URIAVNERY : Libano e i mercanti della pace
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Era possibile risolvere il problemi dei missili nel sud del Libano con mezzi diplomatici. L’offensiva degli ultimi due giorni di guerra nel corso della quale sono morti 33 soldati, dopo che la risoluzione del cessate il fuoco era stata quasi accettata, è stata una manovra del primo ministro... il primo ministro, il ministro della difesa e il capo di stato maggiore si devono dimettere...” Giusto, era proprio Gush Shalom. Ma non c’è niente di nuovo in questo. La novità è che ieri l’ex capo di stato maggiore, Moshe Ya’alon, ha ripetuto queste dichiarazioni quasi parola per parola. “Bogie” Ya’alon è proprio l’esatto contrario di Gush Shalom. Nessuno può dire che appartiene ad un “gruppo marginale” Proviene proprio dal centro del potere.
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2
Il vero scopo della guerra in Libano
Il vero scopo è cambiare il regime in Libano e installare un governo fantoccio. Questo era lo scopo dell'invasione del Libano di Ariel Sharon, nel 1982. Fallì. Ma Sharon e i suoi allievi della leadership politica e militare non hanno mai davvero rinunciato. Come nel 1982, anche l'operazione in corso è stata pianificata e viene portata avanti in pieno coordinamento con gli Stati Uniti. Come allora, non c'è dubbio che sia coordinata con parte dell'élite libanese. Questo è il punto principale. Il resto è clamore e propaganda. Alla vigilia dell'invasione del 1982, il Segretario di Stato Alexander Haig disse ad Ariel Sharon che, prima di dare il via all'operazione, era necessario avere una “chiara provocazione”, che sarebbe stata tenuta per buona dal mondo. La provocazione infatti ebbe luogo - proprio al momento giusto - quando il gruppo terroristico di Abu Nidal cercò di assassinare l'ambasciatore israeliano a Londra.
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NASRALLAH ULTIMO EROE GRAZIE ALL'OCCUPAZIONE
Una donna, immigrata dalla Russia, si butta a terra disperata di fronte alla propria casa appena colpita da un missile, urlando nel suo ebraico incerto: «Figlio mio! Figlio mio!», credendolo morto. In realtà è stato soltanto ferito e spedito all'ospedale. Bambini libanesi, coperti di ferite, negli ospedali di Beirut. Il funerale delle vittime di una missile in Haifa. Le rovine di un intero quartiere devastato a Beirut. Abitanti del Nord di Israele che fuggono dai missili, verso sud. Abitanti del Libano del sud che fuggono dalle forze aeree israeliane, verso nord. Morte e distruzione. Sofferenze umane inimmaginabili. E poi la visione più disgustosa: George Bush di umore giocherellone seduto sul suo scranno di San Pietroburgo, col suo servo fedele Tony Blair chinato verso di lui, che risolve il problema: «Vedi? Basta chiedere alla Siria di costringere Hezbollah a fermare quella *****, ed è fatta». Così parlò il sovrano del mondo, ed i sette nani - i potenti della terra - subito dissero Amen. La Siria?
Eppure qualche mese fa è stato Bush - sì, lo stesso Bush - che ha portato i libanesi a cacciare i siriani dal paese. E adesso vorrebbe far intervenire i siriani in Libano per ripristinare l'ordine? Trentuno anni fa, quando la guerra civile era al culmine, i siriani hanno spedito il loro esercito in Libano (invitati, fra tutti, dai cristiani). All'epoca, l'allora ministro della difesa Shimon Peres e i suoi associati provocarono l'isteria in Israele. Pretesero che Israele dichiarasse un ultimatum alla Siria, per impedir loro di raggiungere il confine israeliano. Yitzhak Rabin, primo ministro, mi disse che era semplicemente insensato, poiché per Israele non poteva esserci niente di meglio che l'esercito siriano schierato al confine. Soltanto così sarebbe stata garantita la calma, la stessa che regnava al confine con la Siria. Comunque sia. Rabin si lasciò prendere dall'isteria della stampa e fermò i siriani lontano dal confine. Il vuoto creatosi al confine fu riempito dall' Olp. Poi, nel 1982, Ariel Sharon espulse l'Olp. E il vuoto venne riempito da Hezbollah. Da allora, tutto ciò che succede da quelle parti non sarebbe mai successo se avessimo permesso alla Siria di occupare il confine sin dall'inizio. I siriani sono gente cauta, sono agiscono mai sconsideratamente. A che cosa stava pensando Hassan Nasrallah quando ha deciso di attraversare il confine e scatenare l'azione di guerriglia che ha portato all'escalation di questi giorni? Perché l'ha fatto? Perché proprio adesso? Tutti sono d'accordo nel ritenere Nasrallah intelligente. E prudente. Per anni ha messo insieme immensi arsenali con tutti i genere possibili di missili per stabilire il suo equilibrio di terrore. Sapeva che l'esercito israeliano stava soltanto aspettando l'opportunità giusta per distruggerli. Ma in tutto questo, ha messo in atto una provocazione che ha fornito al governo israeliano la provocazione perfetta per attaccare il Libano col pieno benestare del mondo intero. Perché? Una strana tempistica È possibile che la richiesta gli sia pervenuta da Iran e Siria, che già avevano provvisto i missili, a fare qualcosa che dirottasse la pressione americana via dai rispettivi due paesi. E per l'appunto, la crisi improvvisa ha spostato completamente l'attenzione dagli sforzi nucleari iraniani, e pare che anche l'atteggiamento di Bush verso la Siria sia cambiato. Ma Nasrallah è ben lungi dall'essere una marionetta dell'Iran o della Siria. È a capo di un autentico movimento libanese, e calcola i suoi tornaconti di pro e contro. Nel caso davvero Siria e Iran gli avessero chiesto qualcosa - e, di questo, non abbiamo prova alcuna - da lui ritenuto