Liberarsi del complesso di Amalek

Liberarsi del complesso di Amalek

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Secondo il racconto dell'Antico Testamento, Amalek era una popolazione del Sinai o del Negev, probabilmente proto-araba, ostile agli Israeliti Amalek fece qualcosa di terribile ad Israele, anche se che cosa di preciso non è chiaro. In un versetto del libro dei Re è scritto "ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek" e questo versetto è stato invocato negli anni Cinquanta dagli oppositori del trattato con la Germania sulle riparazioni, il cui capofila era l'ex terrorista e poi primo ministro e Premio Nobel per la Pace Menahem Begin. Il risultato dell'offesa, quale che fosse, di Amalek agli Israeliti fu la sua distruzione totale, secondo la terribile legge di guerra del tempo.



Tutti i maschi adulti, umani ed animali, passati a fil di spada, le donne ed i bambini fatti schiavi, campi bruciati, eccetera. Saul, il re d'Israele che sconfisse Amalek, non ottemperò alla legge biblica nel suo complesso, e per "desiderio di guadagno" risparmiò i capi di bestiame (che furono incamerati nelle sue proprietà) e alcuni dignitari di Amalek, il che attrasse contro l'ira del Signore.



Se il testo biblico in questione fosse storicamente autentico, cosa di cui c'è motivo di dubitare, sarebbe la descrizione dettagliata di uno dei primi genocidi della storia; ma questa narrazione biblica, che mantiene il suo valore religioso, storicamente è poco attendibile, scritta secoli dopo i fatti. Per cui non c'è ragione di credere che l'annientamento di Amalek e la stesse legge di sterminio siano realmente esistiti.
Il complesso di Amalek è stato chiamato così da uno studioso israeliano moderno per riferirsi all'atteggiamento d'Israele verso la Germania. “Ricorda cosa ti ha fatto Amalek”. Il complesso di Amalek è essenzialmente un complesso obsidionale, l'idea di essere costantemente accerchiati, minacciati di completo annientamento non solo come Stato (il che fa parte della logica storica dei rapporti internazionali) ma anche e soprattutto come popolo, il che fa parte dell'esperienza storica secolare della Diaspora e specialmente dell'elaborazione dell'esperienza del lager.



E' un lascito che i pogrom e soprattutto la Shoah hanno lasciato allo Stato d'Israele che accoglie i superstiti; ed è stato l'ancora delle fortune politiche di Menahem Begin, Yitzhaq Shamir, Benyamin Netanyahu e Ariel Sharon, e, l'anno scorso, di Ehud Olmert. Dopo il 1977, i partiti di centrodestra al governo se ne sono nutriti elettoralmente, e l'hanno gonfiarlo di facile propaganda.



"Credetemi, l'alternativa è Treblinka" disse Begin per convincere i suoi ministri ad invadere il Libano, nel 1982. Era falso, ovviamente. Begin paragonava spesso Arafat a Hitler. Amos Oz gli scrisse una lettera aperta: "Hitler è morto, signor primo ministro". Ma non evitò Il disastroso intervento israeliano in Libano a caccia di inesistenti fedayin nazisti. Il complesso di Amalek si applicava anche alle relazioni con gli arabi.



Oggi, l'opinione pubblica israeliana accetta quel pazzesco corto circuito psicologico per cui, ad esempio, la cattura di tre soldati, col fine dichiarato di un scambio di prigionieri, sembra una minaccia diretta all'esistenza della Stato. Com'è è accaduto l'estate scorsa.



Israele è in stato di guerra da prima di conciare ad esistere, in stato d'assedio permanente, da tre generazioni. E' degno di nota, e di stima, che in questo tempo sia riuscita a mantenere una parvenza di istituzioni democratiche, un discreto livello di libertà di stampa, e non sia diventata una dittatura militare.



L'assedio è anche, forse sopratutto, psicologico. Il complesso di Amalek, di essere costantemente minacciati e di dover reagire con la massima durezza, perché altrimenti si verrà distrutti, annientati.



Difendere la maggioranza ebraica nel paese. Rappresaglie, uccisioni mirate, torture. Perché bisogna difendersi. Loro ci odiano.



Il complesso rende difficilissima qualsiasi concessione, anche quelle che sarebbero atti dovuti in base al diritto internazionale. Abbandonare una colonia indifendibile come Netzarim finisce coll'essere letta come un insulto ai morti nei campi di sterminio.



Mi pare che il risultato di questo processo sia una specie di arroccamento identitario, accompagnato ad una difficoltà di inquadrare l'avversario, riconducendolo al nazismo, alla volontà di distruzione e di sterminio, anche quando questa (come, a mio parere, nel caso di tutte o quasi le formazioni palestinesi) non sembra esserci.



E credo che questo complesso culturale e psicologico, nella società israeliana, vada individuato e superato, come passo per arrivare ad una pace giusta e duratura.



Marco Lauri

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