Jason Kunin: Ebrei in disaccordo


L'autore dell'articolo che segue, Jason Kunin di Toronto, è membro di un gruppo chiamato Alliance of the concerned Jews of Canada (Alleanza degli ebrei preoccupati del Canada). (1)Questa lettera è stata firmata da altri membri.Una rivolta dal basso è in corso nelle comunità ebraiche nel mondo;


una rivolta che ha gettato nel panico le organizzazioni oligarchiche che da sempre si atteggiano a portavoce della comunità. L'ultimo segno di panico è la pubblicazione, dal parte dell'American Jewish Congress, di un saggio di Alvin H. Rosenfeld, intitolato «Il pensiero ebraico progressista e il nuovo antisemitismo» che accusa gli ebrei progressisti di suscitare, con le loro critiche ad Israele, una nuova ondata antisemita. E' l'ultimo tentativo di identificare l'antisionismo all'antisemitismo, allo scopo di marginalizzare o far tacere le critiche ad Israele.Questa tattica è largamente usata in Canada.Bernie Farber, all'atto di essere nominato direttore del Canadian Jewish Congress, ha dichiarato che il suo scopo era di «educare i canadesi sul legame tra antisionismo e antisemitismo».E' falso fingere, come fanno questi gruppi, che la comunità è unita a sostegno di Israele.Un numero sempre più grande di ebrei nel mondo si unisce al coro di allarme per le condizioni sempre più degradate dei palestinesi nei Territori Occupati, e per lo stato economico e sociale inferiore della popolazione palestinese di Israele.In un mondo dove il sostegno acritico ad Israele diventa sempre meno tollerabile, dato il disastro dei diritti umani che si accresce a Gaza e in Cisgiordania, i capi delle comuntà giudaiche fuori di Israele fanno quadrato, alzano il tono della loro retorica filo-israeliana, e demonizzano chi critica Israele.Costoro sostengono che la crescente preoccupazione per Israele non nasce dalle azioni di questo Stato, ma da un aumento dell'antisemitismo.Nonostante questo sforzo di assolvere Israele dalle sue responsabilità per il trattamento che infligge ai palestinesi, l'opposizione ebraica cresce e diventa più organizzata.Il 5 febbraio, in Gran Bretagna, un gruppo che si chiama «Voci Ebraiche Indipendenti» (2) ha pubblicato sul Guardian una lettera aperta in cui prende le distanze da «coloro che pretendono di parlare per tutti gli ebrei inglesi e di altri Paesi [e che] mettono continuamente il sostegno verso un Paese occupante al disopra dei diritti umani del popolo occupato».Fra i firmatari di questa lettera ci sono il premio Nobel per la letteratura Harold Pinter, il regista Mike Leigh, lo scrittore John Berger e molti altri.Il premio Nobel per la letteratura nel 2005 Harold PinterGruppi simili sono nati in Svezia (Jews for Israeli-Palestinian Peace), Francia (Union Juive Française pour la Paix, Rencontre progressiste Juive), in Italia (Ebrei contro l'occupazione), in Germania (Judische Stimmer fuer gerechten Frieden in Nahost), il Belgio (Union des Progressistes Juifs de Belgique), negli stati Uniti (Jewish Voice for Peace, Brit Tzedek, Tikkun, The Bronfman-Soros Initiative), in Sud Africa e in molti altri luoghi, fra cui l'organizzazione federale «European Jews for a just peace», ed entro la stessa Israele.Criticare Israele «non» è antisemitismo, né «pesca nell'antisemitismo», espressione usata per dire la stessa cosa. […]Ci sono antisemiti che sostengono Israele perché sono fondamentalisti cristiani, che vedono il ritorno dei giudei a Gerusalemme come la precondizione per il ritorno di Cristo e la conversione degli ebrei al cristianesimo, o perché sono xenofobi che vogliono togliersi dai piedi gli ebrei di mezzo a loro.Ci sono antisemiti che prendono posizione pro e contro Israele.E' sbagliato criticare tutti gli ebrei per le malefatte di Israele, ma la leadership di Israele e i suoi sostenitori nella Diaspora incoraggiano proprio questa veduta, in quanti identificano gli atti di Israele con l'intero popolo ebraico.Ciò addossa il biasimo per i delitti di Israele sulle spalle di tutti gli ebrei.Ma i critici ebrei di Israele dimostrano con le parole e con gli atti che la comunità giudaica non è monoliticamente a fianco di Israele.Questi sostenitori di Israele dicono che Israele è obbligata a fare quello che fa - ossia distruggere le case della gente, tenerla sotto il tallone dell'occupazione, chiuderla in ghetti murati, brutalizzarla ogni giorno con incursioni militari e posti di blocco a sorpresa - per proteggere i suoi cittadini dalla violenza palestinese.Ma la violenza palestinese ha le sue radici nel furto della terra che i palestinesi hanno subìto, nella deviazione della loro acqua, nella violenza dell'occupazione, nella umiliazione di veder considerata la propria esistenza una «minaccia demografica».Per giustificare l'infinita occupazione e furto della terra palestinese, lo Stato ebraico e i suoi difensori tentano di negare le sofferenze palestinesi, ribattendo invece che il risentimento palestinese è basato non già sulla violenza israeliana, ma sull'Islam, sulla «mentalità araba», o su un mistico antisemitismo che sarebbe inerente alla cultura islamica.Di conseguenza, la campagna a favore di Israele dipende da un'attiva disseminazione della islamofobia.Non è sorprendente che la diffusione di odio in tal maniera infiamma i sentimenti anti-ebraici tra gli arabi e i musulmani.Non è questo il metodo per rendere gli ebrei più sicuri.Il popolo ebraico può aiutare a sventare gli effetti del comportamento di Israele, ma solo opponendosi apertamente ad esso.Jason Kunin

http://www.canpalnet-ottawa.org/index.html
http://www.ijv.org.uk/

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