Akiva Eldar“Aberrazione israeliana.”


Che cosa vuole da noi Mahmoud Abbas? Dovrebbe smetterla di gridare e dovrebbe cominciare a parlare. Perfino Benjamin Netanyahu, che proviene dal campo della destra, gli ha promesso uno stato; e Shaul Mofaz, il terrore dei palestinesi è desideroso di consegnargli, a credito, il 20% della West Bank. Abbas può essere capace di prendere in giro gli americani, ma gli israeliani non sono dei fessi. Non ci facciamo impressionare dal trucco di queste dimissioni. Sappiamo che nessuno getta via la chiave del suo ufficio per alcune migliaia di coloni. A Ramallah, ogni bambino sa che, alla fine, le colonie dislocate all’esterno dei “blocchi di insediamenti” entreranno a far parte della Palestina.L’atteggiamento dell’israeliano medio sulla questione delle colonie è uno degli effetti della malattia cronica che minaccia l’esistenza dello Stato Ebraico: l’incapacità di mettersi, neppure per un minuto, nei panni del vicino. Che cosa diremmo se Abbas dovesse chiederci di acconsentire al ritorno dei profughi alle loro case di Jaffa? Non molti, appena poche centinaia, provvisoriamente. In ogni caso, alla fine dovremo raggiungere un accordo per risolvere il problema dei profughi. Che cosa risponderemmo se la Siria, durante la guerra dello Yom Kippur, fosse riuscita a conquistare la Galilea – ed anni dopo si rifiutasse di interrompere le costruzioni di colonie proprie nel territorio della “Grande Siria”, nonostante il protrarsi dei colloqui di pace con Israele? Poiché non è quello il male, lo sono solo le terre che fanno parte del “blocco delle colonie” nell’Area C che sono sottoposte al controllo militare e civile siriano? (Il sessanta per cento della West Bank viene indicata come Area C e in essa nessun palestinese ottiene il permesso di costruire.) Dopo tutto, è solo questione di qualche asilo e di qualche centro di accoglienza per bambini. E noi dobbiamo prendere in considerazione la loro crescita naturale.Se i siriani avessero deciso unilateralmente di disimpegnarsi da Naharya, i combattenti per la libertà israeliani nella zona di confine di Tiberiade avrebbero posato le loro armi? Quanti Baruch Goldstein si sarebbero fatti esplodere nelle moschee se dei soldati siriani avessero perquisito le auto degli ebrei ai blocchi stradali, o avessero imposto loro il coprifuoco durante le festività musulmane? E che cosa sarebbe successo a un dirigente israeliano che nel settembre del 1993 avesse promesso che l’occupazione siriana sarebbe terminata verso la fine del decennio – solo che, giunta la fine del decennio, egli venisse ripreso in un vano destreggiarsi per congelare temporaneamente le costruzioni in parte della Galilea? Quanti giorni sarebbero occorsi a un governo dell’Autorità israeliana – configurato come un’entità temporanea, una collocazione intermedia sulla strada dell’indipendenza politica, per divenire nulla di più di un sub-appaltatore nella gestione dell’occupazione – di fatto l’ultimo? Quali termini si sarebbe dovuto utilizzare per descrivere l’Abbas e il Salam Fayyad israeliani?Nel suo libro “L’Ordine Sociale delle Personalità Multiple”, il prof. Shlomo Mendlovic, che dirige un programma di psicoterapia presso l’Università di Tel Aviv, si dedica alla caratterizzazione della perversione. La somiglianza tra ciò che lui definisce perversione e le peculiarità del comportamento collettivo israeliano fa disgustare chiunque: un attacco in forze perché possa essere di sostegno a una persona (o società) come fattore di sopravvivenza; un collasso della capacità di valutare la differenza tra ciò che è utile e ciò che è dannoso, tra la vita e la morte; il timore del confronto, la sofferenza che scaturisce dalla lotta per la conservazione dello status quo e contro idee che suggeriscono un cambiamento; e dal mettere a repentaglio gli indispensabili dolorosi processi rivolti ad ottenere un cambiamento. Ciò spiega quanto si è omesso nell’opzione giordana, quanto si sta trascurando dell’Iniziativa di pace araba, e come perderemo il partner palestinese per una soluzione a due stati.Non si è individuato alcun arabo con una perseveranza su questa soluzione maggiore di quella di Abbas, per la sua coraggiosa opposizione alla violenza e la pazienza nell’affrontare gli acrobatismi dei politici israeliani. Ma non c’è alcun leader che sia in grado di portare a termine dei negoziati su questioni esplosive, come i confini, Gerusalemme e i profughi, senza il supporto pubblico del suo popolo. Nessun pubblico gli accorderà la legittimazione a portare a termine i negoziati riguardanti il destino del suo paese e a distoglierne lo sguardo mentre la controparte ne addenta grossi pezzi.Al momento ci stanno tranquillizzando dicendoci che nulla turberà il nostro antico buon status quo. Ci viene promesso che Abbas annullerà le elezioni e che continuerà ad essere al servizio dell’occupazione fino alla fine dei suoi giorni. Allo stesso tempo, manifestiamo la nostra aberrazione contro l’iniziativa di Fayyad di dichiarare unilateralmente l’esistenza di uno stato palestinese. Il presupposto è stato e resta uno dei seguenti: due stati per due popoli lungo i confini del 1967; o uno stato unico, nel quale due popoli continuino a rendersi reciprocamente la vita infelice. Israele, ad occhi completamente serrati, sta andando a briglia sciolta incontro a quest’ultima sciagura.

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