Palestina, nasce il primo telefono amico per gay e lesbiche


Sono donne in una comunità tradizionalista come quella araba. Sono palestinesi in uno stato, Israele, dove spesso vengono sottorappresentati. Sono omosessuali in una società, quella palestinese, che ritiene “haram” (proibito) il loro orientamento. Per venire incontro alle necessità della comunità lesbica e gay palestinese, in Israele come nei Territori, è nato in questi giorni un telefono amico che parla arabo. Un servizio inedito che «non è importante solo per l’idioma», ha spiegato all’Ansa Radir, coordinatrice di Aswat, organizzazione con sede a Haifa impegnata per i diritti delle donne omosessuali arabe che assieme all’Associazione per la Diversità sessuale nella società palestinese di Gerusalemme (Alqaws) ha promosso questa nuova help-line. «Finora mancava un supporto che potesse rispondere alle esigenze di gay e lesbiche che vivono in un contesto culturale e sociale molto diverso da quello israeliano», ha continuato Radir raccontando la sua esperienza: «Quando ero adolescente e m’interrogavo sulla mia sessualità non c’era nessuno in grado di aiutarmi».L’omosessualità, all’interno della società palestinese, resta un argomento tabu. «Non meno di un 10% degli arabi che vivono in Israele e nei Territori è gay», stando alle stime di Radir, ma di norma «viene escluso e discriminato». Il telefono amico, che funziona grazie ad alcuni volontari, è attivo per ora solo il mercoledì e si rivolge «soprattutto a coloro che non possono raggiungere le sedi delle associazioni Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e trans)».«Stiamo cercando di pubblicizzarlo il più possibile, ma non è facile – ha concluso la giovane attivista -, la speranza è che l’informazione e il nostro sostegno aiutino a creare in futuro anche nuovi volontari».

Anno 2007
Aswat: appello donne lesbiche palestinesiAnno 2007Aswat: appello donne lesbiche palestinesi
Siamo donne in una società patriarcale dove la voce delle donne non
viene sentita. Niente appartiene ad una donna, neppure se stessa. Tutto
nella sua vita è controllato da una figura maschile, che si tratti di
un padre, di un fratello o di uno zio. E' costantemente sotto il
controllo della sua comunità, nel suo quartiere, per strada, a scuola,
all'università, ovunque si trovi ci sarà qualcuno per sorvegliarla e
giudicarla. Per tradizione, nella nostra società una donna rappresenta
la reputazione e l'onore della famiglia, un fardello molto pesante che
dobbiamo sopportare e patire fino al giorno della nostra morte.
"La reputazione della donna è come uno specchio, una volta rotta non
potrà mai essere riparata". E' un detto molto noto tra le donne della
nostra comunità, che simbolizza in modo adeguato il tipo di pressione
che la nostra società impone alle donne. Sono molte le giovani
obbligate a lasciare la scuola appena raggiungono la maturità fisica
per paura che possano farsi influenzare e portare la vergogna alle loro
famiglie. La nostra società vive nella costante paura che le donne
possano portare la vergogna a se stesse, alle loro famiglie e alla loro
comunità. Le donne non sono capaci di prendersi cura di se stesse,
devono sempre dipendere da un uomo che le protegga e che provveda ai
loro bisogni, perché sono vulnerabili e deboli, o almeno così sono
viste tradizionalmente. Per la nostra società il ruolo delle donne si
limita ad essere madre, o figlia/sorella che diventerà a sua volta
madre non appena sarà in grado di farlo.Siamo palestinesi e viviamo sotto l'occupazione israeliena. Lasituazione politica peggiora ogni giorno e l'agenda politica e sociale
rinvia a tempi migliori il diritto delle donne. Ogni volta che una
donna tenta di prendere la parola, deve affrontare le reazioni furiose
dei vicini. Siamo sotto occupazione dal 1948. Essere palestinese inquesto paese significa avere un controllo limitato sula propria vita;
tutto è nelle mani degli occupanti. Sei limitato negli spostamenti
perché quasi sempre non lo puoi fare, a causa dei coprifuoco, delle
chiusure, dei check-point e del Muro che il governo israeliano ha
iniziato a costruire nel 2002 intorno alla Cisgiordania. Per cui tutte
le energie vengono messe nel soddisfare i bisogni della tua famiglia e
semplicemente, nella maggior parte dei casi, per essere in grado di
semplicemente, nella maggior parte dei casi, per essere in grado di
sopravvivere.
Siamo omossessuali in una società che non ha alcuna tolleranza per ladiversità sessuale. Il "coming out" non è nemmeno una possibilità
perché le sue conseguenze potrebbero essere molto gravi. Le scelte che
abbiamo sono limitate: possiamo vivere una doppia vita per sopravvivere
e conservare buoni rapporti con la famiglia, o fuggire in Israele doverischiamo di essere obbligate ad una vita difficile: prostituzione,
droga, ecc.
Abbiamo deciso che è arrivata l'ora di sfidare le regole della nostrasocietà e di fare sentire la nostra voce per cambiare.
traduzione di Silvia Macchi

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