Amira Hass: la guerra dei grattacieli



Visto che le autorità israeliane mi hanno impedito di entrare nella Striscia di Gaza, posso solo immaginare come sia stata vissuta quest'ultima esplosione di violenza.

Le cifre, 49 morti e alcune centinaia di feriti, non rendono tutto l'orrore. Per diversi giorni la gente è rimasta chiusa in casa, dopo che alcuni civili erano stati uccisi durante gli scontri in strada. Ma presto anche le case si sono rivelate poco sicure.

Alle violenze degli ultimi giorni, i palestinesi hanno dato un nome nuovo: Harb al Abraj, "la guerra dei grattacieli". Il riferimento è a quei palazzi, che per gli standard di Gaza sembrano altissimi, occupati dai miliziani delle fazioni in lotta e trasformati in postazioni di battaglia.

All'interno di questi edifici sono rimasti intrappolati per giorni vecchi e malati, senza poter uscire nemmeno per comprare le medicine. In casa nessuno osava avvicinarsi alle finestre e i negozi di alimentari avevano esaurito i generi di prima necessità. Per strada posti di blocco improvvisati impedivano qualsiasi spostamento. Alcune zone della città erano controllate da miliziani con il volto coperto, che sparavano, uccidevano, rapivano persone.

C'è chi dice che erano uomini di Al Fatah. Altri sostengono che Hamas ha agito nello stesso modo. Entrambe le fazioni hanno usato i computer per controllare l'identità degli uomini e verificare a quale partito appartenessero.

"Tra i due gruppi c'è solo odio", ha commentato il mio amico Abu Basel, che non appartiene a nessuna delle due fazioni. Abu Salah, attivista di Hamas, è convinto che la responsabilità sia di Al Fatah.

Ma si sente a disagio di fronte alle brutalità commesse dagli uomini del suo clan. Ultimamente si è accorto che la sua autorità sul figlio, che ha sei anni, sta svanendo. Quando a scuola è nato uno screzio tra compagni, si è offerto di fare da mediatore e di andare a parlare con gli altri bambini. "Non servirà a niente", gli ha detto il figlio, "non hai nemmeno un fucile".

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