IL MURO DI ISRAELE E LE RISORSE IDRICHE


La barriera, che Israele costruisce dalla fine del 2002, consiste in una striscia di terra, larga 35 - 50 metri. Ha i bordi delimitati da filo spinato; all'interno vi è una serie di trincee e di piste di osservazione, fra le quali passano strade per le pattuglie. All'interno vi è il "Muro" stesso, che può arrivare a otto metri di altezza. In punti diversi, questo è o un vero muro, o una barriera a protezione elettronica, con sensori a contatto che possono scattare ad ogni movimento. Si impiegano anche tecniche di osservazione aggiuntive, come macchine fotografiche, strumenti per la visione notturna e radar. La lunghezza complessiva del Muro, come pianificato attualmente, è intorno a 700 chilometri, con un costo di costruzione a chilometro intorno a 2 milioni di euro Nella sezione nord, la prima fase di costruzione del Muro amputa dal resto della Cisgiordania 16 villaggi; a più di 30, oltre che alle cittadine di Tulkarem e Qalqilya, sono state espropriate aree significative di terreno.Le zone lungo il Muro sono il cuore dell'agricoltura irrigata in Cisgiordania; il 37% dei prodotti agricoli dell'area provengono dalle zone di Jenin, Tulkarem e Qalqiliyah. Qui l'irrigazione è il fattore cruciale limitante, per l'agricoltura: nel 2000, la terra irrorata solo di acqua piovana rese soltanto 319 tonnellate di prodotti per chilometro quadro; quella irrigata, 6.960.A seguito dell'occupazione israeliana, nel 1967, e in assenza di un qualunque settore industriale significativo nei Territori Occupati, è emersa una particolare forma di dipendenza strutturale: i manovali palestinesi migravano in Israele per lavoro. All'epoca, tale spostamento era fortemente incoraggiato da Israele; i palestinesi trovavano lavoro soprattutto nei settori edilizio ed agricolo.Nel 1991, tuttavia, dopo la seconda Guerra del Golfo, fu introdotto un sistema di autorizzazioni speciali per i palestinesi che volevano lavorare in Israele; il processo di chiusura selettiva fu intensificato dopo gli accordi di Oslo, nel 1993. In breve tempo, solo pochi fortunati poterono ottenere il permesso di attraversare la Linea Verde, ed il numero di coloro che lavoravano in Israele si ridusse di molto. Di conseguenza, gli abitanti dell'area di confine avevano due alternative: il ritorno al lavoro agricolo, o la disoccupazione a lungo termine (che, in queste zone, è attualmente pari al 77,3%). Benché questi siano i terreni migliori della Cisgiordania, la percentuale di forza lavoro che può davvero lavorare i campi è sorprendentemente bassa: poiché oggi solo il 6% della terra disponibile è irrigata, il settore agricolo può assorbire soltanto l'11% della popolazione attiva (nell'insieme della Cisgiordania, invece, ben il 43%). L'unico modo per migliorare i dati è di avere una maggior disponibilità di acqua per l'irrigazione.In termini idrologici, questa sezione del muro sta entro i confini della Falda Acquifera Montuosa Occidentale; l'area di pompaggio è limitata ad una stretta striscia di terra, parallela alla Linea Verde. A causa delle condizioni di flusso della falda freatica, solo questa sottile striscia, attualmente in Cisgiordania, ha un potenziale significativo per aumentare in futuro il livello di estrazione dell'acqua.La Falda Occidentale è quella più importante, in Israele e in Palestina; fornisce da sola molta più acqua di quanta non provenga insieme dalle altre due che originano in Cisgiordania. Oltre a ciò, il Bacino Orientale e quello Nord-Orientale sono molto meno facili da perforare, ed hanno un pompaggio più difficile. In Cisgiordania, dal 1967, Israele ha proibito quasi completamente ai palestinesi di perforare; fra il 1967 e il 1990, poterono scavare in tutto solo 23 nuovi pozzi, di cui 