contrario agli interessi del proprio movimento, di certo non l'avrebbe fatto. Forse ha agito dietro a preoccupazioni interne alla politica libanese. Il sistema politico libanese cominciava a stabilizzarsi ed era sempre più difficile giustificare l'ala militare del suo partito. Un nuovo incidente armato poteva far comodo. Ma tutto questo non spiega ancora la tempistica. Dopo tutto, Nasrallah avrebbe potuto agire un mese prima o un mese dopo, l'anno prima o l'anno dopo. Devono esserci stati ben altri moventi per convincerlo ad intraprendere una simile avventura proprio adesso. Una ragione infatti c'è: la Palestina. Due settimane fa, l'esercito israeliano aveva iniziato una guerra contro la popolazione della Striscia di Gaza. Anche là il pretesto era venuto da una azione di guerriglia, la cattura di un soldato. Il governo israeliano ha colto l'occasione per mettere in atto un piano da tempo preparato: spezzare la resistenza palestinese e distruggere il neoeletto governo palestinese, dominato da Hamas . L'operazione a Gaza è particolarmente brutale. Morti, feriti, devastazione. Scarsità di acqua e di medicine per feriti ed ammalati. Intere famiglie sterminate. Bambini che urlano. Madri che piangono. Edifici che crollano. I regimi arabi, tutti dipendenti dall'America, non hanno fatto nulla. Dato che anch'essi sono minacciati dall'opposizione islamista, sono rimasti a guardare. Ma le decine di milioni di arabi, dall'Oceano Atlantico al Golfo Persico si sono indignati con i propri governi, invocando un leader che soccorresse i loro assediati, eroici fratelli. Un nuovo e delicato armistizio? Cinquant'anni fa, Gamal Abdel Nasser, nuovo leader egiziano, scrisse che c'era un ruolo che aspettava soltanto un eroe. Decise di essere lui stesso quell'eroe. Per anni è stato l'idolo del mondo arabo, il simbolo dell'unità araba. Ma Israele ha approfittato della Guerra dei sei Giorni per spezzarlo. Dopodiché è stata la volta di Saddam Hussein, che ha osato opporsi allo strapotere americano e lanciare missili contro Israele, divenendo l'eroe delle masse arabe. Ma è stato deposto nella più umiliante delle maniere dagli americani. Una settimana fa, Nasrallah ha sperimentato la stessa identica tentazione. Il mondo arabo invocava un eroe, ed è stato lui a rispondere: Eccomi! Ha sfidato Israele e, indirettamente, gli Stati uniti e tutto l'Occidente. Se n'è andato all'attacco senza alleati, sapendo che né Iran né Siria potevano correre il rischio di aiutato. Forse si è lasciato prendere la mano, un po' come Nasser e Saddam prima di lui. Forse ha calcolato male l'entità del contrattacco israeliano. Forse ha veramente creduto che, sotto il peso dei suoi missili, Israele sarebbe crollata. Come, del resto, l'esercito israeliano credeva di spezzare i palestinesi a Gaza e gli sciiti in Libano. Una cosa è certa: Nasrallah non avrebbe mai scatenato questa spirale di violenza, se i palestinesi non avessero invocato aiuto. Che sia stato per freddo calcolo, o per sincera indignazione, o per entrambi, Nasrallah è corso a soccorrere la vicina Palestina. La reazione israeliana poteva essere prevista. Per anni i comandi militari avevano atteso l'occasione per eliminare l'arsenale bellico di Hezbollah e distruggere l'intera organizzazione, o quantomeno disarmarla e allontanarla via dal confine. E ci provano con l'unico sistema che conoscono: devastando tutto al punto che sarà la popolazione stessa a sollevarsi e pretendere che il proprio governo accondiscenda alle richieste israeliane. Funzionerà? Hezbollah è il più autentico rappresentante della comunità sciita, che comprende il 40% della popolazione libanese. Con il resto dei musulmani, sono la maggioranza nel paese. L'idea che il governo libanese - che in ogni caso comprende anche Hezbollah - possa liquidare l'organizzazione è semplicemente ridicola. Il governo israeliano pretende che sia l'esercito libanese ad essere schierato al confine. Ormai è diventato un mantra, e rivela un'ignoranza abissale. Gli sciiti occupano posizioni importanti nell'esercito, e non c'è verso che si imbarchino in una guerra fratricida contro Hezbollah. All'estero, ecco che un'altra idea prende forma: che venga spiegata una forza di intervento internazionale al confine. Il governo israeliano si oppone strenuamente. Un'autentica forza internazionale - e non come la Unifil, che ci è già rimasta per decenni - impedirebbe all'esercito israeliano di fare tutto ciò che vuole. In più, se venisse spiegato al confine senza l'ok di Hezbollah, ne seguirebbe una nuova serie di ritorsioni. Come potrebbe questa forza di intervento, senza alcuna motivazione reale, riuscire dove l'esercito israeliano ha fallito? Tutt'al più questa guerra, con le sue centinaia di morti e la sua distruzione, porterà ad un nuovo e delicato armistizio. Il governo israeliano dichiarerà vittoria e sosterrà di aver «cambiato le regole del gioco». Nasrallah dichiarerà che la sua piccola organizzazione ha fronteggiato una delle più potenti macchine militari al mondo e scritto un altro radioso capitolo di eroismo negli annali della storia araba e musulmana. Non vi saranno soluzioni reali, perché non ci sono reali cure al problema di fondo: la questione palestinese. Chiuque aspiri ad una soluzione deve esserne conscio: non ci sono soluzioni finché il conflitto israelo-palestinese non verrà risolto. E non c'è soluzione per la questione palestinese senza un negoziato con il governo democraticamente eletto, capeggiato da Hamas. Se qualcuno vuole farla finita, una volta per tutte, con questa ***** - come Bush ha delicatamente puntualizzato - questa è l'unica via per farlo.
