di Zvi Schuldiner :1967 "Sei giorni lunghi quarant'anni"

Nel 1967, quando tutto sembrava più o meno tranquillo, esplose l'escalationche avrebbe portato alla guerra. All'inizio furono gli scontri con
l'aviazione siriana: secondo le più recenti informazioni, erano i sovietici
ad avere un interesse particolare nell'escalation. Poi gli egiziani si
presero di sorpresa da soli, e arrivò il colpo mortale che l'aviazione
israeliana vibrò in meno di tre ore. Ma prima di quello regnava la paura, il
«pericolo» era tale che in Israele vennero persino benedette alcune piazze
per poterle usare come cimiteri. L'esercito israeliano - che anni dopo
avrebbe smentito il «rischio mortale» per il giovane stato - fece pressioni
sul governo e si lanciò nella guerra. Vinse sul campo di battaglia, ma
sommerse il paese in una lunga notte
I sovietici probabilmente pensarono di avere un'opportunità di intervenire
militarmente. Non riuscirono a farlo per la rapidità della vittoria
israeliana, ma estesero molto la loro presenza nella regione. Gli Usa, che
nel '56 avevano condannato israeliani francesi e britannici e si erano
astenuti dall'appoggiare Israele, cominciarono invece un'alleanza assai poco  santa per consolidare i propri interessi regionali.
Un popolo che ne soggioga un altro non può essere libero. Nel 1967 Israele
comiciò a farsi trascinare dalla destra laica e dai circoli fondamentalisti
che a pochi giorni dalla guerra già parlavano di redenzione, proclamavano la  santità dei territori occupati e chiudevano gli occhi di fronte
all'esistenza stessa del popolo palestinese. Pochi giorni dopo la fine della
guerra vennero stabilite le regole dell'occupazione, qualche altra settimana
e nei territori occupati avrebbero cominciato a crescere le colonie.
Giocarono un ruolo anche i circoli militanti del laburismo. Uno dei primi
architetti del processo di colonizzazione fu Ygal Alon, un ministro
«socialista» della sinistra laburista.
La vittoria nella guerra non significò l'apertura di un processo politico ma
l'inizio di una lunga oppressione, un cancro che ha finito per corrompere e
distruggere l'occupato e l'occupante. Ogni colonia era un nuovo ostacolo a
ogni iniziativa di pace, ogni insediamento un nuovo furto di terra
palestinese, un nuovo tratto di penna nella mappa tormentata della regione.
Israele non ha mai deciso in maniera ufficiale il destino dei territori
occupati nel 1967: questo destino è «temporaneo» da quarant'anni. E questa
sospensione temporale ne ha comportato anche un'altra: quella dei diritti
umaniTutto è temporaneo, tranne l'occupazione. E dopo vent'anni i palestinesi  smisero di apprezzare quella che gli israeliani chiamavano «occupazione
liberale». Iniziò la prima Intifada e gli occupanti scoprirono di non
piacere agli occupati. Gli anni '90 videro un tentativo di riconciliazione
storica, cominciato a Oslo e fatto naufragare da forze che non cercavano la
pace ma l'annessione. Arrivarono altri coloni, altre terre furono confiscate
a palestinesi che non capivano di che razza di «pace» si trattasse. Le
imposizioni non si ammorbidirono negli anni di Arafat, e nel 2000 arrivò la
seconda Intifada: più violenta e più sanguinosa.
Israele arriva con violenza ai 40 anni dall'occupazione, una violenza che
infligge alla popolazione palestinese sofferenze difficili da descrivere.
Ora a Sderot una parte della popolazione israeliana minacciata dai missili
dice che è necessario trattare con il nemico. E' un debole raggio di
ottimismo: la sfrenata, sanguinaria occupazione di questi ultimi anni non è
solo un incubo per gli occupati, ma ha cominciato a distruggere le poche
cose buone che forse ancora rimangono nella società
occupante
.

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