Akiva Eldar : Israele i Balcani sono arrivati
E’ difficile immaginare che un politico di mestiere e un brillante avvocato come Ehud Olmert non abbia capito che, una volta che il primo ministro di Israele abbia apertamente puntato il timone in direzione di un accordo con i palestinesi entro i confini del 1967, nessun dirigente palestinese si accorderà per qualcosa di meno. Come la sua probabile erede, Tzipi Livni, Olmert sa che non ha alcun senso continuare a mercanteggiare. Entrambi sono giunti alla conclusione che il vecchio gioco dell’ interminabile processo di pace che non conduce a nulla è ormai arrivato alla fine. Il ‘mantra’ che recita “se faranno delle concessioni, otterranno qualcosa in cambio, se non faranno concessioni, non otterranno niente”, che Benjamin Netanyahu ha ripetuto con arroganza di fronte ai palestinesi, ha cambiato direzione: se Israele lascia i territori, tutti i territori, otterrà uno stato ebraico. Se Israele non concede i territori, inclusa Gerusalemme Est, otterrà in cambio ‘i Balcani’.Ma Olmert e la Livni, per non parlare della sinistra sionista, non sono riusciti a trasmettere alla gente la loro preoccupazione per il rischio di perdere l’opzione dei due stati. Il terrificante scenario dipinto dalla destra, con i palestinesi pronti a lanciare missili sulle case di Kfar Sava e sugli aerei che atterranno all’aeroporto Ben Gurion, spaventa la gente molto più del pericolo di un solo stato per due popoli; vale a dire, della perdita dell’identità ebraica dello stato. In realtà, gli israeliani hanno vissuto per 41 anni in una realtà binazionale, ma il governo – e questo è ciò che conta per loro – è rimasto saldamente unitario.Il numero di arabi che vivono a cinque minuti dalle case degli israeliani, tra gli insediamenti e le basi militari, non li preoccupa. Per alleggerire la propria coscienza, la maggior parte degli israeliani ( il 55%, secondo lo Steinmetz Peace Index dello scorso marzo) definisce la Cisgiordania “territorio liberato” e solo il 32% ha adottato il termine “territorio occupato”. Finché Israele non annette i territori e non assegna ai loro abitanti i diritti civili, la “minaccia demografica” è solo una statistica che vale quanto una tigre di carta. Persino la “pressione internazionale” per giungere ad un accordo non ha prodotto che momentanei titoli sui giornali, accompagnati il giorno dopo dalla notizia di un nuovo insediamento, e due giorni dopo dall’invito ad un’altra conferenza di pace.Sembra dunque che, oltre alla soluzione di ‘uno stato per due popoli’, vi sia un’altra alternativa a lungo termine alla soluzione dei due stati: uno stato ebraico e democratico ad ovest della Linea Verde (la linea dell’armistizio del 1949 fra Israele ed i paesi arabi, che di fatto separa Israele dalla Cisgiordania e da Gaza (N.d.T.) ), e un dominio ebraico non democratico ad est. L’Autorità Palestinese, che era stata designata come soluzione temporanea fino alla creazione di uno stato indipendente, è divenuta una foglia di fico a coprire la nudità di una ‘lussuosa’ forma di occupazione. Il contribuente europeo, piuttosto che quello israeliano, paga gli stipendi di insegnanti e medici nella Cisgiordania. E la polizia di Mahmoud Abbas è finita a lavorare in subappalto per le forze di sicurezza israeliane.
In un’intervista rilasciata al quotidiano ‘Haaretz’ la scorsa settimana, il Generale Gadi Shamni, capo del Comando Centrale delle Forze di Difesa Israeliane, ha lodato la polizia palestinese per le sue incursioni nelle moschee e per gli arresti di diversi imam. Le voci della società civile palestinese, come quella del professor Sari Nusseibeh che aveva chiesto ad Abbas di porre fine al ‘teatro dell’assurdo’ dei colloqui diplomatici, di smantellare l’Autorità Palestinese e di iniziare una lotta internazionale per l’uguaglianza dei diritti in tutta la Palestina mandataria, sono divenute silenziose. L’esperto di sondaggi Khalil Shikaki ha rilevato che solo il 25% degli abitanti della Cisgiordania appoggia la soluzione di uno stato unitario.I palestinesi conoscono ormai la comunità ebraica, e sanno che non accetterà di rinunciare al suo dominio basato sulla forza a favore di una coesistenza egualitaria con la comunità palestinese. Il loro appoggio nei confronti di Hamas non deriva da una perdita di consenso della soluzione dei due stati basata sui confini del 1967 – nasce da un calo di fiducia nella possibilità di far ritornare Israele a quei confini senza dover combattere.
Ma la distorta realtà che consiste nel non avere né due stati né uno, né pace né guerra, non può durare. Abbas e il suo piccolo gruppo rappresentano il punto debole nell’argine che impedisce al ‘diluvio’ islamico di Gaza di inondare anche la Cisgiordania. L’attacco al Professor Ze’ev Sternhell (storico israeliano, noto per le sue posizioni pacifiste e per la sua opposizione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi; il 25 settembre scorso è stato leggermente ferito da un ordigno rudimentale posto vicino alla sua casa; la polizia israeliana sospetta che i responsabili siano estremisti della destra ultra-ortodossa (N.d.T.) ) ci ha fatto ricordare, per un attimo, che il fanatismo nazionalista-religioso non conosce confini. Coloro che sono indifferenti all’annullamento dei diritti fondamentali dei loro vicini – come il diritto ad avere uno stato – non sono liberi nel loro stesso paese.
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