Senza pace in Palestina, rischia anche Israele

di Carlo M. MieleOsservatorio Iraq, 16 novembre 2010
Oltre a mantenere i palestinesi in un drammatico limbo, il perdurante stallo nel processo di pace tra Israele e Anp mette a repentaglio anche la sicurezza dello Stato ebraico.Ad affermarlo è un alto esponente dei servizi israeliani, secondo cui la mancanza di progressi nelle trattative rilanciate a Washington lo scorso 2 settembre indebolisce ulteriormente l’attuale leadership palestinese, aprendo la strada alle posizioni più radicali.
Secondo la fonte - che ha parlato alla Bbc a condizione di mantenere l’anonimato - lo stato della sicurezza raggiunta in Cisgiordania è “la migliore degli ultimi dieci anni” e la presenza alla guida dei palestinesi del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e del primo ministro Salam Fayyad rappresentano “la combinazione ideale”.Tuttavia, la stabilità raggiunta potrebbe venir meno da un momento all’altro, trasformandosi in aperto caos.
La mancanza nei progressi nelle trattative indebolisce innanzitutto la già fragile posizione del presidente Abu Mazen, e la conseguenza di definitivo fallimento del negoziato sarebbe inevitabilmente una recrudescenza delle violenze nei Territori occupati. Il primo ad avvantaggiarsene – afferma il funzionario intervistato dalla Bbc - sarebbe Hamas.
Il movimento islamico, che dal 2007 controlla la Striscia di Gaza e che non ha mai nascosto la propria opposizione al negoziato avviato tra Abu Mazen e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, sta lavorando da tempo alla ricostruzione delle proprie infrastrutture all’interno della Cisgiordania controllata dai rivali di Fatah.
L’obiettivo sarebbe quello di arrivare a lanciare “attacchi su larga scala” contro lo Stato ebraico e i suoi cittadini. In tal senso, l’uccisione di quattro coloni ebrei, avvenuta lo scorso settembre, rappresenterebbe solo un anticipo. Ma la fine dei colloqui alimenterebbe anche le violenze degli stessi coloni presenti in Cisgiordania, come già dimostrano i frequenti attacchi contro le moschee. Secondo l’esponente dell’intelligence di Tel Aviv, “restano pochi mesi a disposizione” e “tutto è legato ai progressi, o meno, nei colloqui di pace”.

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