Traduzione di Annalena Di Giovanni "Nasrallah, ultimo eroe del Medioriente" di URY Avnery http://gush-shalom.org/media/pics/index.html
4
L'intorpidimento morale dell'esercito israeliano
«Sembra che Nasrallah sia sopravvissuto», hanno annunciato i giornali israeliani, dopo che 23 tonnellate di bombe sono state scaricate nel sito di Beirut dove si riteneva fosse bunker del leader hezbollah. Alcune ore dopo il bombardamento, Nasrallah rilasciava un'intervista ad al-Jazeera. Ma i nostri ministri hanno deciso che questo è l'obiettivo. Non che ci sia gran novità in questo: diversi governi israeliani hanno usato questa tattica di uccidere leaders di gruppi avversari. Il nostro esercito ha già ucciso, fra gli altri, il leader hezballah Abbas Mussawi, il numero due dell' Olp Abu Jihad, come anche Sheikh Ahmad Yassin ed altri capi di Hamas. Quasi tutti i palestinesi, e non soltanto loro, sono convinti che persino Yasser Arafat sia stato assassinato. E i risultati? Il posto di Mussawi è stato preso da Nasrallah, ben più abile. Lo sceicco Yassin è stato sostituito da leaders ben più radicali. Al posto di Arafat ora abbiamo Hamas. Come per altre questioni politiche, una mentalità triviale governa questi ragionamenti. E' vero che siamo una democrazia. L'esercito è interamente soggetto all'estabilishment civile. Secondo la legge, il primo ministro è il comandante supremo dell'esercito (che in Israele include marina ed aviazione).
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http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=4709
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FORTUNATAMENTE ABBIAMO PERSO
Era possibile risolvere il problemi dei missili nel sud del Libano con mezzi diplomatici. L’offensiva degli ultimi due giorni di guerra nel corso della quale sono morti 33 soldati, dopo che la risoluzione del cessate il fuoco era stata quasi accettata, è stata una manovra del primo ministro... il primo ministro, il ministro della difesa e il capo di stato maggiore si devono dimettere...” Giusto, era proprio Gush Shalom. Ma non c’è niente di nuovo in questo. La novità è che ieri l’ex capo di stato maggiore, Moshe Ya’alon, ha ripetuto queste dichiarazioni quasi parola per parola. “Bogie” Ya’alon è proprio l’esatto contrario di Gush Shalom. Nessuno può dire che appartiene ad un “gruppo marginale” Proviene proprio dal centro del potere.
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Il vero scopo della guerra in Libano
Il vero scopo è cambiare il regime in Libano e installare un governo fantoccio. Questo era lo scopo dell'invasione del Libano di Ariel Sharon, nel 1982. Fallì. Ma Sharon e i suoi allievi della leadership politica e militare non hanno mai davvero rinunciato. Come nel 1982, anche l'operazione in corso è stata pianificata e viene portata avanti in pieno coordinamento con gli Stati Uniti. Come allora, non c'è dubbio che sia coordinata con parte dell'élite libanese. Questo è il punto principale. Il resto è clamore e propaganda. Alla vigilia dell'invasione del 1982, il Segretario di Stato Alexander Haig disse ad Ariel Sharon che, prima di dare il via all'operazione, era necessario avere una “chiara provocazione”, che sarebbe stata tenuta per buona dal mondo. La provocazione infatti ebbe luogo - proprio al momento giusto - quando il gruppo terroristico di Abu Nidal cercò di assassinare l'ambasciatore israeliano a Londra.
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NASRALLAH ULTIMO EROE GRAZIE ALL'OCCUPAZIONE
Una donna, immigrata dalla Russia, si butta a terra disperata di fronte alla propria casa appena colpita da un missile, urlando nel suo ebraico incerto: «Figlio mio! Figlio mio!», credendolo morto. In realtà è stato soltanto ferito e spedito all'ospedale. Bambini libanesi, coperti di ferite, negli ospedali di Beirut. Il funerale delle vittime di una missile in Haifa. Le rovine di un intero quartiere devastato a Beirut. Abitanti del Nord di Israele che fuggono dai missili, verso sud. Abitanti del Libano del sud che fuggono dalle forze aeree israeliane, verso nord. Morte e distruzione. Sofferenze umane inimmaginabili. E poi la visione più disgustosa: George Bush di umore giocherellone seduto sul suo scranno di San Pietroburgo, col suo servo fedele Tony Blair chinato verso di lui, che risolve il problema: «Vedi? Basta chiedere alla Siria di costringere Hezbollah a fermare quella *****, ed è fatta». Così parlò il sovrano del mondo, ed i sette nani - i potenti della terra - subito dissero Amen. La Siria?
