Gaza, Onu “impaziente” per il blocco di Israele sui materiali edili
1Striscia di Gaza - Nella stretta e affollata striscia di Gaza, c’è un posto stranamente tranquillo. Visto dal tetto della vicina scuola delle Nazioni Unite, sembra il set di un film, o forse un campo d’addestramento militare.Esteso lungo il terreno sabbioso di Khan Younis, è un grosso complesso abitativo: 151 alloggi, con spazio per altri 450. La maggior parte è quasi completata. Tutti sono disabitati.
E’ uno dei 26 progetti - tra cui case, scuole e ospedali - che sono in costruzione da anni. Tutti sono andati avanti fino al giugno 2007. A quel punto, il movimento islamico Hamas - che ha sparato centinaia di razzi sulle città meridionali di Israele - ha preso il controllo della striscia di Gaza dopo mesi di violenti combattimenti con il suo rivale laico, Fatah.Come reazione, Israele e l’Egitto hanno rafforzato il loro blocco sulla striscia di Gaza, consentendo l’ingresso di poco altro oltre ai generi alimentari primari e alle medicine.Negli ultimi dieci mesi, l’Onu sta tenendo intensi negoziati ad alto livello con Israele, alla ricerca del permesso di portare materiali come porte, finestre, tubi e piastrelle per portare a termine questi 26 progetti.Ma i funzionari Onu dicono che non stanno facendo progressi. La loro delusione diventa sempre più forte.
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U.S. lawmakers to Obama: Press Israel to ease Gaza siege | |
La costruzione di colonie e insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati “viola il diritto internazionale e contravviene alla ‘Road Map’ per la pace in Medio Oriente, secondo la quale Israele è obbligato a congelare tutte le sue attività negli insediamenti”: lo ha affermato il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in un discorso pronunciato oggi davanti al Comitato Onu per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese. “La costruzione e l’ampliamento delle colonie – ha continuato il dirigente delle Nazioni Unite – logora la fiducia tra le parti, pregiudica la ripresa dei negoziati e la realizzazione di una possibile soluzione dei due stati”. Nel suo intervento - pronunciato mentre l’inviato statunitense George Mitchell è impegnato in una delicata visita in Medio Oriente nel tentativo di scongiurare il fallimento della mediazione americana – il Segretario generale ha sottolineato inoltre che “la comunità internazionale non ha mai riconosciuto l’annessione israeliana di Gerusalemme Est” e sostiene “fortemente” una soluzione del conflitto che preveda Gerusalemme capitale di due stati “vicini, in pace e sicurezza” e contempli accordi condivisi per la tutela dei luoghi santi. Parole distanti dalla realtà sul terreno, dove la missione dell’inviato americano è stata accolta da un clima di scetticismo generale, con una ripresa dei colloqui di pace “inverosimile” secondo gran parte degli osservatori. A gelare nelle ultime ore il già debole ottimismo di Mitchell erano state le dichiarazioni del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu secondo cui Tel Aviv “dovrebbe mantenere una presenza militare nella valle del Giordano, lungo il confine orientale di un eventuale, futuro stato palestinese, per prevenire il contrabbando di armi”. Le probabilità di una ripresa dei negoziati “sono esigue” ha detto al quotidiano israeliano ‘Haaretz’ chiedendo di restare anonimo un ministro israeliano, che ha aggiunto che la missione di Mitchell – che in questi giorni ha incontrato i vertici di Damasco, Beirut, Tel Aviv e Ramallah - “è destinata al fallimento”. Oltre alla costruzione delle colonie in Cisgiordania e allo status di Gerusalemme, tra i nodi principali per una ripresa dei colloqui - sospesi da oltre un anno, in seguito all’offensiva militare israeliana ‘Piombo Fuso’ nella Striscia di Gaza, che provocò la morte di oltre 1400 palestinesi per la maggior parte civili – figurano anche la questione dei rifugiati palestinesi e l’embargo imposto sulla Striscia da circa tre anni. La strategia israeliana di isolamento nei confronti della Cisgiordania e di Gaza, territori costretti fra muri e posti di blocco, si accompagna da alcuni mesi a una nuova politica che nega l’autorizzazione dei visti agli operatori umanitari stranieri che intendono recarsi nei Territori, compresi i docenti con contratti nelle università palestinesi e gli uomini d’affari. Secondo ‘Haaretz’ gli operatori umanitari temono ulteriori restrizioni, “come il veto a entrare a Gerusalemme Est e a Gaza attraverso il territorio israeliano senza permessi speciali, raramente concessi”.[AdL]http://www.misna.org/news.asp?a=1&IDLingua=2&id=264720
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