20 soltanto per avere acqua potabile, e spesso sotto il controllo indiretto delle forze di occupazione, e cioè del Dipartimento Idrico di Cisgiordania. Ad Oslo, mentre Israele consentì ai palestinesi di scavare alcuni pozzi nei Bacini Acquiferi Orientale e Nord-Orientale, rifiutò nettamente di approvare qualunque nuova perforazione in quello Occidentale. In quest'ultimo tutti i pozzi, da cui dipendono i palestinesi oggi, risalgono quindi all'epoca giordana. L'uso della Falda Acquifera Occidentale è ora diviso, pertanto, in modo particolarmente iniquo: mentre in Israele vi sono circa 500 pozzi profondi, da cui l'acqua fuoriesce abbondante, i palestinesi devono accontentarsi di soli 159 vecchi pozzi, la maggior parte dei quali scavati per irrigare; per la minore profondità, forniscono meno acqua di quelli israeliani.La maggior parte dei pozzi israeliani, nella Falda Acquifera Occidentale, sono connessi al sistema idrico nazionale: l'acqua ottenuta, quindi, può essere utilizzata in tutto il Paese. Al contrario, la maggior parte dei villaggi palestinesi, siti sopra la Falda, sono poco o nulla riforniti indipendentemente, benché l'acqua passi proprio sotto i piedi degli abitanti. Anch'essi sono obbligati, pertanto, ad acquistarla dalla Mekorot, l'Azienda Nazionale Israeliana dell'Acqua, benché questa non conceda loro di accedervi parimenti agli israeliani - né per quantità, né per servizio, né per prezzo.Israele usa circa 2 miliardi di metri cubi all'anno, come acqua potabile e per scopi agricoli, commerciali ed industriali. Di questi, 1.100 - 1.200 provengono da pozzi; il resto soprattutto dal Lago di Tiberiade (400 - 500 milioni di metri cubi annui).In Cisgiordania, 2.300.000 palestinesi controllano, da pozzi e sorgenti, circa 138 milioni di metri cubi l'anno (il 20% delle risorse freatiche), mentre gli israeliani si appropriano approssimativamente di 562 milioni di metri cubi (e cioè dell'80%). A Gaza, 1.200.000 abitanti usano approssimativamente 100 milioni di metri cubi annui. I 3.500.000 palestinesi che vivono nei Territori, con 238 milioni di metri cubi, usano solo l'11% delle risorse totali della Palestina storica; i 6.700.000 abitanti di Israele, che consumano un totale di 2.000 milioni di metri cubi, per contro, adoperano in tutto l'89%.Questo enorme squilibrio di distribuzione è iniquo fino ad essere grottesco nella Falda Occidentale: qui Israele prende il 93% dell'acqua disponibile, lasciando ai palestinesi solo il 7%. I pozzi di questi ultimi sono concentrati nell'area intorno alla sezione Nord del muro, specialmente verso Tulkarem e Qalqiliya; qui si estraggono in media, da 141 pozzi, 22.190.000 metri cubi d'acqua l'anno.Per l'acqua delle falde freatiche, Israele si basa sul concetto di "uso instaurato", passando sotto silenzio che non vi è nulla di naturale o di organico nello schema di utilizzo attuale, originato direttamente dall'occupazione. I palestinesi fanno spesso riferimento al principio internazionale, che protegge i diritti di chi sta a monte: il 90% della ricarica piovana di tutte le falde acquifere condivise ha luogo in Cisgiordania. Mentre Israele applica questo principio nel caso del Giordano, stante che controlla il fiume immediatamente a monte della Cisgiordania, rifiuta nettamente ogni tentativo di applicare detta argomentazione alla Falda Acquifera Occidentale.La disputa diverrà ancora più importante in caso di rifiuto israeliano di assumersi almeno parte della responsabilità di fornire acqua a Gaza. L'uso di acqua nella Striscia ha già passato la soglia critica: il pomparne in quantità di molto eccedente le risorse ha già causato effetti catastrofici, danneggiando l'economia, l'ecologia, la salute, e mettendo a repentaglio i rifornimenti idrici di base. Se