FATAH SI SPACCA SU RITORNO AI NEGOZIATI DIRETTI

Roma, 21 agosto 2010 (foto dal sito blog.panorama.it), Nena News – Il Comitato esecutivo dell’Olp la scorsa notte ha dato il via libera alla partecipazione del presidente palestinese Abu Mazen alle trattative dirette con il premier israeliano Netanyahu che riprenderanno il 2 settembre a Washington, come annunciato ieri dal Segretario di stato Hillary Clinton e dal Quartetto per il Medio Oriente. Tuttavia in casa palestinese il ritorno al tavolo del negoziato senza precondizioni, senza mettere in discussione la colonizzazione israliana in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, proprio come voleva Netanyahu, ha generato forti scossoni.Polemiche e malumori attraversano in queste ore la base di Fatah, il partito di Abu Mazen, dove attivisti e simpatizzanti in buona parte non condividono l’approccio morbido che il Comitato esecutivo dell’Olp e la leadership dell’Anp mantengono nei confronti di una Amministrazione americana «deludente e appiattita sulle posizioni di Israele». Di fronte alle contestazioni interne, il capo negoziatore Saeb Erekat, nel corso della notte è stato obbligato a chiarire che «Se il governo israeliano approverà nuovi progetti edilizi dopo il 26 settembre (quando avrà termine la limitata moratoria delle costruzioni nelle colonie israeliane, ndr), noi non proseguiremo i negoziati». Giudizi negativi arrivano anche da altre forze politiche. Il deputato Mustafa Barghuti (Mubadara) non ha esitato a definire «vergognosa» la dichiarazione del Segretario di stato Hillary Clinton sull’avvio di negoziati «senza condizioni», ripetendo parola per parola la formulazione richiesta dal governo Netanyahu. Uno schiacciamento sulle posizioni israeliane che – unita all’incapacità d’imporre a Israele anche solo un impegno preliminare di proroga della moratoria parziale degli insediamenti – mette definitivamente fine, secondo Barghuti, alle speranze suscitate fra i palestinesi dal presidente Barack Obama e prelude a «un fallimento dei negoziati peggiore di quello di Camp David (luglio 2000, ndr)». I palestinesi, esorta Barghuti, piuttosto dovrebbero prepararsi a «mosse unilaterali», come la proclamazione del loro Stato indipendenteDa parte sua Hamas ha bocciato totalmente la ripresa dei negoziati diretti tra palestinesi e israeliani, definendola «un nuovo tentativo di ingannare il nostro popolo». Un portavoce del movimento islamico, Sami Abu Zughri, ha definito l’invito rivolto ieri a Netanyahu e Abu Mazen da Hillary Clinton, «inutile e destinato a riportarci a zero senza ottenere nessun risultato». La proposta americana, ha aggiunto Abu Zughri, «ha ignorato la richiesta palestinese di fermare gli insediamenti ebraici», mentre al contrario «questi colloqui legittimeranno le colonie (nei Territori occupati) approvando la loro continuazione». Analoga la posizione espressa dall’altro movimento islamico, il Jihad, che vede nella decisione di andare al negoziato diretto una «vittoria per la politica di dominio e oppressione del popolo palestinese attuata da Israele». La ripresa della trattativa diretta avviene mentre rimane irrisolto il contrasto tra Fatah e Hamas. Il sospetto di molti è che americani e israeliani, e a questo punto anche la leadership dell’Anp, abbiano in mente una soluzione «definitiva» solo per la Cisgiordania, lasciando il movimento islamico blindato e isolato negli stretti confini della minuscola Gaza, e con esso un milione e mezzo di palestinesi, fino ad una ipotetica «resa» di Hamas.D’altronde la proposta americana di arrivare ad una soluzione in appena un anno appare irrealistica non solo ai palestinesi. E’ arduo immaginare che Netanyahu e Abu Mazen possano trovare in 12 mesi un accordo definitivo su nodi - diritto al ritorno per i profughi, status di Gerusalemme, colonizzazione, acqua, confini – che non sono stati sciolti in 19 anni di trattative israelo-palestinesi, dalla Conferenza di Madrid ad oggin ogni caso il premier israeliano ha ottenuto ciò che voleva e si prepara a battere sul punto che gli sta maggiormente a cuore, sicuro di avere l’appoggio anche del maggiore partito d’opposizione, Kadima: il riconoscimento da parte dell’Anp e dell’Olp di Israele quale «Stato del popolo ebraico». Senza quel passo palestinese, il suo governo bloccherà lo sviluppo della trattativa. E’ una questione molto delicata per Abu Mazen che conosce le conseguenze di quella scelta. Riconoscere Israele quale «Stato del popolo ebraico» potrebbe dare fiato a quelle forze che intendono mettere in discussione i diritti, a partire dalla cittadinanza, della minoranza palestinese (araba israeliana). Non solo, rappresenterebbe la rinuncia definitiva al diritto al ritorno nella loro terra d’origine (oggi Israele) dei profughi palestinesi espulsi o fuggiti nel 1948, che a distanza di 62 anni continuano ad appellarsi alla risoluzione 194 dell’Onu.

Realista di fronte alle enormi difficoltà che sorgeranno al tavolo delle trattative è apparso l’inviato Usa per il Medio oriente, George Mitchell, che ieri ha riconosciuto la complessità degli obiettivi. Ha ammesso peraltro che gli Stati Uniti non interveranno sul calendario e le modalità dei negoziati diretti, e su come affrontare le questioni dello «status finale» dei territori occupati da Israele nel 1967. A decidere saranno solo Netanyahu e Abu Mazen, il più forte e il più debole. (red) Nena NewsContinua

Under threat from all sides

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