Eppure qualche mese fa è stato Bush - sì, lo stesso Bush - che ha portato i libanesi a cacciare i siriani dal paese. E adesso vorrebbe far intervenire i siriani in Libano per ripristinare l'ordine? Trentuno anni fa, quando la guerra civile era al culmine, i siriani hanno spedito il loro esercito in Libano (invitati, fra tutti, dai cristiani). All'epoca, l'allora ministro della difesa Shimon Peres e i suoi associati provocarono l'isteria in Israele. Pretesero che Israele dichiarasse un ultimatum alla Siria, per impedir loro di raggiungere il confine israeliano. Yitzhak Rabin, primo ministro, mi disse che era semplicemente insensato, poiché per Israele non poteva esserci niente di meglio che l'esercito siriano schierato al confine. Soltanto così sarebbe stata garantita la calma, la stessa che regnava al confine con la Siria. Comunque sia. Rabin si lasciò prendere dall'isteria della stampa e fermò i siriani lontano dal confine. Il vuoto creatosi al confine fu riempito dall' Olp. Poi, nel 1982, Ariel Sharon espulse l'Olp. E il vuoto venne riempito da Hezbollah. Da allora, tutto ciò che succede da quelle parti non sarebbe mai successo se avessimo permesso alla Siria di occupare il confine sin dall'inizio. I siriani sono gente cauta, sono agiscono mai sconsideratamente. A che cosa stava pensando Hassan Nasrallah quando ha deciso di attraversare il confine e scatenare l'azione di guerriglia che ha portato all'escalation di questi giorni? Perché l'ha fatto? Perché proprio adesso? Tutti sono d'accordo nel ritenere Nasrallah intelligente. E prudente. Per anni ha messo insieme immensi arsenali con tutti i genere possibili di missili per stabilire il suo equilibrio di terrore. Sapeva che l'esercito israeliano stava soltanto aspettando l'opportunità giusta per distruggerli. Ma in tutto questo, ha messo in atto una provocazione che ha fornito al governo israeliano la provocazione perfetta per attaccare il Libano col pieno benestare del mondo intero. Perché? Una strana tempistica È possibile che la richiesta gli sia pervenuta da Iran e Siria, che già avevano provvisto i missili, a fare qualcosa che dirottasse la pressione americana via dai rispettivi due paesi. E per l'appunto, la crisi improvvisa ha spostato completamente l'attenzione dagli sforzi nucleari iraniani, e pare che anche l'atteggiamento di Bush verso la Siria sia cambiato. Ma Nasrallah è ben lungi dall'essere una marionetta dell'Iran o della Siria. È a capo di un autentico movimento libanese, e calcola i suoi tornaconti di pro e contro. Nel caso davvero Siria e Iran gli avessero chiesto qualcosa - e, di questo, non abbiamo prova alcuna - da lui ritenuto contrario agli interessi del proprio movimento, di certo non l'avrebbe fatto. Forse ha agito dietro a preoccupazioni interne alla politica libanese. Il sistema politico libanese cominciava a stabilizzarsi ed era sempre più difficile giustificare l'ala militare del suo partito. Un nuovo incidente armato poteva far comodo. Ma tutto questo non spiega ancora la tempistica. Dopo tutto, Nasrallah avrebbe potuto agire un mese prima o un mese dopo, l'anno prima o l'anno dopo. Devono esserci stati ben altri moventi per convincerlo ad intraprendere una simile avventura proprio adesso. Una ragione infatti c'è: la Palestina. Due settimane fa, l'esercito israeliano aveva iniziato una guerra contro la popolazione della Striscia di Gaza. Anche là il pretesto era venuto da una azione di guerriglia, la cattura di un soldato. Il governo israeliano ha colto l'occasione per mettere in atto un piano da tempo preparato: spezzare la resistenza palestinese e distruggere il neoeletto governo palestinese, dominato da Hamas . L'operazione a Gaza è particolarmente brutale. Morti, feriti, devastazione. Scarsità di acqua e di medicine per feriti ed ammalati. Intere famiglie sterminate. Bambini che urlano. Madri che piangono. Edifici che crollano. I regimi arabi, tutti dipendenti dall'America, non hanno fatto nulla. Dato che anch'essi sono minacciati dall'opposizione islamista, sono rimasti a guardare. Ma le decine di milioni di arabi, dall'Oceano Atlantico al Golfo Persico si sono indignati con i propri governi, invocando un leader che soccorresse i loro assediati, eroici fratelli. Un nuovo e delicato armistizio? Cinquant'anni fa, Gamal Abdel Nasser, nuovo leader egiziano, scrisse che c'era un ruolo che aspettava soltanto un eroe. Decise di essere lui stesso quell'eroe. Per anni è stato l'idolo del mondo arabo, il simbolo dell'unità araba. Ma Israele ha approfittato della Guerra dei sei Giorni per spezzarlo. Dopodiché è stata la volta di Saddam Hussein, che ha osato opporsi allo strapotere americano e lanciare missili contro Israele, divenendo l'eroe delle masse arabe. Ma è stato deposto nella più umiliante delle maniere dagli americani. Una settimana fa, Nasrallah ha sperimentato la stessa identica tentazione. Il mondo arabo invocava un eroe, ed è stato lui a rispondere: Eccomi! Ha sfidato Israele e, indirettamente, gli Stati uniti e tutto l'Occidente. Se n'è andato all'attacco senza alleati, sapendo che né Iran né Siria potevano correre il rischio di aiutato. Forse si è lasciato prendere la mano, un po' come Nasser e Saddam prima di lui. Forse ha calcolato male l'entità del contrattacco israeliano. Forse ha veramente creduto che, sotto il peso dei suoi missili, Israele sarebbe crollata. Come, del resto, l'esercito israeliano credeva di spezzare i palestinesi a Gaza e gli sciiti in Libano. Una cosa è certa: Nasrallah non avrebbe mai scatenato questa spirale di violenza, se i palestinesi non avessero invocato aiuto. Che sia stato per freddo calcolo, o per sincera indignazione, o per entrambi, Nasrallah è corso a soccorrere la vicina Palestina. La reazione israeliana poteva essere prevista. Per anni i comandi militari avevano atteso l'occasione per eliminare l'arsenale bellico di Hezbollah e distruggere l'intera organizzazione, o quantomeno disarmarla e allontanarla via dal confine. E ci provano con l'unico sistema che conoscono: devastando tutto al punto che sarà la popolazione stessa a sollevarsi e pretendere che il proprio governo accondiscenda alle richieste israeliane. Funzionerà? Hezbollah è il più autentico rappresentante della comunità sciita, che comprende il 40% della popolazione libanese. Con il resto dei musulmani, sono la maggioranza nel paese. L'idea che il governo libanese - che in ogni caso comprende anche Hezbollah - possa liquidare l'organizzazione è semplicemente ridicola. Il governo israeliano pretende che sia l'esercito libanese ad essere schierato al confine. Ormai è diventato un mantra, e rivela un'ignoranza abissale. Gli sciiti occupano posizioni importanti nell'esercito, e non c'è verso che si imbarchino in una guerra fratricida contro Hezbollah. All'estero, ecco che un'altra idea prende forma: che venga spiegata una forza di intervento internazionale al confine. Il governo israeliano si oppone strenuamente. Un'autentica forza internazionale - e non come la Unifil, che ci è già rimasta per decenni - impedirebbe all'esercito israeliano di fare tutto ciò che vuole. In più, se venisse spiegato al confine senza l'ok di Hezbollah, ne seguirebbe una nuova serie di ritorsioni. Come potrebbe questa forza di intervento, senza alcuna motivazione reale, riuscire dove l'esercito israeliano ha fallito? Tutt'al più questa guerra, con le sue centinaia di morti e la sua distruzione, porterà ad un nuovo e delicato armistizio. Il governo israeliano dichiarerà vittoria e sosterrà di aver «cambiato le regole del gioco». Nasrallah dichiarerà che la sua piccola organizzazione ha fronteggiato una delle più potenti macchine militari al mondo e scritto un altro radioso capitolo di eroismo negli annali della storia araba e musulmana. Non vi saranno soluzioni reali, perché non ci sono reali cure al problema di fondo: la questione palestinese. Chiuque aspiri ad una soluzione deve esserne conscio: non ci sono soluzioni finché il conflitto israelo-palestinese non verrà risolto. E non c'è soluzione per la questione palestinese senza un negoziato con il governo democraticamente eletto, capeggiato da Hamas. Se qualcuno vuole farla finita, una volta per tutte, con questa ***** - come Bush ha delicatamente puntualizzato - questa è l'unica via per farlo.
