Questa tradizione del romanzo è fondamentalmente laica. Sono le coincidenze, o le macchinazioni umane - e non Dio - a decidere dei destini umani. È una struttura che è plurale, che perdona, che è profondamente curiosa delle mentalità altrui, di come deve essere poter essere qualcun altro. Riesce, con una sorta di attenzione e concentrazione divina propria dell´autore, ad accordare rispetto per l´individuo ai suoi protagonisti principali, di alta o bassa estrazione sociale, ricchi o miserabili che siano. La tradizione inglese è soltanto una tra le molte, ma è profondamente legata a tutte le altre. Parliamo di una tradizione ebraica nel romanzo, tradizione vasta, complessa, ma tuttora condizionata da argomenti ordinari: un atteggiamento talvolta ironico nei confronti di un dio; l´accettazione della sottostante commedia metafisica e soprattutto, in un mondo di persone sofferenti e oppresse, la profonda simpatia per il personaggio-vittima; infine, la determinazione a offrire agli oppressi il rispetto che la fiction può conferire allorché illumina la vita interiore. Ne troviamo gli elementi nelle allegorie esistenziali di Nella colonia penale e del Processo di Kafka; nella tristezza e bellezza di Bruno Schulz; nell´opera di Primo Levi quando diede voce personale all´incubo della Shoah, che fece della crudeltà un´industria che resterà per sempre la misura estrema della depravazione umana o di quanto in basso noi si possa scendere. E ancora, nella fiction di I. B. Singer, che conferì dignità alle vite rattrappite degli immigrati; in termini diversi troviamo un tema parallelo in Saul Bellow, i cui protagonisti intellettuali e in agonia lottano invano e senza frutto per fiorire in una cultura materialistica e ingrata. La vittima, l´estraneo, il nemico e il reietto, un viso nella folla, diventa sempre un essere pienamente realizzato in virtù della grazia della polvere magica della fiction - una polvere la cui ricetta è per altro "segreto non segreto" - ovvero grande attenzione al dettaglio, empatia, rispetto. Questa tradizione è vigorosamente sostenuta nella cultura letteraria di Israele, e questo sin dalla sua fondazione. Di recente ho avuto modo di scoprire Khirbet Khizeh di S. Yizhar, pubblicato nel 1949 - lo smagliante resoconto di un villaggio arabo raso al suolo durante la guerra del 1948 - e di una protesta che non abbandona mai la gola della voce narrante, mentre le case sono demolite e gli abitanti del villaggio sono portati via dalla loro terra. È un tributo a una società aperta che questo racconto per molti anni sia stato fatto leggere agli scolari israeliani. Khirbet Khizeh è tutt´oggi un´opera dolorosamente importante. Ma la questione morale è ancora attuale. Ci sono molti scrittori che si potrebbero citare, ma permettetemi di parlare soltanto di tre personaggi di fama che si sono guadagnati l´amore e il rispetto dei lettori di tutto il mondo: Amoz Oz, Abraham Yehoshua e David Grossman. Si tratta di scrittori molto diversi tra loro, di idee politiche sovrapponibili ma lungi dall´essere identiche; scrittori che amano il loro paese, che hanno fatto sacrifici per esso e sono preoccupati per la direzione che esso ha imboccato, e le cui opere non sono mai prive di quella polvere magica fatta di rispetto e del dono della libertà agli esseri umani, arabi tanto quanto ebrei. Nelle loro lunghe carriere si sono opposti agli insediamenti. Loro e la comunità dei letterati più giovani di Israele sono la coscienza, la memoria e soprattutto la speranza del Paese. Ma io credo di poter affermare che tutti questi tre scrittori negli ultimi anni hanno visto che le circostanze facevano infrangere le loro speranze. Mi piacerebbe dire qualcosa del nichilismo. Hamas - le carte costitutive del quale comprendono il velenoso falso dei Protocolli dei Savi di Sion - ha abbracciato il nichilismo dell´attentatore suicida, dei razzi sparati alla cieca contro le città. Ha abbracciato il nichilismo di una politica di estinzione verso Israele. Ma - volendo fare un unico esempio - è stato nichilista anche sparare un razzo contro l´abitazione indifesa del medico palestinese Izzeldin Abuelaish a Gaza, nel 2008, che ha provocato la morte delle sue tre figlie e di sua nipote. È nichilismo fare della Striscia di Gaza una prigione a lungo termine. Il nichilismo ha scatenato uno tsunami di cemento in tutti i Territori occupati. Quando gli illustri giudici di questo premio mi lodano per il mio "amore per la gente, la preoccupazione per il loro diritto all´autorealizzazione", paiono quasi esigere che io citi - e devo farlo - i continui sfratti e le demolizioni, l´incessante acquisto di case palestinesi a Gerusalemme Est, il processo del diritto al ritorno garantito agli ebrei ma non agli arabi. Questi cosiddetti "fatti sul terreno" sono una sorta di colata di cemento a presa rapida sul futuro, sulle future generazioni di bambini palestinesi e israeliani che erediteranno questo conflitto e lo troveranno