Avi MograbiSE ISRAELE COLTIVA IL MITO DI SANSONE


Il documentarista, lo scomodo - per qualcuno - documentarista israeliano Avi Mograbi è stato ospite al Milano Film Festival (chiusosi il 20 settembre scorso). Per la prima volta, l'Italia gli ha dedicato una retrospettiva dove al cineasta è stato anche consentito di avere uno spazio in cui esporre i suoi film e documentari nel formato originario, quindi allestiti come video installazioni. La «monografica» ha avuto l'intento di illustrare la sua continua ricerca di ingiustizie perpetrate dallo stato di Israele nei confronti del popolo palestinese.Lo abbiamo incontrato in occasione di uno dei suoi tanti workshop aperti al pubblico in cui il regista ha illustrato la tecnica e le motivazioni del suo essere documentarista e, insieme, si è soffermato a spiegare il suo personale sguardo sulla situazione mediorientale che, ancora oggi, non sembra avere raggiunto nessuna fase di miglioramento, nonostante gli «sbandierati» impegni da parte dei paesi direttamente coinvolti e di quelli occidentaliDando un rapido sguardo agli ultimi film israeliani che hanno fatto parlare molto di sé, Mograbi ci ha aiutato a definire meglio il suo lavoro personale e ha evidenziato alcune sostanziali differenze tra i suoi lavori e quello di altri filmaker. Esiste sempre, in queste pellicole, una ricerca di risposte ma, ha sostenuto con serenità, «se per esempio Valzer con Bashir è un racconto che indaga i traumi personali e quello che la memoria del coinvolgimento in certi crimini causa alla singola persona (quindi uno sguardo che indaga psicologicamente all'interno di se stessi), il mio Z32 è diverso

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