Amira Hass:La chiusura ai mezzi d'informazione israeliani fa parte dell'assedio politico di Gaza

[Image]Al telefono Mustafa sghignazza. Gli ho appena detto che nel quartiere manca l'elettricità e che sto andando in un posto dove c'è un generatore, così potrò spedire il mio articolo.Dal 5 novembre, per ordine del ministro della sicurezza di Israele, tutti i punti di accesso a Gaza sono bloccati: non possono passare né beni né persone né carburante. La centrale elettrica di Gaza, che produce circa un terzo dell'elettricità che si consuma in città, è rimasta senza combustibile e ha dovuto chiudere."Hai tanto insistito per venire a Gaza", volevano dire le risatine del mio amico, "ed eccoti servita: black out che possono durare anche otto ore. E nessuno sa né quando cominciano né quando finiscono".È vero, ho insistito tanto. Da due anni l'esercito e i servizi segreti israeliani vietano ai giornalisti israeliani di entrare nella Striscia di Gaza. Ma mentre fino al giugno del 2007 la decisione aveva dei validi motivi di sicurezza, dopo che Hamas ha assunto il controllo della zona i rapimenti di stranieri da parte di sciacalli di ogni tipo e dei signori della guerra locali sono finiti.
La chiusura ai mezzi d'informazione israeliani – soprattutto ai giornalisti israeliani che sono dichiaratamente contrari all'occupazione – fa parte dell'assedio politico, oltre che economico, di Gaza. Ed è parte integrante della manipolazione e della distorsione dell'informazione.Due settimane fa ho saputo che una seconda nave aveva sfidato l'assedio israeliano ed era riuscita ad arrivare al porto di Gaza. Quando ad agosto era partita la prima nave, promossa dal Free Gaza movement, un'iniziativa nata due anni fa, nessuno pensava che ce l'avrebbe fatta. Invece era passata: l'esercito israeliano aveva capito che l'uso della forza avrebbe attirato molta più attenzione.La terza sfida, ho saputo poi, sarebbe stata il 7 novembre. Così, insieme a un gruppo di parlamentari – molti di loro britannici e irlandesi, oltre a un italiano, Fernando Rossi, di Ferrara – ho chiesto di essere ammessa a bordo.
Un po' affollata (22 passeggeri invece dei 15 che potrebbe portare), la nave è partita da Larnaca, a Cipro. Un mare piatto e tranquillo e quindici ore di navigazione mi separavano da un posto che per me è diventato una seconda casa, anche se non ci vivo più.Verso le 7.30 del mattino seguente, un ufficiale della marina israeliana ha chiesto, via radio, da dove venivamo, i nomi dell'equipaggio e quelli dei passeggeri. Gli è stato detto che i nomi dei passeggeri li poteva verificare sul sito internet dell'associazione e magari fare una donazione. Dopo circa cinque minuti la voce è ricomparsa e ci ha augurato una buona giornata.Alcuni dei miei amici mi aspettavano all'ingresso del porto. A parte i pescatori che ci sono venuti incontro in mare – salutandoci, gesticolando e applaudendo, in piedi sulle loro piccole barche – l'accoglienza è stata tranquilla e misurata. Ci è stato detto che così avevano voluto le autorità di Hamas.
Il posto era gremito di nervosi agenti di sicurezza dalle lunghe barbe, importanti deputati palestinesi di Hamas, molti giornalisti e alcuni dei primi organizzatori della campagna, membri dei circoli laici e progressisti di Gaza che sono poi stati relegati ai margini. Tutto sembrava ordinato, anche fin troppo per i miei gusti.I miei amici laici si sono fatti coraggio e mi hanno abbracciato e baciato davanti agli imbarazzati (e forse anche un po' disgustati) agenti di sicurezza. Uno dei deputati di Hamas, che avevo intervistato in passato, mi ha accolto con calore. "Perché ci hai messo tanto?", mi ha chiesto. "Avevo provato a passare da una galleria", ho risposto, "ma non ce l'ho fatta". Ridere e scherzare funziona sempre con gli abitanti di Gaza. È successo anche due giorni dopo con un altro agente dall'aria severa. Aveva la barba alla taliban, nera come carbone. Non voleva che lasciassi il gruppo e me ne andassi da sola per strade che conosco benissimo. Mica crederà a quello che sostengono gli israeliani, cioè che tutti i palestinesi sono pericolosi?", ho esclamato. L'uomo ha riso, rivelando due fossette che mostravano quanto fosse giovane. Da quel momento in poi ha sempre zittito i colleghi che volevano sapere chi era venuto a parlare con me nell'atrio dell'albergo, dove stavo andando, dove mi fermavo e perché.
La nave è ripartita nel pomeriggio dell'11 novembre, portando con sé altri otto passeggeri. Sono alcuni degli abitanti di Gaza bloccati qui, che non possono partire per andare a studiare o farsi curare altrove. Io invece sono rimasta. Mi tratterrò ancora per qualche settimana, esercitando il mio dovere, e non solo il mio diritto, di giornalista.Sempre l'11 novembre, in mattinata, la sicurezza mi ha comunicato che, vista la situazione tesa (l'Olp e Al Fatah non hanno avuto il permesso di tenere delle cerimonie di commemorazione per il quarto anniversario della morte di Yasser Arafat), dovrò essere accompagnata ovunque io vada, per motivi di sicurezza. Così, per un paio di giorni dovrò probabilmente fare i conti con questa richiesta impossibileLeggi tutto...

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