ISRAELIANI IN PALESTINA?
.Il primo è un giornalista israeliano, di estrema destra, militarista convinto. Quando decise di tentare l'esperienza odiava visceralmente i palestinesi e non risparmiava insulti contro i loro giornalisti che definiva degli incompetenti senza classse, dei terroristi che facevano solo la propaganda di Hamas. Insomma: per nulla conciliante. Al primo incontro israeliani-palestinesi per poco non scatenava una rissa: volavano insulti come “pazzi terroristi suicidi” e risposte come “colono sionista assassino”. Se ne andò sbattendo la porta. Per poi, dopo una mezz'oretta, tornare timidamente attratto dall'irresistibile curiosità del giornalista. Restò in silenzio per un po' e per la prima volta ascoltò cosa avevano da dire i giornalisti palestinesi. E, lentamente, scoprì che non aveva mai chiesto nulla a nessun palestinese: aveva vissuto e scritto solo in base a dei pregiudizi errati. Finalmente si decise a provare a parlare (e non ad insultare) un suo “collega” palestinese scoprendo che addirittura potevano diventare amici. Amicizia che è diventata anche collaborazione tra professionisti. E che una volta ha salvato la vita al palestinese intrappolato in una casa accerchiata da soldati israeliani pronti a farla saltare. Bastò una telefonata e il corpulento e influente israeliano arrivò sulla scena, minacciando i soldati e iniziando una lunga trattativa conclusasi nel migliore dei modi.Il secondo è un palestinese (che ho conosciuto stamattina), militante in una formazione politica radicale, abitante del campo profughi di Deheishe ed ex-prigioniero politico. Uno che gli israeliani li voleva buttare a mare in un colpo solo. Arrivò al progetto quasi per caso ma decise di accettare la sfida, soprattutto per la curiosità di vedere se realmente era possibille che ci fossero degli israeliani non armati, non soldati, non coloni. Le sue posizioni radicali non le ha affatto perse ma, scontrandosi col “nemico” ha scoperto che alcuni erano anche degni di diventare amici.La sua cerchia lo bollò immediatamente come traditore, collaborazionista, svergognato. La moglie tuonò spesso contro di lui: “ma chi mai se lo sarebbe aspettato, proprio da te, ma ti rendi conto di ciò che fai?”. Sfidando la propria storia, la propria famiglia, i proprio amici e il proprio campo profughi, il militante palestinese un giorno portò l'amico israeliano a Betlemme, nella sua casa. Per nulla intimorito, l'israeliano quel giorno mantenne e difese le proprie posizioni. Con una grande differenza: stavolta ascoltava, anche, e vedeva ciò che in Israele non avrebbe mai potuto vedere. Ora sono vari gli amici del militante palestinese che gli chiedono di poter far parte pure loro del progetto.
continua qui
Commenti
Posta un commento