Barbara Spinelli: La rivolta di Rosarno - Se questi sono uomini


Il futuro in cui siamo già immersi comincia nella piana di Gioia
Tauro: a Rosarno in provincia di Reggio Calabria (un’autentica
guerriglia urbana è ancora in corso), come a Castel Volturno e a
Reggio stessa, dove la ’ndrangheta ha voluto intimidire i magistrati
con un attentato alla procura generale. Il futuro comincia a Rosarno
perché i principali problemi della nostra civiltà si addensano qui: le
fughe di intere popolazioni dalla povertà e dalle guerre (guerre
spesso scatenate dagli occidentali, generatrici non di ordine ma di
caos); le vaste paure che s’insediano come nebbie, intossicando la a degli immigrati e dei locali; le cruente cacce al diverso; il
dilagare di una mafia esperta in controllo mondializzato.

A ciò si aggiunga l’impossibilità di arrestare migrazioni divenute
inarrestabili, perché da tempo non si trovano italiani e cittadini di
Paesi ricchi disposti a fare, allo stesso salario, i lavori fatti da
africani. Si aggiunga l’ipocrisia di chi crede che la risposta
consista in un’identità monoculturale da ritrovare.la menzogna di chi non sopporta lo sguardo inquieto e assicura:
abbiamo già praticamente vinto le mafie, Gomorra appartiene al
passato, è «un vecchio film in bianco e nero», come dice Maroni. Non
per ultimo, si aggiunga lo Stato che perde il controllo del territorio
e il monopolio della violenza: i neri a Rosarno combattono contro
ronde private di locali, infiltrate da ’ndrangheta e armate di fucili.
Il pensiero della Lega è egemonico e le rivolte vengono associate, dalinistro Maroni, non alle mafie ma all’immigrazione clandestina che si
promette di azzerare sanando ogni male. È inganno anche questo. Quando
in Francia s’infiammarono le banlieue, nel novembre 2005, Romano Prodi
disse che il fenomeno, mondiale, non avrebbe risparmiato l’Italia. Fu
deriso e non creduto.

Non era menzogna invece. È vero che l’Italia ha da anni una
reputazione cupa, e impaura a tal punto immigrati e fuggitivi da
suscitare, nei loro animi, il senso di schifo di cui parla Balotelli.
Gran parte dell’Europa ha una cupa reputazione, ma questo non scusa i
nostri misfatti e silenzi: il silenzio del sindacato soprattutto,
abituato a proteggere pensionati e operai delle grandi industrie
(ormai dei privilegiati) e del tutto afasico sull’intreccio mafia,
immigrati, sfruttamento. Il massimo della spudoratezza è raggiunto
quando i nostri ministri citano Zapatero o Sarkozy, quasi che gli
errori altrui nobilitassero i nostri. Quasi che non esistesse, in
Italia, quel sovrappiù che è il potere malavitoso. Le rivolte di
questi giorni discendono dal fallimento dello Stato e lo rivelano. È
la conclusione cui giunge il prezioso libro di Antonello Mangano,
scritto sui ventennali disastri di Rosarno e Castel Volturno. Il
titolo è: Gli africani salveranno Rosarno - E, probabilmente, anche
l’Italia (Terrelibere.org 2009). rivolte odierne hanno infatti una storia alle spalle, occultata dai
politici e da molti giornali. Coloro che a Rosarno hanno reagito con
ira distruttiva a un’ennesima aggressione contro i lavoratori neri
(due feriti a colpi di carabina, giovedì) sono gli stessi che nel
dicembre 2008 si ribellarono alla ’ndrangheta. Erano stati feriti
quattro immigrati, e gli africani fecero qualcosa che da anni gli
italiani non fanno più. Scesero in piazza, chiedendo più Stato, più
giustizia, più legalità. Contribuirono alle indagini dei magistrati
con coraggio, rompendo l’omertà e rischiando molto.

Denunciarono gli aggressori a volto scoperto, pur non essendo protetti
da permessi di soggiorno. È vero dunque: gli africani salveranno
Rosarno e forse l’Italia, come scrive anche Roberto Saviano. Poco
prima della rivolta a Rosarno si erano ribellati gli africani a Castel
Volturno, il 19 settembre 2008, rispondendo a una sparatoria di
camorristi che aveva ammazzato sei immigrati.

