Uri Avnery Il Mofaz conosciuto - la sconosciuta Livni
Un partito spaccato al suo interno e travolto dai guai giudiziari del premier dimissionario. Con spettatori interessati l'«alleato» laburista Barak e il leader del Likud Netanyahu pronti a giocarsi le carte di governo. E con i palestinesi di Abu Mazen costretti a sperare in Tzipi
Analogie e differenze fra i due candidati del Kadima in un paese in cui l'unico vero partito è l'esercito
Oggi i rappresentanti del Kadima eleggeranno il sostituto di Ehud Olmert, che poi diverrà primo ministro. La scelta possibile è tra due candidati: Tzipi Livni e Shaul Mofaz. Due politici che non potrebbero essere più diversi.
Innanzitutto sorge il problema dell'antagonismo uomo-donna: per la prima volta nella storia di Israele, c'è un confronto diretto di genere (quando la defunta e non compianta Golda Meir fu eletta primo ministro nel 1969, dopo la morte improvvisa di Levy Eshkol, non aveva rivali).
Il loro percorso riflette i lati opposti della società israeliana. Mofaz è un «orientale» nato in Iran, un outsider. Livni è un'ashkenazi nata in Israele, una insider. Ed è anche una «principessa ereditaria» - suo padre era un capo dell'Irgun e (come il padre di Olmert) un membro del Knesset.
Ma la loro vera diversità sta nelle forze che rappresentano.
Da soldato di carriera, Shaul Mofaz, rappresenta la forza che ha dominato Israele sin dal suo nascere: «l'establishment della sicurezza». Un complesso dall' impareggiabile potere politico, economico, ideologico.
Visto che tutti i maggiori partiti politici sono degenerati in ciniche realtà, prive di ideologia o di reali programmi politici, l'esercito è ora, dal mio punto di vista, l'unico vero partito d'Israele.
Non è come l'esercito turco o quello pakistano. E' uno strumento del sistema democratico, totalmente asservito all'autorità civile. Ma dietro questa facciata c'è molto di più: è un impero economico che consuma una larga parte del budget annuale di spesa, è un gruppo di pressione, una lobby politica, un centro ideologico.E', in una parola, una religione - con la sicurezza come suo unico dio e l'alto comando come suoi sacerdoti. In Israele non c'è niente che prevalga sulla sicurezza e quando questa parola viene menzionata tutto il resto passa in secondo piano.
Come quasi tutte le religioni, essa è legata ad interessi economici. La «industria della sicurezza», con la sua produzione di armi e altri equipaggiamenti militari, svolge un ruolo centrale nell'economia israeliana.
Lo smisurato impatto sul processo decisionale politico dell'«establishment della sicurezza» - le forze armate, lo Shin Bet, il Mossad e la polizia - è sottolineato dal fatto che il capo di stato maggiore prende parte a tutte le sedute di governo. Lui non detta la linea del governo - per carità - ma avrebbe un bel coraggio quel politico che osasse mettersi contro «la rispettabile opinione dell'esercito».
Dal momento che Israele è nato nella guerra ed è sempre stato in regime di guerra, è difficile trovare un qualsiasi aspetto della vita di Israele che non abbia come fine la sicurezza. E nelle questioni relative alla sicurezza le decisioni finali spettano ovviamente a coloro che della sicurezza sono i responsabili. Inoltre l'esercito è il solo a governare i territori occupati (come richiesto dal diritto internazionale).
In tale contesto devono essere considerati i coloni. Loro sono un gruppo di pressione straordinariamente forte. Molti di loro hanno fondato le colonie «illegalmente», e nessun colono sarebbe dov'è oggi se non fosse stato messo lì dall'esercito. In molti casi la simbiosi coloni-soldati è perfetta: molti ufficiali sono loro stessi coloni.
Per un paese in guerra è naturale che l'esercito forgi anche l'ideologia nazionale. I media collaborano con vero entusiasmo. Il concetto di pace è un concetto sciocco, buono per deboli ed effeminati. E' anche un'illusione perniciosa.
A dar ulteriore forza a tutto questo si aggiunge un enorme network di ex-ufficiali. Mentre l'esercito va per la sua strada, gli ufficiali anziani, che lasciano il servizio attivo in media a quarant'anni, trovano generalmente le posizioni di rilievo nell'industria, nella pubblica amministrazione e nei partiti politici, estendendo così la propria «sfera d'influenza» militare.
Ciò significa che moltissime persone hanno - per usare un eufemismo - un preciso interesse nell'assenza della pace.
Shaul Mofaz incarna tutto questo. Egli appartiene a tale realtà, ha fatto carriera come generale, capo di stato maggiore e ministro della difesa. Nessuno ha mai sentito la sua voce esprimere un pensiero originale - ha la mente completamente plasmata dall'esercito. In tutte le sue attività è stato affidabile e diligente nella sua mediocritàQuando ha terminato la sua carriera militare e si è messo alla ricerca di opportunità nella politica, come molti suoi predecessori non aveva preferenze particolari. Una persona simile può facilmente trovare una collocazione nel Labor, nel Likud o nel Kadima, per non parlare della destra radicale. Il Likud gli offriva le migliori prospettive. Ma quando la strada là dentro gli fu sbarrata, all'ultimo momento decise di saltare sul vagone di Ariel Sharon - 24 ore dopo averlo solennemente escluso.
Il dominio militare sugli affari di Israele ha un effetto sotterraneo: esclude le donne. L'atmosfera machista delle armi non lascia loro alcuno spazio. Tale problema è stato portato avanti alcuni anni fa da un gruppo femminista chiamato New Profile e il cui obiettivo era quello di demilitarizzare la società israeliana. Forse è un caso che il procuratore generale questa settimana abbia deciso di denunciare proprio questogruppo per attività anti-militarista, istigazione a rifiutare la chiamata alle armi.
La Livni non è solo un ministro degli esteri, una carica tradizionalmente disprezzata dall'«establishment della sicurezza»: è anche un civile e, peggio ancora, una donna. Questo rende tentatrice la scelta.
In pubblico i due candidati dicono le stesse cose. Ripetono i soliti mantra. Ma poi ci sono le agende (quasi) segrete.
C'è il fattore razziale, il peccato che non osa pronunciare il suo nome. Come il fattore razziale nelle elezioni americane, il fattore «etnico» qui da noi può giocare un ruolo molto maggiore di quanto non si voglia ammettere. Gli «orientali» tendono a votare per Mofaz, gli europei - ossia gli ashkenazi - per Livni. Poi c'è il fattore di genere. Le donne potrebbero tendere a votare per una di loro. E infine c'è il fattore militare: un voto per Livni è - più o meno consapevolmente - un voto contro il dominio militare sulla nostra vita.
Che genere di personaggio politico sarebbe un primo ministro Tzipi Livni? Nessuno lo sa e forse non lo sa neppure lei. Il suo mondo concettuale è sostanzialmente di destra. La sua visione del mondo è centrata sul concetto di uno stato ebraico. Ebraico nel senso che gli dava Jabotinski: non in un senso religioso (il pensiero Jabotinski era assolutamente laico), ma in un senso nazionalista proprio del secolo XIX. Questo potrebbe portare alla pace basata sulla sincera convinzione dello schema dei due stati (a cui anche Mofaz fa finta di aderire). Ma io non ci farei molto conto.
Mofaz lo conosciamo bene. Livni non la conosciamo. Questo oggi potrebbe convincere qualcuno del Kadima a votare per lei.
(Traduzione di Silvana Pedrini)
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