Traduzione di Annalena Di Giovanni "Nasrallah, ultimo eroe del Medioriente" di URY Avnery http://gush-shalom.org/media/pics/index.html
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L'intorpidimento morale dell'esercito israeliano
«Sembra che Nasrallah sia sopravvissuto», hanno annunciato i giornali israeliani, dopo che 23 tonnellate di bombe sono state scaricate nel sito di Beirut dove si riteneva fosse bunker del leader hezbollah. Alcune ore dopo il bombardamento, Nasrallah rilasciava un'intervista ad al-Jazeera. Ma i nostri ministri hanno deciso che questo è l'obiettivo. Non che ci sia gran novità in questo: diversi governi israeliani hanno usato questa tattica di uccidere leaders di gruppi avversari. Il nostro esercito ha già ucciso, fra gli altri, il leader hezballah Abbas Mussawi, il numero due dell' Olp Abu Jihad, come anche Sheikh Ahmad Yassin ed altri capi di Hamas. Quasi tutti i palestinesi, e non soltanto loro, sono convinti che persino Yasser Arafat sia stato assassinato. E i risultati? Il posto di Mussawi è stato preso da Nasrallah, ben più abile. Lo sceicco Yassin è stato sostituito da leaders ben più radicali. Al posto di Arafat ora abbiamo Hamas. Come per altre questioni politiche, una mentalità triviale governa questi ragionamenti. E' vero che siamo una democrazia. L'esercito è interamente soggetto all'estabilishment civile. Secondo la legge, il primo ministro è il comandante supremo dell'esercito (che in Israele include marina ed aviazione).
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FORTUNATAMENTE ABBIAMO PERSO
Allora, che è successo all'esercito israeliano? La domanda viene ormai posta non soltanto nel mondo, ma nella stessa israele. C'è chiaramente un abisso fra le arroganti millanterie dell'esercito, in mezzo alle quali intere generazioni di israeliani sono cresciute, ed il quadro che si presenta con questa guerra. Prima che l'intero coro di generali pronunci le sue prevedibili recriminazioni di venir accoltellati alle spalle («E' l'esercito che ci ha legato le mani! I politici non ci hanno permesso di vincere! E' tutta colpa del governo!») vale la pena di esaminare questa guerra da un punto di vista militare. Continua qui
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Libano, il nome giusto è guerra delle colonie
Libano, il nome giusto è guerra delle colonie Come dopo ogni fallimento militare Israele va a caccia dei colpevoli e piange le vittime: 154 soldati. E dimentica la vittima n. 155: il piano di convergenza, cioé il ritiro parziale dalla Cisgiordania Nonostante 33 giorni di bombe questa guerra non ha avuto un nome. La stampa la nomina «seconda guerra del Libano» in ordine cronologico, ma la denominazione corretta è «war for the settlements» Uri Avnery Poche parole e un ufficiale dell'esercito libanese è riuscito a distruggere, qualche giorno fa, l'illusione che Israele fosse riuscito ad ottenere qualcosa da questa guerra. A una parata militare trasmessa in televisione - e anche sui canali israeliani - l'ufficiale, rivolgendosi alle truppe pronte per essere schierate al confine col sud, ha detto in arabo: «Oggi, nel nome della larga volontà di tutta la popolazione, venite preparati per essere schierati sul suolo del martoriato Sud, fianco a fianco con le forze della vostra resistenza e della vostra gente, che hanno stupito il mondo con la loro fermezza e che ha fatto a pezzi la reputazione di un esercito che si credeva fosse invincibile». Più semplicemente: «la estesa volontà»: la volontà di tutti gli ambiti della popolazione libanese, inclusa la comunità sciita. «Fianco a fianco della resistenza»: fianco a fianco con Hezbollah. «Che hanno stupito il mondo con la loro fermezza»: l'eroismo di Hezbollah. «Fatto a pezzi la reputazione dell'esercito che si credeva invincibile»: l'esercito israeliano. Così ha parlato un comandante dell'esercito libanese, il cui dispiegamento al confine la coppia Olmert-Peretz va celebrando come una immensa vittoria, perché secondo loro l'esercito libanese sarebbe pronto ad affrontare Hezbollah e disarmarlo. I commentatori israeliani ci hanno illusi che tale esercito sarà a disposizione degli amici di Israele e Stati uniti a Beirut - ovvero Fuad Siniora, Saad Hariri e Walid Jumblatt. Non a caso l'intero episodio è affondato come una pietra in uno stagno, cancellato dalla coscienza pubblica. Quella dell'esercito libanese non è l'unico palloncino bucato. E' successo anche al secondo palloncino, quello multicolore che doveva figurare come successo israeliano: il dispiegamento di una forza multinazionale che proteggesse Israele da Hezbollah, prevenendone il riarmo. M*****no che i giorni passano è sempre più evidente che questa forza sarà, al massimo, un raffazzonato insieme di poche unità nazionali, prive di un chiaro mandato o di «robuste» capacità. Il blitz militare portato avanti dal nostro esercito giorni fa, lampante violazione del cessate-il-fuoco, non servirà di certo ad attrarre ulteriori adesioni per un simile compito. Allora che è rimasto dei nostri successi militari? Bella domanda. Dopo ogni fallita guerra, si leva il grido per un'inchiesta in Israele. Adesso c'è un trauma, c'è l'amarezza, un senso di sconfitta e di opportunità mancate. Di qui la domanda per una commissione di inchiesta forte che ci consegni le teste dei responsabili. E' quello che è successo dopo la prima guerra in Libano, che ha raggiunto il climax col massacro di Sabra e Shatila. Il governo ha però rifiutato qualsiasi seria inchiesta. Allora, la massa di gente che si riunì in quella che adesso si chiama «piazza