Quel che è accaduto dopo è una sciagura prevedibile, e per rendersene
conto basta vedere come vivono, gli africani dell’antimafia. Sonoeloquenti più di altri i video di Medici senza Frontiere, che parlano
di crisi umanitaria nella piana di Gioia Tauro. Il rapporto che Msf ha
redatto nel 2008 ha un titolo ominoso: «Una stagione all’inferno»,
come il poema di Rimbaud. Difficile descrivere altrimenti gli africani
che vivono in stabilimenti industriali abbandonati, come la cartiera
«La Rognetta» a Rosarno, o l’oleificio dismesso presso Gioia Tauro.
Dentro l’oblò del silos per l’olio: giacigli di stracci. Tutt’intorno,
fuochi e soprattutto rifiuti, montagne di rifiuti tra cui vagano,
tristi ombre, esseri umani che si costruiscono alloggi di cartone o
tende senza sanitari. Vedere simili paesaggi ricorda Gaza, gli slum
pachistani: non è vita primitiva ma l’osceno connubio tra architetture
industriali moderne, indigenza estrema e apartheid. Un africano dice
sorridendo a Medici senza Frontiere: «Tra l’una e le quattro di notte
inutile provare a dormire. Troppo freddo».Ci nutriamo volontariamente di menzogne, come il protagonista nel
poema di Rimbaud, quando diciamo che quest’oscenità nasce
dall’eccessiva tolleranza verso i clandestini. Abbiamo chiamato noi
gli africani a raccogliere aranci, consci che nessuno lo farà a quel
prezzo e per tante ore (25 euro per un giorno di 16-18 ore; 5 euro
vanno a caporali mafiosi e autisti di pullman). E la tolleranza
denunciata da Maroni non è verso i clandestini ma verso le condizioni
in cui vivono clandestini o regolari.

Dopo aver tollerato tutto questo, e versato nella regione milioni di
euro finiti in tasche sbagliate, ogni stupore è fuori luogo. I tumulti
odierni non sorprendono: se questi africani non son uomini, come
s’intuisce nei video, impossibile che non sboccino, prima o poi, i
Frutti dell’Ira di John Steinbeck. Scritto nel ’39 durante la Grande
depressione, il libro Furore poteva sperare, almeno, nel New Deal di
Roosevelt che noi non abbiamo.

Ne abbiamo tuttavia bisogno, di un New Deal, che metta fine
all’apartheid e non si limiti a spostare immigrati come mandrie da un
posto all’altro. Perfino i poliziotti, spiega Antonello Mangano,
dicono che la risposta non può essere solo punitiva, che gli africani
sono una comunità mite, che le migrazioni continueranno. Con
l’estendersi delle catastrofi climatiche saranno enormi, gli esodi.
Non è vero che la questione della cittadinanza viene per ultima. Le
grandi crisi si affrontano con grandi scommesse iniziali, fondatrici
di nuove solidarietà. Non è vero neppure che i liberal e la Chiesa
sono retrogradi, come scrive Angelo Panebianco sul Corriere. Pensare
in grande l’integrazione è preparare oggi il futuro.

Dicono che l’identità stiamo smarrendola, a forza di rinunciare alle
nostre radici e di convivere con diversi che ci condannano al
meticciato.Anche questa è menzogna. In realtà siamo già cambiati: non perché
incomba il meticciato tuttavia, ma perché la nostra identità non è più
quella curiosa, accogliente, porosa che fu nostra quando
emigravamo in massa e incontravamo violenza. È un ottimo viatico
l’ultimo libro di Gian Antonio Stella (Negri Froci Giudei - L’eterna
guerra contro l’altro, Rizzoli 2009): si scoprirà che la mutazione già
è avvenuta, nel linguaggio della Lega e nella disinvoltura con cui si
accettano segregazioni che trasformano l’uomo in non uomo.

L’identità che abbiamo perduto, la recuperiamo solo se non tradiamo
quella vera inventandone una falsa. Solo se sblocchiamo le memorie e
ricordiamo che le sommosse antimafia dei neri prolungano le rivolte
italiane condotte, sempre in Calabria, da uomini come Peppe Valarioti
e Giannino Losardo, i dirigenti comunisti uccisi dalle ’ndrine nel
1980. Solo se scopriremo che il nostro problema irrisolto non è
l’identità italiana, ma l’identità umana. Le scuole non hanno bisogno
delle quote del ministro Gelmini (non più di tre alunni su dieci per
classe in tutta Italia, come se Gesù avesse imposto quote di accesso
alla stalla di Betlemme: non più di tre Magi). Hanno bisogno di
insegnare il mondo che muta. Altrimenti sì, è l’inferno di Rimbaud:
«L’Inferno antico: quello di cui il Figlio dell’Uomo aperse le porte».
dalla Stampa
allegati

Ricordatevi, ricordiamoci: a Rosarno oggi è proibito avere la pelle nera. Non importa se in tasca hai il permesso di soggiorno o, al limite, il passaporto italiano. E’ proprio il colore della tua pelle che non va. A suo modo lo sgombero dei neri dalla piana di Gioia Tauro segna una tappa storica, di cui [...]

La prima volta, ricordatevelo

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