Yitzhak Laor Perché è sparita la sinistra in Israele?
Le minacce proferite dai nostri leader, Benjamin Netanyahu, Avigdor Lieberman ed Ehud Barak, contro un’eventuale dichiarazione di indipendenza palestinese hanno per un attimo fatto scivolare giù, come un paio di slip femminili, il perbenismo israeliano normalmente noioso ed ostinato. Ciò ha messo a nudo il brutto “scheletro” della prepotenza che conferisce solo a noi la libertà di parola: a noi è concesso, a voi è vietato. Noi possiamo ribadire la dichiarazione di indipendenza di Israele in continuazione; voi non potete fare altrettanto con la vostra.La spiegazione più banale per i nostri privilegi, una spiegazione che sta diventando via via più significativa, è quella religiosa: la terra è nostra, proviene da Dio, non è loro, sicché a noi è permesso dichiarare l’indipendenza o colpire i civili. Invece la spiegazione più semplice offerta dai laici per questi privilegi è la potenza: noi siamo forti. Queste due spiegazioni formano l’asse del consenso. In nome di questo consenso, i rabbini militari e gli ufficiali delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), dotati di comparabili dosi di isteria, intesero incitare i soldati che si incamminavano verso Gaza per uccidere.E la sinistra? In questa temperie spirituale nessuna sinistra (che può esistere solo in un contesto basato sull’uguaglianza) può trovare spazio. Così, vigendo ovunque l’atteggiamento “chiudi il becco sennò sarai punito”, Peace Now era destinato a scomparire e a ridursi a fare annunci a pagamento sui quotidiani, senza militanti attivi. Meretz era destinato a evaporare, e i laburisti pacifisti erano destinati a disintegrarsi. Questa sinistra insisteva nel rimanere attaccata al consenso, e considerava il conflitto con i palestinesi come una guerra a difesa dello Stato, e non come il presidio in forze di una nazione occupata per mezzo di carri armati e di caccia F16.In breve, questa sinistra è svanita perché aveva paura di chiamare le cose col loro vero nome: guerra coloniale. Passo dopo passo, decine di migliaia di progressisti mutarono le loro posizioni. Continuarono a cantare la “Canzone per la pace”, vennero a patti con i grandi blocchi di insediamenti e dissero: “Mai più violenza”. Il loro governo requisiva acqua e terra, ma essi non volevano saperne nulla. Dissero ai palestinesi di gettare le armi, e denunziarono i soldati che rifiutavano di servire nei Territori come se li avessero traditi.Durante i quarantadue anni di occupazione, questi movimenti pacifisti moderati non hanno praticamente mai avuto contatti con i palestinesi. I palestinesi, per parte loro, spesso non erano d’aiuto, quantomeno non durante i primi due decenni di occupazione. Ma in quell’estraniamento, e nella scelta di fare la campagna per la pace “dalla parte del popolo d’Israele”, la sinistra si è “squagliata” tra un’operazione militare e l’altra. Spalleggiava le Forze di Difesa Israeliane (IDF), sospirava per la situazione creatasi, e stava ad aspettare che gli americani riportassero l’ordine nella regione.
Ogni tanto, questi leader israeliani pacifisti hanno in parte collaborato con i leader palestinesi nei Territori; l’Iniziativa di Ginevra, per esempio. Ma ciò è stato sempre accompagnato da derisione e da prediche moraleggianti. Lo slogan “cercami” di Yossi Sarid è stato la sintesi più concisa di questo rapporto. Il concetto era: voi avete bisogno di noi, noi non abbiamo bisogno di voi.Vi era una sola differenza tra i sinistrorsi nascosti nelle loro case (nemmeno partecipano più alla manifestazione commemorativa per Yitzhak Rabin) e il consenso Barak-Netanyahu. I primi credevano nella soluzione dei due Stati, mentre i leader di Israele hanno sempre pensato in termini di subordinazione: l’opzione giordana, l’autonomia, o trasformare lo Stato palestinese in uno Stato fantoccio, un subalterno nella zona dello shekel, che avrebbe un’esistenza precaria in mezzo a insediamenti retti da Israele. Uno Stato senza economia né sovranità.Ma Israele, così come viene visto dalla sinistra, ha bisogno ora dell’ostinazione dei palestinesi più di ogni altra cosa. Ha bisogno che essi siano pronti a tracciare le frontiere fra i territori occupati e lo Stato di Israele, e a combattere per quelle frontiere con proteste, manifestazioni, resistenza passiva e appelli alla comunità internazionale.Come successe una volta con il sostegno dato da molti sudafricani bianchi all’African National Congress, una dichiarazione unilaterale di indipendenza palestinese offre alla sinistra israeliana l’opportunità di combattere finalmente la politica della forza seguita da Israele. In gioco c’è la normalità della nostra vita quotidiana.
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