Rabin» (con quei mitici 400mila che protestarono) chiese un'inchiesta giudiziaria. L'umore generale raggiunse il punto di ebollizione e il primo ministro Menachem Begin dovette rassegnarsi. La commissione Kahan, che investigò sulla vicenda, condannò un certo numero di politici e ufficiali per responsabilità «indirette» sul massacro, benchè le conclusioni cui giunse avrebbero potuto portare a più pesanti condanne. Comunque alla fine, se non altro, il ministro delle difesa Ariel Sharon venne costretto alle dimissioni. Prima di tutto ciò, già dopo il trauma della guerra del Kippur, il governo aveva rifiutato di nominare una commissione d'inchiesta, ma la pressione dell'opinione pubblica era infine prevalsa. E la vicenda della commissione Agranat, che includeva un ex comandante in capo dell'esercito e altri due ufficiali superiori, fu piuttosto insolita: condusse una seria indagine, scaricò tutta la colpa sui ranghi militari, rimosse dall'incarico il comandante dell'esercito «Dado» Elazar e assolse l'intera leadership politica. Il che causò un sollevamento spontaneo degli israeliani alla luce del quale Golda Meir e Moshe Dayan - rispettivamente primo ministro e ministro della difesa - furono obbligati alle dimissioni. Anche stavolta la leadership politica e militare stanno cercando di bloccare una qualsiasi vera inchiesta. Amir Peretz ha persino nominato una finta commissione d'inchiesta zeppa di amici suoi. Ma la pressione pubblica cresce, e sembra che anche stavolta non ci sarà nient'altro da fare, se non rassegnarsi ed aprire un'inchiesta giudiziaria. In genere, chi nomina una commissione d'inchiasta ne predetermina anche la durata e le conclusioni. Secondo la legge israeliana, è il governo che decide chi ne farà parte e i suoi punti di riferimento (come membro della Knesset, votai contro questi paragrafi della legge). E se alla fine una simile commissione d'inchiesta venisse indetta, su cosa indagherà? I politici tenteranno sicuramente di limitare le indagini agli aspetti tecnici della condotta militare: «Perché l'esercito non era preparato alla lotta contro i guerriglieri?», «Perché le forze di terra sono state dispiegate soltanto due settimane dopo l'inizio dell'offensiva?», «Qual è stato il lavoro dell'intelligence?», «Perché non si è fatto nulla per intercettare i razzi di Hezbollah e proteggere la popolazione?", "Perché i riservisti non sono stati preparati?", "Perché gli arsenali d'emergenza erano vuoti?", "Perché il ristema di rifernimento non è funzionato?", "Perché il comandante dell'esercito ha deposto il capo del comando nord nel bel mezzo delle operazioni?", "Perché la campagna costata la vita a 33 soldati è stata decisa all'ultimo minuto?". E a questo punto il governo cercherà di ampliare l'inchiesta per incolpare i propri predecessori: «Perché i governi di Ehud Barak e Ariel Sharon sono rimasti a guardare mentre Hezbollah cresceva?», «Perché non è stato fatto niente mentre Hezbollah ammassava arsenali di razzi?». Tutte queste sono domande puntuali e sarebbe certamente necessario chiarirle. Ma è ancora più importante indagare sulle origini di questa guerra: «Perché il trio Halutz-Peretz-Olmert ha deciso di iniziare una guerra soltanto un paio di ore dopo il rapimento di due soldati?», «Sono stati presi accordi con l'America in precedenza, perché si cogliesse la prima occasione per una guerra?», «Sono stati gli americani a spingere per una guerra e, in seguito, a pretenderne il proseguimento il più possibile?», «E' stata Condoleezza Rice a decidere quando iniziare e quando finire?», «Gli Usa hanno preteso che ci invischiassimo con la Siria?», «Gli Usa ci hanno usati per la loro campagna contro l'Iran?». E anche tutto ciò non sarebbe abbastanza. Ci sono domande ancora più profonde ed importanti. Questa guerra non ha nome. Neanche dopo 33 giorni di combattimenti e quasi dieci giorni di cessate-il-fuoco. La stampa adopera un nome cronologico: Seconda guerra libanese. In questo modo, la guerra libanese resta separata dalla guerra della striscia di Gaza, condotta simultaneamente e portata avanti anche dopo la tregua al nord. Queste due guerre hanno un denominatore comune? Risposta: certamente, sono la stessa guerra. La guerra delle Colonie. La guerra contro i palestinesi viene portata avanti per mantenere i blocchi di insediamenti e annettersi larga parte della Cisgiordania. E la guerra al nord è stata portata avanti per mentenere gli insediamenti sulle alture del Golan. Hezbollah è cresciuta col supporto della Siria, che al tempo controllava il Libano. Hafez al-Assad vedeva la restituzione delle alture del Golan come l'obiettivo di tutta la sua vita - e dopotutto, fu lui a perdere le alture con la guerra del 1967, e a non riuscire a riconquistarle con la guerra del 1973. E non voleva rischiare una nuova guerra al confine siro-israeliano, troppo vicino a Damasco. Così ha protetto Hezbollah, per convincere Israele che non ci sarebbe stata tregua fino alla restituzione del Golan. Il piccolo Assad sta soltanto proseguendo sulle orme del padre. Senza la cooperazione con la Siria, l'Iran non ha speranza di far pervenire armi a Hezbollah. La soluzione è a portata di mano: rimuoviamo tutti gli insediamenti da là, quale che sia la perdita in termini di vino e acqua potabile, restituiamo il Golan al legittimo proprietario. Ehud Barak ci era quasi arrivato. Che sia detto chiaramente: ognuno dei 154 israeliani morti per la seconda guerra libanese sono morti per i coloni in Golan. E la vittima israeliana numero 155 in questa guerra è il «Piano di convergenza», il piano di ritiro