di Aviad Kleinberg ISRAELE – IL PRIMO GHETTO EBRAICO


l 10 gennaio, il primo ministro israeliano ha annunciato la decisione di costruire una nuova barriera per chiudere il confine fra Israele e l’Egitto. Ma circondare tutto Israele con recinzioni e barriere farà nascere molti altri muri in questo paese – scrive lo storico israeliano Aviad Kleinberg

***“Alla fine, non ci sarà altra scelta che recintare Israele in tutte le direzioni”, ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu in una sessione a porte chiuse (le cui notizie sono immediatamente trapelate, come succede abitualmente in Israele). “Il paese dovrà essere completamente recintato in tutte le direzioni”.

“In tutte le direzioni”. “Completamente”. Un’isola fortificata, armata fino ai denti, circondata da campi minati e recinzioni, da alti muri di cemento, e dal sospetto.

Ciò è certamente necessario alla luce delle nostre esigenze di sicurezza, si potrebbe dire. Il problema della sicurezza che ci governa e ci protegge richiede sacrifici, e non abbiamo altra scelta che accettarli. Tuttavia, non è questo il caso.

Questa volta il primo ministro non giustifica i muri, il filo spinato e i campi minati riferendosi ai timori legati ai terroristi e agli invasori. Piuttosto, egli sta parlando di un’altra paura. “Israele è l’unico stato del Primo Mondo che può essere raggiunto a piedi dal Terzo Mondo e dall’Africa”, dice. “Se non riusciamo a proteggerci con delle barriere, Israele sarà invaso da centinaia di migliaia di lavoratori stranieri e clandestini”Mettiamo da parte per un attimo l’ affermazione “geografica” di Netanyahu (una rapida occhiata alla carta geografica mostra che Israele è meno unico di quanto sostiene il primo ministro). Mettiamo da parte anche la falsa descrizione del problema (la maggior parte della manodopera immigrata in Israele, arriva qui con l’approvazione dello Stato , visto che i funzionari governativi consentono ai datori di lavoro di sfruttare i lavoratori stranieri). Pensiamo soltanto alla visione del mondo che le sue parole esprimono.

Netanyahu teme la pace non meno di quanto tema la guerra. La pace è davvero un sogno, ma per lui sembra essere un incubo. Netanyahu è mentalmente incapace di pensare ai nostri vicini in termini positivi. A suo parere non hanno nulla da offrirci. Sono venuti a prendere ciò che abbiamo – a contaminare la nostra “villa nella giungla”.

Ciò non è sorprendente. Quando si vive nella lussuosa comunità di Cesarea o nelle lussuose torri di Tel Aviv, i nostri vicini poveri diventano senza nome, un puro problema logistico. Bloccare le porte, costruire una barriera, e sguinzagliare cani da guardia. La povera gente sta arrivando; sono maleducati, ignoranti, e non sanno distinguere i vari tipi di sigari. Le signore filippine fanno un gran lavoro lavando piastrelle, ma questo non significa che si meritino un permesso di lavoro o un nome.

Affermazione culturalerigere un alto muro tra noi e i nostri vicini è un’affermazione culturale: la vostra cultura, i vostri problemi, e le vostre vite non sono di alcun interesse per noi. Viviamo nel Primo Mondo – cioè, veniamo dall’America. Ci è soltanto capitato di rimanere bloccati in Medio Oriente. I nostri vicini devono capire bene questo messaggio – noi non siamo di qui. Eppure, se non siete di qui, si chiedono loro, che cosa ci fate qui? Non ci piace sentircelo dire. Dopotutto, noi cerchiamo la pace. Oltre il muro.

E non pensiate che si tratti solo di impedire agli estranei di entrare. In una società in cui l’élite politica pensa che coloro che sono diversi da noi dovrebbero essere tenuti fuori con dei muri, vedremo barriere di separazione visibili e invisibili fare la loro comparsa in molti altri luoghie giustificazioni spesso si confondono. Perché non possiamo aprire la Highway 443 al traffico palestinese? Per ragioni di sicurezza? Per ragioni di convenienza? Al fine di prevenire gli attacchi, o nel tentativo di prevenire la congestione sulla Highway 1? Ogni cosa si confonde. La cultura, l’economia, la sicurezza, tutto lavora al servizio della separazione.

Eppure noi non ci separiamo soltanto da loro. Provate a camminare in alcuni quartieri di Beit Shemesh. Provate a passare attraverso i cancelli di alcuni quartieri a Jaffa. Cercare di passare gli esami di ammissione e i limiti per le tasse d’iscrizione presso alcune istituzioni accademiche in questo paese; cercate di passare dall’essere molto poveri all’essere molto ricchi. Buona fortuna, non è facile.

La mentalità della separazione, di voltare le spalle con ostilità a quelli che non sono del tutto simili a noi (ebrei o arabi, laici o religiosi, poveri o ricchi, bianchi o neri) – tutto questo non si ferma alla barriera di confine. Ci si passa attraverso facilmente come in passato. E poi…benvenuti nel primo ghetto ebraico!

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