il Manifesto, 27 giugno 2007 Le decisioni di Tel Aviv e Washington si fondano sul disprezzo degli arabi, sentimento foriero di disastri. Bush e il premier israeliano già vedono gli abitanti di Gaza affamati e, in Cisgiordania, palestinesi pasciuti. Ma la Striscia si ribellerà e Ramallah anche Ehud Olmert è l'opposto di Re Mida. Secondo la leggenda greca, tutto ciò che il sovrano toccava si trasformava in oro. Tutto ciò che Olmert tocca, al contrario, si trasforma in piombo. Ora tocca a Mahmoud Abbas. Gli dedica lodi sperticate, promette di sostenerlo. Ma se dovessi dare un consiglio ad Abbas gli griderei: «Scappa. Mettiti in salvo! Una sola stretta di mano con Olmert sarà fatale!».
Può essere salvato Abbas? Non saprei. Alcuni tra i miei amici palestinesi sono disperati. Sono cresciuti dentro Al-Fatah, la loro casa. Sono laici, nazionalisti. Sicuramente non vogliono un regime teocratico islamico a guida del proprio paese. Ma nel conflitto attuale, stanno dalla parte di Hamas. Ascoltano le parole di Bush, di Olmert e di tutto il coro di esperti israeliani. E tirano le somme: gli americani e gli israeliani stanno lavorando per trasformare Abbas in un alleato dell'occupazione e Fatah in un esercito occupante.
Ogni singola dichiarazione da Washington e da Gerusalemme conferma questo sospetto. Ogni parola distanzia ulteriormente il popolo palestinese dall'autorità palestinese in Cisgiordania. Alla guida del nuovo «governo d'emergenza» a Ramallah siede una persona (il premier Salam Fayyad, ndt) che alle elezioni ha ottenuto il 2% delle preferenze, quando la lista dello stesso Abbas fu sconfitta dal risultato di Hamas, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania.
Nessun allentamento delle misure restrittive e nessun miglioramento economico potranno servire a qualcosa. Abbas potrà salvarsi solo in un modo: l'immediato inizio di negoziati di pace rapidi e propositivi, finalizzati alla formazione di uno stato palestinese su tutti i territori, con Gerusalemme Est capitale. Niente di meno. Ma questo è esattamente ciò che il governo di Israele non è preparato a fare. Non Olmert. Né Tzipi Livni. Né Ehud Barak. Barak avrebbe potuto accordarsi con Yasser Arafat a Camp David. Ariel Sharon avrebbe potuto concordare il nuovo stato con lo stesso Abbas, dopo la sua larga vittoria elettorale. All'uscita di scena di Sharon, Olmert avrebbe potuto occuparsene. Avrebbe potuto farlo con il governo di unità formato sotto il beneplacito saudita. Non lo hanno fatto. Non perché stolti o deboli. Non lo hanno fatto semplicemente perché il loro proposito era esattamente contrario: annessione di una grossa fetta della Cisgiordania e allargamento degli insediamenti. È per questo che hanno tentato in tutti i modi di indebolire Abbas, considerato dagli Stati Uniti come il «partner di pace» ideale. È inconcepibile comunque comprendere gli ultimi sviluppi senza riportare alla memoria il «piano di separazione». Questa settimana sono state pubblicate sulla stampa israeliana alcune rivelazioni choccanti che confermano i sospetti iniziali: cioè che la «scissione» non fosse nient'altro che la prima mossa all'interno di una più ampia e segreta strategia. Sharon aveva in mente un piano in tre mosse: segregare fisicamente e politicamente la Striscia di Gaza, lasciandola sotto il controllo di Hamas, trasformare la Cisgiordania in un bantustan frammentato sotto la guida di Fatah e mantenere il controllo dell'esercito israeliano su entrambi i territori. Questo spiegherebbe l'insistenza di Sharon per il ritiro unilaterale (da Gaza). Senza questa ipotesi, il ritiro appare una mossa completamente illogica. Ora il rifornimento di cibo, medicine, acqua ed elettricità per Gaza dipende unicamente dal benestare di Israele, così come le operazioni di passaggio della frontiera egiziana (con l'aiuto di un'unità monitorante europea, controllata dall'esercito israeliano), le importazioni ed esportazioni e persino il censimento. Che sia chiaro: questa non è una linea politica inedita. La separazione di Gaza dalla Cisgiordania è stata per molti anni un obiettivo militare e politico prioritario per il governo israeliano. In seguito Shimon Peres inventò lo slogan «Gaza per prima». I palestinesi si sono chiaramente opposti. Alla fine, il governo israeliano si è arreso e nel 1994 ha firmato l'Accordo riguardante la Striscia di Gaza e l'area di Gerico. Lo spazio concesso all'autorità palestinese in Cisgiordania doveva assicurare la continuità tra i due territori. Purtroppo, durante i tredici anni che sono passati da allora, il passaggio non è stato aperto neanche una volta. Quando Barak si è accomodato sulla poltrona di Primo ministro, ha vaneggiato su possibili ponti di lunghezza record tra la Striscia e la Cisgiordania (Circa 40 km).