unilaterale da parte della Cisgiordania. Ehud Olmert è stato eletto quattro mesi fa per il Piano di convergenza, così come Amir Peretz è stato eletto sulla proposta di ridurre le spese militari in nome di ampie riforme sociali. Adesso Olmert dichiara che ce ne possiamo dimenticare. Il Piano doveva rimuovere 60mila coloni da dove sono, lasciandone almeno 400mila in Cisgiordania e a Gerusalemme. Seppellito il Piano, che cosa rimane? Niente pace, niente negoziati, nessuna soluzione per un conflitto ormai storico. Tutto bloccato, almeno finchè non ci libereremo del duo Olmert-Peretz. In Israele si parla già del «prossimo round», che eliminerà e punirà Hezbollah per averci disonorati. In Libano meridionale non ne parlano, visto che il primo round già sembra infinito. Per avere una qualunque valenza, l'inchiesta deve esporre le vere radici di questo conflitto e le scelte storiche che si impongono: o tenersi gli insediamenti e la guerra infinita che comporteranno, o restituire i territori occupati e ottenere la pace. (trad. annalena di giovanni) Libano, il nome giusto è guerra delle colonie
Libano, il nome giusto è guerra delle colonie
Libano, il nome giusto è guerra delle colonie Come dopo ogni fallimento militare Israele va a caccia dei colpevoli e piange le vittime: 154 soldati. E dimentica la vittima n. 155: il piano di convergenza, cioé il ritiro parziale dalla Cisgiordania Nonostante 33 giorni di bombe questa guerra non ha avuto un nome. La stampa la nomina «seconda guerra del Libano» in ordine cronologico, ma la denominazione corretta è «war for the settlements» Uri Avnery Poche parole e un ufficiale dell'esercito libanese è riuscito a distruggere, qualche giorno fa, l'illusione che Israele fosse riuscito ad ottenere qualcosa da questa guerra. A una parata militare trasmessa in televisione - e anche sui canali israeliani - l'ufficiale, rivolgendosi alle truppe pronte per essere schierate al confine col sud, ha detto in arabo: «Oggi, nel nome della larga volontà di tutta la popolazione, venite preparati per essere schierati sul suolo del martoriato Sud, fianco a fianco con le forze della vostra resistenza e della vostra gente, che hanno stupito il mondo con la loro fermezza e che ha fatto a pezzi la reputazione di un esercito che si credeva fosse invincibile». Più semplicemente: «la estesa volontà»: la volontà di tutti gli ambiti della popolazione libanese, inclusa la comunità sciita. «Fianco a fianco della resistenza»: fianco a fianco con Hezbollah. «Che hanno stupito il mondo con la loro fermezza»: l'eroismo di Hezbollah. «Fatto a pezzi la reputazione dell'esercito che si credeva invincibile»: l'esercito israeliano. Così ha parlato un comandante dell'esercito libanese, il cui dispiegamento al confine la coppia Olmert-Peretz va celebrando come una immensa vittoria, perché secondo loro l'esercito libanese sarebbe pronto ad affrontare Hezbollah e disarmarlo. I commentatori israeliani ci hanno illusi che tale esercito sarà a disposizione degli amici di Israele e Stati uniti a Beirut - ovvero Fuad Siniora, Saad Hariri e Walid Jumblatt. Non a caso l'intero episodio è affondato come una pietra in uno stagno, cancellato dalla coscienza pubblica. Quella dell'esercito libanese non è l'unico palloncino bucato. E' successo anche al secondo palloncino, quello multicolore che doveva figurare come successo israeliano: il dispiegamento di una forza multinazionale che proteggesse Israele da Hezbollah, prevenendone il riarmo. M*****no che i giorni passano è sempre più evidente che questa forza sarà, al massimo, un raffazzonato insieme di poche unità nazionali, prive di un chiaro mandato o di «robuste» capacità. Il blitz militare portato avanti dal nostro esercito giorni fa, lampante violazione del cessate-il-fuoco, non servirà di certo ad attrarre ulteriori adesioni per un simile compito. Allora che è rimasto dei nostri successi militari? Bella domanda. Dopo ogni fallita guerra, si leva il grido per un'inchiesta in Israele. Adesso c'è un trauma, c'è l'amarezza, un senso di sconfitta e di opportunità mancate. Di qui la domanda per una commissione di inchiesta forte che ci consegni le teste dei responsabili. E' quello che è successo dopo la prima guerra in Libano, che ha raggiunto il climax col massacro di Sabra e Shatila. Il governo ha però rifiutato qualsiasi seria inchiesta. Allora, la massa di gente che si riunì in quella che adesso si chiama «piazza Rabin» (con quei mitici 400mila che protestarono) chiese un'inchiesta giudiziaria. L'umore generale raggiunse il punto di ebollizione e il primo ministro Menachem Begin dovette rassegnarsi. La commissione Kahan, che investigò sulla vicenda, condannò un certo numero di politici e ufficiali per responsabilità «indirette» sul massacro, benchè le conclusioni cui giunse avrebbero potuto portare a più pesanti condanne. Comunque alla fine, se non altro, il ministro delle difesa Ariel Sharon venne costretto alle dimissioni. Prima di tutto ciò, già dopo il trauma della guerra del Kippur, il governo aveva rifiutato di nominare una commissione d'inchiesta, ma la pressione dell'opinione pubblica era infine prevalsa. E la vicenda della commissione Agranat, che includeva un ex comandante in capo dell'esercito e altri due ufficiali superiori, fu piuttosto insolita: condusse una seria indagine, scaricò tutta la colpa sui ranghi militari, rimosse dall'incarico il comandante dell'esercito «Dado» Elazar e assolse l'intera leadership politica. Il che causò un sollevamento spontaneo degli israeliani alla luce del quale Golda Meir e Moshe Dayan - rispettivamente