ancor più difficile da risolvere di quanto sia oggi, come più difficile sarà affermare il loro diritto alla realizzazione personale. Per l´umile ateo la situazione è abbastanza chiara: non appena le controparti di una disputa politica attingono la loro ispirazione primaria dai rispettivi dèi di parte, la soluzione pacifica si allontana. Non sono interessato, però, a controversie d´equivalenza. Nell´aria aleggia una grande ingiustizia, più che palese: molte persone sono state trasferite altrove e continuano a esserlo. D´altro canto, una democrazia eccellente è minacciata da vicini ostili, perfino al punto da essere minacciata di estinzione da uno Stato che presto potrebbe entrare in possesso di una bomba nucleare. La domanda più impellente è quella di Lenin: che si deve fare? Quando ci poniamo questa domanda, ci chiediamo anche: chi deve farlo? Chi ha il potere di intervenire? I palestinesi sono divisi, le loro istituzioni democratiche sono deboli o inesistenti. Il jihadismo violento ha dimostrato di autodistruggersi. Sono stati sfortunati, in quanto a leadership. Eppure, molti palestinesi sono pronti per una soluzione. Il loro intendimento è questo. E Israele? Che lo si creda o no, c´è un calcolo per quantificare le energie creative di una nazione. Si guardi alle edizioni presenti in questa fiera del libro, ai numeri dei libri tradotti dall´ebraico e in ebraico, oppure al numero delle richieste di diritti d´autore andate a buon fine (sbalorditivo, per un Paese così piccolo), o ancora al numero degli studi scientifici citati, alle scoperte nelle tecnologie legate all´energia solare, ai concerti in tutto il mondo del Jerusalem Quartet che fanno sempre il tutto esaurito. L´indice dell´energia creativa è alto, e alte sono le capacità. Dov´è però la creatività politica di Israele? In che cosa i politici di questa nazione devono competere costruttivamente con gli artisti e gli scienziati israeliani? Di sicuro, non nel mix cementifero. Di sicuro, non negli ordini di sfratto. Abbiamo letto tutti i documenti fatti pervenire ad Al Jazeera. Di sicuro, questo non è il meglio che i politici israeliani possono fare, allorché soccombono a quello che David Grossman ha chiamato "la tentazione della forza", e allorché quasi con nonchalance mettono in disparte le considerevoli concessioni fatte dall´Autorità Palestinese. In questo contesto, il contrario di nichilismo è creatività. La voglia di cambiamento, l´intenso desiderio di libertà personale che sta dilagando in Medio Oriente è un´occasione, più che una minaccia. Nel momento in cui gli egiziani hanno deciso in massa di riformare la loro società e di pensare in termini costruttivi, assumendo in pieno la responsabilità della loro nazione nelle loro stesse mani, sono stati e saranno meno propensi ad accusare altri, estranei, per tutte le loro disgrazie. È adesso, proprio adesso, il momento giusto per riavviare il processo di pace. La nuova situazione impone di saper riflettere politicamente e creativamente con audacia, non di ritornare all´amarezza di una mentalità da bunker, né di continuare ad andare avanti, dietro sempre più cemento. Dopo la sua recente visita qui, la commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato che sparare razzi contro Israele da Gaza è un crimine di guerra. Ha dichiarato anche che l´annessione di Gerusalemme Est viola le leggi internazionali e che Gerusalemme Est è continuamente svuotata dei suoi abitanti palestinesi. Ci sono alcune similarità da questo punto di vista tra un romanzo e una città. Un romanzo, naturalmente, non è semplicemente un libro, un oggetto materiale fatto di pagine e copertina, ma è un genere particolare di spazio mentale, un luogo di esplorazione, di indagine sulla natura umana. Analogamente, una città non è soltanto un agglomerato di edifici e strade. È anche un luogo mentale, terreno di sogni e contese. Tra queste due entità, la popolazione, le persone immaginarie o reali, lottano per il loro diritto a perseguire la loro auto-realizzazione. Lasciate che lo ripeta: il romanzo come forma letteraria nacque per curiosità e rispetto per gli esseri umani. Le sue tradizioni lo sospingono verso il pluralismo, l´apertura, un desiderio solidale di abitare la mente altrui. Non c´è uomo, donna o bambino, israeliano o palestinese, né di qualsiasi altra origine, la mente del quale un romanzo non possa ricostruire amorevolmente. Istintivamente, il romanzo è democratico. Accetto con gratitudine questo premio nella speranza che le autorità di Gerusalemme - un giorno capitale di due Stati, spero - guardi al futuro dei suoi figli e ai conflitti che potrebbero teoricamente travolgerli, ponga fine agli insediamenti e alle invasioni, e aspiri creativamente alla condizione aperta, rispettosa, plurale del romanzo, la forma letteraria alla quale questa sera noi tutti rendiamo onore.
fONTE: AN MCEWAN - LA REPUBBLICA | 21 FEBBRAIO 2011 

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