Come molte altre brillanti intuizioni di Barak, questa si spense prima di nascere ed il passaggio rimase sigillato. Il governo israeliano ha ripetutamente dichiarato di voler mantenere l'impegno preso e di recente ha persino inviato in merito una garanzia formale e dettagliata a Condoleezza Rice.
Non è successo niente. Perché? Perché il nostro governo si assume il rischio di una violazione così manifesta, netta, cristallina e continua, di un obbligo così importante? Una sola risposta è plausibile: la scissione della Striscia di Gaza dalla Cisgiordania è il principale obiettivo strategico del governo e dell'esercito, un passo esiziale nello strenuo tentativo di spezzare la resistenza palestinese all'occupazione e all'annessione.
L'obiettivo è stato raggiunto e la manovra ufficiale di «rafforzamento» di Abbas fa parte del disegno. A Gerusalemme per qualcuno i sogni sono diventati realtà: la Cisgiordania separata da Gaza, suddivisa in miriadi di enclaves, separate tra loro e dal mondo, sul passato modello dei bantustan sudafricani. Come capitale della Palestina, Ramallah, per far dimenticare Gerusalemme ai palestinesi. Fornitura di armi e rinforzi ad Abbas perché sconfigga Hamas in Cisgiordania. L'esercito israeliano attivo nei dintorni delle città ed eventualmente anche all'interno. Crescita smisurata degli insediamenti, isolamento della valle del Giordano dal resto della Cisgiordania, proseguimento indisturbato del Muro di separazione e conseguente annessione di altra terra palestinese. Il presidente Bush si dice soddisfatto della diffusione della democrazia nell'area palestinese, mentre i contributi al rafforzamento militare d'Israele crescono di anno in anno. Dal punto di vista di Olmert si può definire questa una situazione ideale? Reggerà? La risposta è No! Come tutte le misure di Bush e Olmert, e dei loro predecessori, è basata sul disprezzo degli arabi, disprezzo che molto spesso si è rivelato foriero di disastri. I media israeliani, convertiti in organi di propaganda al servizio di Mahmoud Abbas e Mohammad Dahlan, stanno già immaginando con gioia lo faccia verde di invidia degli affamati abitanti di Gaza al cospetto dei cittadini della Cisgiordania, pasciuti e prosperi. Si rivolteranno contro la leadership di Hamas di modo che Israele possa piazzare un bel governo fantoccio anche lì. Ma queste sono solo ridicole fantasie. È molto più probabile che la rabbia della gente di Gaza venga indirizzata contro gli aguzzini israeliani che li stanno affamando. E il popolo della Cisgiordania non vorrà abbandonare i propri connazionali, che languono a Gaza. Nessun palestinese accetterà mai la totale separazione di Gaza dalla Cisgiordania. La condotta politica israeliana è dilaniata da due aspirazioni contrapposte: da un lato, evitare che gli eventi di Gaza si ripetano in Cisgiordania, dove i rischi sarebbero ben peggiori se Hamas dovesse prevalere, e dall'altro, impedire che il consenso intorno ad Abbas cresca a tal punto da obbligare gli americani a costringere Olmert intorno ad un tavolo con Abbas per dei negoziati veri. Come al solito, il governo vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca. Al momento tutti i provvedimenti di Olmert mettono a repentaglio la posizione di Abbas. Il suo
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Olmert re Mida? L'assedio a Gaza è un boomerang
Scritto da Uri Avnery Venerdì 29 Giugno 2007 00:13
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