Amira Hass : per la polizia palestinese nella West Bank, è ancora Israele a dettare legge.

   Una cronaca della settimana scorsa, che in ebraico era intitolata “Disperdere una manifestazione con un profumo francese”, ha riferito di una visita fatta al quartier generale dell’EUPOL COPPS, l’Ufficio di Coordinamento della Polizia dell’Unione Europea per il Supporto della Polizia Palestinese, che, nella West Bank, addestra le forze della polizia civile. L’iniziativa è stata loro, e il profumo, a quanto risulta, è stato Jean Paul Gaultier.Jean Frederic Martin, uno dei due francesi che addestrano le Forze Speciali di Polizia Palestinese, (divisione anti-sommossa), lo ha fatto presente a seguito di una relazione sui principi e sui metodi operativi che costituiscono la base del programma di addestramento messo a punto dal suo collega e da lui (che affronta, tra le altre cose, i diritti umani e in che modo il concetto si è sviluppato nel tempo fin dall’epoca della Magna Carta.) Con lo stesso tono deciso usato per tenere la sua presentazione sui metodi non-letali di controllo dei disordini, ha indicato il colletto della camicia per mostrare quale profumo avesse indosso. L’intervento di altre forze – come quelle di Intelligence dell’Autorità Palestinese e di Sicurezza Preventiva, che godono di stretti legami con il partito Fatah – in compiti ordinari di polizia non è visto di buon occhio dalla polizia civile e dagli europei. Questo, per lo meno è ciò che mi è stato possibile capire durante la visita. “Io lavoro con le forze di polizia civile, che è costituita da 7.700 elementi,” afferma lo svedese Henrik Malmquist, capo della missione e avvocato presso il corso di addestramento. Di questi, fa notare, 1.300 fanno parte delle forze speciali di polizia. Insieme alle altre sei forze di sicurezza palestinesi nella West Bank, vengono a costituire un contingente di circa 35.000 addetti alla sicurezza (con i circa 10.000 membri dell’ ”Esercito di Dayton” addestrato dagli Stati Uniti.)“Il fatto che ci sia un gran numero di agenzie di sicurezza diverse non facilita necessariamente le cose,” dice. “Quando si indaga su ciò che si è verificato [la dispersione di manifestazioni], per esempio, è difficile sapere chi era il responsabile sul posto, la polizia o un altro gruppo. La condivisione della responsabilità sta a significare nessuna responsabilità. Avrei preferito che la polizia civile fosse la principale agenzia, la quale se avesse avuto bisogno di aiuto avrebbe potuto chiederlo. Se una delle altre agenzie non si sta comportando bene [mentre sta disperdendo una manifestazione o una pubblica riunione], questo potrebbe riversarsi sulla polizia civile anche se i suoi membri si fossero comportati meglio degli altri. In linea di principio, [un accordo politico] può decidere con esattezza quali sono i limiti, dove dovrebbe operare la polizia e dove dovrebbero intervenire le altre agenzie.” 
L’addestramento della polizia palestinese è diverso dal momento che sono sotto occupazione e non in uno stato sovrano? “Sì e no. No, perché l’addestramento viene fatto nello stesso modo, proprio come negli altri paesi. E sì, perché tutto ciò che si fa viene compiuto con il beneplacito dello stato di Israele. Tutti gli equipaggiamenti che introduciamo devono ottenere l’approvazione dal Coordinatore delle Attività di Governo nei Territori. Oltre a ciò, le forze di polizia operano secondo la programmazione mentale della vita sotto occupazione. Sul terreno, la realtà si ripercuote su come essi guardano il futuro. Quando incontro il mio collega, il capo delle forze di polizia palestinesi, ad esempio, egli è sinceramente preoccupato per l’assenza delle autorizzazioni [israeliane]. La mancanza di autorizzazioni rende difficile motivare i membri della sua forza quando eseguono la missione di mantenere la legge e l’ordine….Al momento non mi pare che siano influenzati da preoccupazioni politiche. Se c’è un ordine, lo portano a termine con professionalità. Ma la domanda è sempre la stessa – quanto li si può sollecitare, quanto si può chiedere loro di agire contro il loro stesso popolo, se non c’è alcun progresso nel processo di pace? “C’è pure un altro fattore – i ‘pic-nic’ dell’esercito entro Ramallah e nelle altre aree. Un funzionario israeliano di alto grado ha usato la parola ‘pic-nic’ anche se il termine molto più appropriato sarebbe ‘incursioni’. Due jeep che entrano a Ramallah o in un’altra zona producono un grande effetto sulla polizia palestinese. Chiunque può arrivare con una jeep e una bandiera e dichiarare che è lui quello che deve svolgere il controllo. Ho richiesto a funzionari israeliani di alto grado di astenersi da questa pratica perché essa ha un effetto devastante sul morale delle forze di polizia. Mi è stato detto che esiste sempre una giustificata ragione per farlo, che consegue ad un esame approfondito della situazione.” 
Avete una qualche idea di quali siano i tassi di criminalità? “Noi facciamo riferimento alle statistiche. Non abbiamo alcun altro modo per sapere quale siano le cifre attendibili, ma esse riflettono una cosa che in vari modi mi ha colpito – che il tasso di criminalità è molto basso. Questo è caratteristico di una società nella quale è molto forte il perno della famiglia e del clan e che è ancora chiusa. La gente non si muove in grandi gruppi e il crimine non è anonimo. Ricorda l’Europa di 40 o 50 anni fa.” Si tiene conto del fatto che questa è una società che ha sue proprie tradizioni su come affrontare il crimine, metodi di mediazione ai quali in questi giorni sta ritornando la gente pure in Occidente? “No, ma forse questo è un errore che andrebbe discusso: Si comporta forse in modo appropriato la comunità internazionale quando non supporta queste pratiche tradizionali e costruisce invece immagini speculari delle istituzioni esistenti in Europa, negli Stati Uniti o in Israele?” 
I rappresentanti dell’Autorità Palestinese hanno sollevato con voi questa questione? “No” 
P.S. Venerdì sera quando finalmente il presidente egiziano Hosni Mubarak ha annunciato le sue dimissioni, diverse centinaia di palestinesi si sono riuniti nella piazza Al Manara di Ramallah per celebrare la rivoluzione egiziana. Nei pressi c’era un gruppo molto piccolo di poliziotti palestinesi, ma non è intervenuto. “Due regimi se ne sono andati ed ora è venuto il momento per altri 20,” diceva uno degli slogan letti. “Il n.° 5 è in linea,” si è udito qualcuno dire al suo cellulare. Dopo non avrebbe potuto che essere debellata l’occupazione israeliana, ha spiegato. Fra le grida di gioia, non sono stata in grado di sentire se il numero comprendeva di già l’Egitto e la Tunisia. Nella West Bank chi datta legge è sempre Israele(tradotto da mariano mingarelli)

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