Zvi Bar elCi sono voluti due anni, ma Nasrallah ha mantenuto la sua promessa

L’accordo per lo scambio di prigionieri fra Hezbollah e Israele ha suscitato aspre polemiche ed un forte senso di sconfitta all’interno dello stato ebraico, di fronte a quello che è stato considerato l’ultimo successo di Hassan Nasrallah, un uomo che ancora una volta sembra aver rovesciato la situazione a proprio vantaggio. In questo articolo, il giornalista israeliano Zvi Bar’el dà la propria interpretazione della figura rappresentata dal leader di Hezbollah, e della strategia da lui adottata

Nell’aprile 2006, in occasione del 27° anniversario dell’incarcerazione di Qantar, Hassan Nasrallah promise: “I prigionieri torneranno a casa molto presto”.

Ci sono voluti due anni perché Qantar fosse liberato. L’insistenza di Nasrallah affinché Israele liberasse Qantar, che non era un uomo di Hezbollah ma un membro del Fronte di Liberazione della Palestina, era un test per la leadership del segretario generale di Hezbollah. Neanche la restituzione del corpo di suo figlio, dopo che era stato ucciso dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) nel 1997, lo aveva rallentatoNasrallah ha trasformato Qantar in un simbolo della propria credibilità e capacità di mantenere le promesse, al punto da imporre il suo rilascio a tutti in Libano. Le lodi e gli elogi si sono riversati a pioggia su Hezbollah. La presenza di leader libanesi è stata rilevante al momento di ricevere i prigionieri liberati, e le bandiere libanesi e quelle di Hezbollah hanno sventolato fianco a fianco. Tutto ciò ha fuso Qantar, il simbolo, con il leader che lo ha riportato a casa, e con lo stato le cui politiche vengono dettate da Nasrallah. L’insistenza di Israele nel non liberare Qantar ha giocato a favore di Nasrallah, poiché egli ha compreso, con la sua abituale capacità di leggere a fondo nello stato d’animo dell’opinione pubblica israeliana, che Israele gli stava fornendo una bandiera.

Ci si attende che Nasrallah fornirà ulteriori dettagli sull’ultimo negoziato nel prossimo futuro. Ma il suo approccio al rilascio di Qantar è particolarmente interessante. Come uomo di religione, ci si aspettava che egli avrebbe fatto uso di proclami religiosi in un contesto etnico. Ma Nasrallah ha fatto l’opposto. Si è astenuto dall’utilizzare termini religiosi, e non sta attribuendo il suo ultimo successo alla comunità sciita. Egli lo considera un trionfo di Hezbollah e del Libano – dei cristiani, degli sciiti, dei siriani, e dei drusi che appoggiano la resistenza. Questa è una vittoria militare e politica – e non ideologica – adatta al Libano, che sta cercando di equilibrare il potere della religione con i benefici politici su cui si sono accordati i suoi rappresentanti.

Nasrallah ha familiarità con questo gioco, sapendo di poter compensare le limitazioni del suo potere religioso con i risultati politici a vantaggio della sua comunità e dei suoi alleati, anche se non sono sciiti.

Così, due giorni fa Nasrallah ha di fatto obbligato il presidente cristiano del Libano, il primo ministro sunnita ed alcuni rivali politici ad abbracciare il ‘suo’ prigioniero. Per un attimo è sembrato che Nasrallah stesse imponendo la sua vittoria alla leadership libanese, poiché coloro che stavano abbracciando i prigionieri non sarebbero stati in grado di criticare l’organizzazione che ha portato il Libano ad una guerra. Questa tecnica di Nasrallah non è nuova. Nelle sue dichiarazioni nel corso degli anni, si è dimostrato abile a tessere insieme le fila politiche, religiose e nazionaliste del Libano.Nasrallah, 48 anni, è uno sciita che ha studiato due anni nella città santa di Najaf, in Iraq, ma era anche uno stretto alleato del sunnita Rafiq Hariri, il primo ministro libanese che fu ucciso nel 2005. Egli è alleato con la Siria laica, e coordina la sua ideologia religiosa con l’Iran. Se da un lato ha stretto un patto politico con il cristiano Michel Aoun, dall’altro parla in termini sciiti nei sobborghi meridionali di Beirut, la roccaforte della comunità sciita libanese. Egli utilizza la ‘resistenza islamica’ per difendere la patria e i suoi confini – termini che sono ideologicamente contraddittori con l’idea di rifondare la nazione islamica.

Il nazionalismo palestinese è importante per lui al punto da poter erodere il suo prestigio e quello di Hezbollah. Egli si preoccupa delle sofferenze dei palestinesi in Libano, al punto che essi chiedono il diritto di lavorare o di acquistare proprietà nel paese. Poi Nasrallah si unisce ai ranghi degli altri politici libanesi, i quali vogliono che i palestinesi vadano via dal Libano.

Nasrallah è un uomo di grande ostentazione e cerimoniosità – di riti in cui l’uniforme, la bandiera e le armi sono i pilastri principali. Ma fino a quando sarà in grado di sostenere il Libano con la grande esibizione che ha inscenato due giorni fa, prima che gli venga chiesto di spiegare quale sarà la sua prossima mossa dopo i negoziati fra Israele e la Siria? Egli permetterà al Libano di aprire anch’esso dei negoziati, o resterà fermo a guardare la Siria avvicinarsi al nemico?

Zvi Bar’el è un analista politico israeliano; scrive abitualmente su “Haaretz”

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