primo ministro e ministro della difesa - furono obbligati alle dimissioni. Anche stavolta la leadership politica e militare stanno cercando di bloccare una qualsiasi vera inchiesta. Amir Peretz ha persino nominato una finta commissione d'inchiesta zeppa di amici suoi. Ma la pressione pubblica cresce, e sembra che anche stavolta non ci sarà nient'altro da fare, se non rassegnarsi ed aprire un'inchiesta giudiziaria. In genere, chi nomina una commissione d'inchiasta ne predetermina anche la durata e le conclusioni. Secondo la legge israeliana, è il governo che decide chi ne farà parte e i suoi punti di riferimento (come membro della Knesset, votai contro questi paragrafi della legge). E se alla fine una simile commissione d'inchiesta venisse indetta, su cosa indagherà? I politici tenteranno sicuramente di limitare le indagini agli aspetti tecnici della condotta militare: «Perché l'esercito non era preparato alla lotta contro i guerriglieri?», «Perché le forze di terra sono state dispiegate soltanto due settimane dopo l'inizio dell'offensiva?», «Qual è stato il lavoro dell'intelligence?», «Perché non si è fatto nulla per intercettare i razzi di Hezbollah e proteggere la popolazione?", "Perché i riservisti non sono stati preparati?", "Perché gli arsenali d'emergenza erano vuoti?", "Perché il ristema di rifernimento non è funzionato?", "Perché il comandante dell'esercito ha deposto il capo del comando nord nel bel mezzo delle operazioni?", "Perché la campagna costata la vita a 33 soldati è stata decisa all'ultimo minuto?". E a questo punto il governo cercherà di ampliare l'inchiesta per incolpare i propri predecessori: «Perché i governi di Ehud Barak e Ariel Sharon sono rimasti a guardare mentre Hezbollah cresceva?», «Perché non è stato fatto niente mentre Hezbollah ammassava arsenali di razzi?». Tutte queste sono domande puntuali e sarebbe certamente necessario chiarirle. Ma è ancora più importante indagare sulle origini di questa guerra: «Perché il trio Halutz-Peretz-Olmert ha deciso di iniziare una guerra soltanto un paio di ore dopo il rapimento di due soldati?», «Sono stati presi accordi con l'America in precedenza, perché si cogliesse la prima occasione per una guerra?», «Sono stati gli americani a spingere per una guerra e, in seguito, a pretenderne il proseguimento il più possibile?», «E' stata Condoleezza Rice a decidere quando iniziare e quando finire?», «Gli Usa hanno preteso che ci invischiassimo con la Siria?», «Gli Usa ci hanno usati per la loro campagna contro l'Iran?». E anche tutto ciò non sarebbe abbastanza. Ci sono domande ancora più profonde ed importanti. Questa guerra non ha nome. Neanche dopo 33 giorni di combattimenti e quasi dieci giorni di cessate-il-fuoco. La stampa adopera un nome cronologico: Seconda guerra libanese. In questo modo, la guerra libanese resta separata dalla guerra della striscia di Gaza, condotta simultaneamente e portata avanti anche dopo la tregua al nord. Queste due guerre hanno un denominatore comune? Risposta: certamente, sono la stessa guerra. La guerra delle Colonie. La guerra contro i palestinesi viene portata avanti per mantenere i blocchi di insediamenti e annettersi larga parte della Cisgiordania. E la guerra al nord è stata portata avanti per mentenere gli insediamenti sulle alture del Golan. Hezbollah è cresciuta col supporto della Siria, che al tempo controllava il Libano. Hafez al-Assad vedeva la restituzione delle alture del Golan come l'obiettivo di tutta la sua vita - e dopotutto, fu lui a perdere le alture con la guerra del 1967, e a non riuscire a riconquistarle con la guerra del 1973. E non voleva rischiare una nuova guerra al confine siro-israeliano, troppo vicino a Damasco. Così ha protetto Hezbollah, per convincere Israele che non ci sarebbe stata tregua fino alla restituzione del Golan. Il piccolo Assad sta soltanto proseguendo sulle orme del padre. Senza la cooperazione con la Siria, l'Iran non ha speranza di far pervenire armi a Hezbollah. La soluzione è a portata di mano: rimuoviamo tutti gli insediamenti da là, quale che sia la perdita in termini di vino e acqua potabile, restituiamo il Golan al legittimo proprietario. Ehud Barak ci era quasi arrivato. Che sia detto chiaramente: ognuno dei 154 israeliani morti per la seconda guerra libanese sono morti per i coloni in Golan. E la vittima israeliana numero 155 in questa guerra è il «Piano di convergenza», il piano di ritiro unilaterale da parte della Cisgiordania. Ehud Olmert è stato eletto quattro mesi fa per il Piano di convergenza, così come Amir Peretz è stato eletto sulla proposta di ridurre le spese militari in nome di ampie riforme sociali. Adesso Olmert dichiara che ce ne possiamo dimenticare. Il Piano doveva rimuovere 60mila coloni da dove sono, lasciandone almeno 400mila in Cisgiordania e a Gerusalemme. Seppellito il Piano, che cosa rimane? Niente pace, niente negoziati, nessuna soluzione per un conflitto ormai storico. Tutto bloccato, almeno finchè non ci libereremo del duo Olmert-Peretz. In Israele si parla già del «prossimo round», che eliminerà e punirà Hezbollah per averci disonorati. In Libano meridionale non ne parlano, visto che il primo round già sembra infinito. Per avere una qualunque valenza, l'inchiesta deve esporre le vere radici di questo conflitto e le scelte storiche che si impongono: o tenersi gli insediamenti e la guerra infinita che comporteranno, o restituire i territori occupati e ottenere la pace. (trad. annalena di giovanni) Libano, il nome giusto è guerra delle colonie
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