in futuro i negoziati dovessero obbligare a fornire gli abitanti di Gaza di acqua dalla Cisgiordania, l'unica possibile risorsa sarebbe la Falda Acquifera Occidentale.I palestinesi chiedono da tempo più acqua - sia per bere, sia per lo sviluppo economico. La Palestina è ben lontana dall'essere una nazione industriale: ci sarà inevitabilmente un considerevole periodo di transizione, in cui dovrà basarsi sull'agricoltura. Questo è particolarmente vero per le aree prossime alla Linea Verde, dove la chiusura israeliana ha avuto come conseguenza una massiccia disoccupazione. Per lo sviluppo agricolo, l'acqua avrà un ruolo chiave.All'inizio, il Muro era figlio della 'sinistra' israeliana, cioè del Partito Laburista e del Meretz. Furono questi partiti per primi a chiedere di costruire il Muro, volendo che ciò avvenisse in fretta. Questo entusiasmo è stato il segno di un mutamento di base, sin dall'inizio della seconda intifada, dell'opinione degli israeliani progressisti 'liberal', che in precedenza si consideravano come appartenenti all'ampio campo pacifista. Fra i motivi principali di questo vi fu la narrativa esposta da Barak, al ritorno da Camp David, nell'estate del 2000, quando rifiutò ogni responsabilità per il fallimento dei negoziati. Nel far ciò, coniò la frase: "Abbiamo offerto loro tutto, ma hanno scelto la violenza". Per i progressisti 'liberal', quindi, il primo e più importante scopo del Muro è di fungere da barriera protettiva contro attentati terroristici. Una conseguenza secondaria, pure considerata desiderabile, è di ridurre il numero di soldati necessari a reprimere l'intifada. Molti di questi sostenitori della prima ora si aggrappano quindi all'illusione di aver solo bisogno di 'abbastanza' Muro, per avere la sicurezza di non essere più esposti ad attacchi suicidi palestinesi all'interno di Israele; a tutt'oggi, molti israeliani 'liberal' di sinistra lo difendono, credendo ancora che sia uno strumento di pace.I coloni, viceversa, all'inizio si opponevano totalmente al Muro, che ritenevano li avrebbe separati dal resto di Israele. Fra la fine del 2002 e l'inizio del 2003, tuttavia, il Consiglio di Yesha (il consiglio e l'apparato amministrativo che copre la maggior parte delle colonie in Cisgiordania) cambiò posizione, sostenendo la campagna per costruirlo; nel contempo, chiesero di cambiarne il percorso. Già prima che i coloni esponessero le loro richieste, questo non seguiva semplicemente la Linea Verde, ma era in genere più ad est, entro la Cisgiordania. A questo punto, tuttavia, il suo percorso fu gradualmente ridisegnato, per incorporare quanti più insediamenti possibile sul lato israeliano. Un'annessione sfrontata sostituì ogni mira di sicurezza. Allo stesso tempo, i progettisti volevano annettere il minor numero possibile di palestinesi: la linea del Muro si muove quindi all'indietro, verso ovest, ogni volta che incontra un villaggio palestinese, separando così gli abitanti dall'entroterra. In breve: i terreni sono ora ad ovest del Muro, i palestinesi ad est.Sharon aveva sempre cercato di ritardare la costruzione del Muro. Le colonie erano, dopotutto, il suo progetto preferito; al pari dei coloni, si preoccupava che non rimanessero isolati. A suo parere, questo avrebbe costituito anche un pericoloso precedente, potendo essere visto come un primo passo per stabilire i confini del futuro stato palestinese. Creando il genere sbagliato di 'fatti sul terreno', esso poteva finire con il facilitare la fine dell'occupazione.Tuttavia, l'atteggiamento di Sharon cambiò: dopo aver formato il governo più a destra nella storia di Israele [3], nel contesto della guerra in Iraq si trovò sotto una qualche pressione, perché riaprisse i negoziati. La necessità è la madre dell'invenzione: premuto perché accettasse la Road Map, abbandonò in fretta l'ostilità verso il Muro - non perché ora accettasse l'idea di uno stato palestinese, ma perché aveva scoperto come sabotare il progetto, perché servisse ai propri fini.In un parere consultivo, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) all'Aja sancì, il 9 luglio 2004, che la maggior parte del Muro, entro la Cisgiordania, viola la legge internazionale: "... Israele... ha l'obbligo di interrompere i lavori di costruzione e di riparare al danno causato a tutte le persone, fisiche o legali, interessate".Il 20 luglio 2004, l'Assemblea Generale chiese ad Israele di sottostare agli obblighi legali, identificati con l'opinione consultiva dell'ICJ, ma l'Alta Corte israeliana rifiutò il parere sull'illegalità della Barriera, sostenendo che la si può costruire all'interno del territorio palestinese occupato, per proteggere le colonie.Con questo, Israele ha mutato una struttura apparentemente difensiva, come un muro o una recinzione, in uno strumento sfacciatamente offensivo: ampliandone il perimetro, con il pretesto di "sicurezza e protezione" espande sempre più il territorio intorno alle colonie, stabilendo così fatti sul terreno per una tacita conquista. Per il pubblico israeliano in genere, "sicurezza e protezione" costituiscono il mantra, quasi mitologico, per giustificare ogni misura, mettendo a tacere ogni critica.Che la barriera non sia intesa affatto come una struttura temporanea è divenuto in Israele un segreto di pulcinella. Nel dicembre del 2005, Tzipi Livni, all'epoca Ministro della Difesa, disse che questa sarebbe stata "il futuro confine dello stato di Israele". In effetti, disse, "decidendo sulla barriera di separazione, l'Alta Corte sta disegnando i confini dello stato" (Yuval Yoaz, "State to Court: Fence route has 'political implications,'" Haaretz, 14 giugno 2006).In tutto il processo, nessuno si è fermato a chiedere l'opinione dei palestinesi, che difficilmente sarebbe stata positiva. Nella sola sezione settentrionale del Muro, sono stati espropriati 83 chilometri quadrati di terreno, fra cui aree agricole pregiate e vaste parti dell'entroterra naturale di molti villaggi. Sedici di questi - 13.386 abitanti - si troveranno rinchiusi in quella sorta di terra di nessuno, che si crea ad ovest del Muro. I contadini sono stati esclusi da 238 chilometri quadrati di terreno agricolo. Oltre a ciò, 53 villaggi perderanno, per il Muro, quasi 142 chilometri quadrati di colture, mentre 8,4 chilometri quadrati di oliveti e serre sono stati o saranno sradicati. Le colline, senza più gli olivi, potranno essere una ferita aperta, per gli abitanti e per l'ecologia, ma rappresentano un prezioso bene immobile per Israele ed un dono inaspettato per i suoi urbanisti, in cerca di modi per alleviare la pressione sulla densità abitativa nella pianura costiera. I terreni finora espropriati, per far posto a questo singolo tratto di Muro, costituiscono già il due per cento della superficie cisgiordana. E, con la terra, molte migliaia di palestinesi hanno perso l'unica fonte di reddito.La sezione di Muro costruita finora, fra Salem e Alkana, lascia 47 pozzi, fra Tulkarem e Qalqiliyah, sul lato occidentale, dove sono in parte o del tutto inaccessibili ai palestinesi. La quantità di acqua direttamente "annessa" dal Muro corrisponde a circa 5 milioni di metri cubi annui. Nell'ipotesi che, come avviene a Gaza, Israele dichiari "area di sicurezza" una striscia larga un chilometro, ad est del Muro, si possono sommare al totale altri 60 pozzi, che forniscono circa 10,3 milioni di metri cubi all'anno.Per i palestinesi, perdere annualmente 5 - 15 metri cubi è molto significativo: ciò rappresenta fra il 23 ed il 75 per cento della produzione media