Grossman: la pace si fa dialogando anche con Hamas


C’è una parola che David Grossman non si stanca di ripetere: dialogo. Dialogo con i palestinesi, dialogo tra gli israeliani. «Perché la pace è possibile anche se ci vorrà molto tempo», afferma. Lo scrittore israeliano era ieri a Rovereto per l’ultimo appuntamento di “Dolomiti di pace”, la serie di incontri promossa da Provincia e Trentino spa che ormai da qualche anno propone momenti di riflessione sulle condizioni del mondo, squassato da guerre e conflitti. Sono riflessioni davanti ai simulacri della guerra, come possono essere i forti del primo scontro mondiale, ma anche nelle città che dell’ispirazione alla pace, per tutti e comunque, hanno fatto una missione. E in questo senso la “Maria dolens” sul colle di Miravalle della città della quercia ne rappresenta un simbolo.Grossman, da sempre, è una delle voci più lucide del mondo ebraico. Uno di quegli intellettuali che, coerentemente, mette in tutti i suoi romanzi e saggi il dialogo con i palestinesi, la necessità di continuarlo senza se e senza ma. «Un dialogo che negli ultimi anni non abbiamo coltivato», aggiunge.Ieri l’auditorium Melotti del Mart era pieno. La gente lo ha ascoltato dagli schermi anche nell’atrio. Circa 600 persone per sentire l’autore di Vedi alla voce: amore e Con gli occhi del nemico intervistato da Alberto Faustini, capo ufficio stampa della Provincia.«Bisogna dialogare anche con Hamas. Non è certo l’interlocutore migliore visto che non riconosce Israele ma - dice lo scrittore - non ci può essere una pace stabile senza parlare con loro. E’ molto complesso - prosegue - e ci vorrà parecchio tempo, anni. Dobbiamo aspettare ed essere pazienti. E sperare che i palestinesi ritrovino l’unità e prevalgano i moderati. Allora sì potremo fare la pace. Tutto dipende dall’unità dei palestinesi». Perché in Grossman c’è un’altra convinzione profonda. «I palestinesi meritano l’indipendenza. Quando sarà ottenuta, noi e loro potremo esplorare la vita in modo diverso, respirare a pieni polmoni. La pace - sostiene - è un interesse reciproco». E i benefici arriveranno anche per Israele. «Uno Stato, quello israeliano, che ancora oggi non ha confini certi. Sono sempre in movimento, è come vivere in una casa dalle pareti mobili. Ed è da qui che nasce la nostra tentazione di voler invadere e la tentazione dei palestinesi di invaderci».Grossman sottolinea come «entrambi i popoli vivano in uno stato di terrore. E’ necessario cambiare la mentalità e sbloccarci da questa rigidità che ci contraddistingue, noi e loro. E’ una situazione che in Europa può essere difficile capire. La realtà è che ormai, tutti, hanno trasformato la vita in sopravvivenza». Uno stato d’animo che annicchilisce, che blocca. Una situazione esistenziale drammatica contro la quale lo scrittore, l’intellettuale, non si stanca di scrivere e ragionare, capire, spronare. Tanto più uno come lui che è stato toccato nel profondo dal lutto, dalla morte del figlio Uri nell’ultimo conflitto con gli Hezbollah libanesi. Grossman non è un pacifista. «Il pacifismo è nobile e lo rispetto», sottolinea. «Ma in Europa si deve capire che il Medioriente è una terra di violenza. Non possiamo permetterci di essere pacifisti. Purtroppo dobbiamo continuare ad essere soldati e difenderci perché le possibilità di un attacco della Siria sono concrete e le minacce dell’Iran anche. Però - va avanti - gli eserciti non sono la garanzia del futuro e il pericolo è quello di assuefarci all’uso della forza. Siamo tutti bloccati dalla paura, noi e i palestinesi, ci stacchiamo dal mondo chiudendoci e, in questo modo, non riusciamo a cambiare».Dallo scrivere, delle sue infinite possibilità, Grossman era partito. «Scrivere aiuta a rigenerarsi, a reagire al dolore e alla tristezza. E’ un modo, l’unico che io conosca, per cogliere le sfumature della vita. Ed è anche l’unica possibilità di conoscere veramente l’altro. Perché, in fondo, anche quando pensiamo di conoscere qualcuno ci spaventano i suoi lati oscuri, il caos. Così, invece, ci apriamo alla vita e al mondo. Scrivere - sottolinea - è la mia ricompensa».Ricordando la Shoah, per lo scrittore ci sono due domande a cui si deve rispondere. «Se ci fossi stato cosa avrei fatto per contrastare quanto stava accadendo? La risposta che mi sono dato è che avrei cercato di mantenere la mia natura più intima, che per ognuno è diversa. E poi: come hanno potuto uomini normali, come erano la maggior parte dei nazisti, fare quello che hanno fatto? Cercare, ognuno di noi, di rispondere a queste due domande è importante per contribuire affinché la Shoah non possa ripetersi mai più». Alla fine Grossman invita a ricordare che l’alternativa in Medioriente c’è: «Non può che essere la pace».
Il Trentino, 25/08/2007

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