della Falda Acquifera Occidentale. Nei villaggi e nei paesi direttamente adiacenti al Muro, tali perdite ridurranno in modo drastico il rendimento delle colture.La striscia di terra ad ovest del Muro, che sarà annessa di fatto ad Israele, coincide con l'unica area in cui in futuro sarà potenzialmente possibile accrescere, con perforazioni, l'acqua estratta dalla Falda Acquifera Occidentale. Per il Muro, quindi, i palestinesi si trovano a perdere non solo i tre quarti dei pozzi della falda, ma anche l'intero potenziale di sviluppo futuro del bacino, confinato a questa sottile striscia lungo la Linea Verde.Già sotto Oslo, Israele si era mostrato particolarmente intransigente, ogni qual volta entrava in discussione questa falda. E, mentre i palestinesi sono riusciti ad ottenere permessi di perforare pozzi aggiuntivi in quelle Orientale e Nord-Orientale (per un modesto totale di circa 70 - 80 milioni di metri cubi, per il periodo ad interim di Oslo), Israele ha sempre insistito che non si dovesse permettere loro di trarre anche una sola goccia d'acqua extra dalla Falda Occidentale.Alla metà degli anni '90, molto prima di Camp David, gli idrologi israeliani avevano già disegnato le cosiddette "mappe di interessi idrici"; qui le aree, ora localizzate dietro il Muro, erano marcate come zone di interesse strategico. Era in queste aree che si doveva prevenire ogni futuro sviluppo palestinese della falda freatica. Non sorprende, quindi, che il percorso preso dal Muro in queste zone paia essere stato dettato da codeste mappe. Certo, per Israele, vi sono altri fattori strategici da tenere in conto - il più significativo dei quali è la spinta ad espandere le colonie, benché questa politica sia illegale, per la legge internazionale. Gli approcci alle colonie ed all'acqua non sono uguali. Mentre delle prime importa la crescita continua, nel settore idrico, o, quanto meno, nella Falda Acquifera Occidentale, la principale preoccupazione israeliana parrebbe quella di mantenere le ingiustizie già incluse nello status quo.Il principale obiettivo del Muro, quindi, è di prevenire ogni futuro espandersi della capacità palestinese di minare la Falda Acquifera Occidentale. Questo è lo scopo dei fatti sul terreno che si creano attualmente; una volta creati, renderanno impossibile alla società palestinese, nelle regioni fertili lungo la ex Linea Verde, conoscere alcuna forma di sviluppo, o persino tornare a qualcosa di simile alla vita 'normale' precedente. Non dobbiamo dimenticare che gli israeliani hanno gli occhi fermamente puntati sul futuro idrologico ed economico. Persino se si ottiene un giorno un accomodamento politico, l'annessione israeliana di questa risorsa vitale, non sviluppata, continuerà a minare la vita e la speranza di milioni di palestinesi, ora e nelle generazioni a venire.

Note

[1] Oltre a ciò, modifiche a tratti già costruiti della barriera costeranno circa 900 milioni di shekel, secondo Akiva Eldar (Ha'aretz, 21 dicembre 2006).

[2] Una variante "di sinistra" di questa argomentazione considera il Muro come il primo passo per uno stato palestinese, e continua a sostenere che le numerose deviazioni dalla Linea Verde verso Est sono solo "correzioni microscopiche".

[3] Lo Shinui, che faceva parte della coalizione di Sharon, e che è il fratello legittimo dei Partiti Liberali europei, non fece alcun tentativo serio per opporsi alle ambizioni, più di destra, dell'ex primo ministro. Quindi, ad esempio, parte della responsabilità per l'estremo intensificarsi della repressione compiuta dall'esercito israeliano (IDF) a Gaza, sotto Sha'ul Mofaz, ricade su questi ministri 'liberal', che non si sono opposti.


Il Muro di Israele e le risorse idriche



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