GIdeon Levy : i militari israeliani usano ancora i cani contro i palestinesi

Nonostante il diniego dell’IDF, una testimonianza rivela che vengono ancora usati i cani per assalire sospetti palestinesi.
Mohammed Amla, di 29 anni, è stato assalito selvaggiamente da un cane dell’IDF mentre cercava di sgusciare furtivamente attraverso il confine per recarsi al suo luogo di lavoro a Tel Aviv. 
di Gideon Levy 
"Mi chiamano il telaviviano," ci racconta con un simpatico sorriso, che cede il passo ai gemiti di dolore. La schiena e il collo di Mohammed Amla – un giovane di 29 anni con due figlie – sono segnati da cicatrici per tutta la loro lunghezza dovute al morso di un cane delle Forze di Difesa Israeliane. Di recente i soldati gli hanno aizzato contro il cane mentre cercava di passare di soppiatto attraverso il confine, come era solito fare, per recarsi al posto di lavoro e stare nascosto  in un appartamento di Tel Aviv.

 Nei 12 anni passati, Amla ha lavorato nel centro del paese come tuttofare, ed è stato arrestato diverse volte per questi suoi tentativi. Negli ultimi anni, si è dato da fare per ottenere un permesso di lavoro, ma dopo che la figlia sorda ha avuto bisogno di un costoso intervento all’orecchio, non è stato più in grado di permettersi di pagare il denaro per garantirsi che il suo procacciatore gli prolungasse il permesso. 
I lavoratori palestinesi sono costretti a pagare la somma di 2.000 – 2.200 NIS al mese ai loro procacciatori di lavoro, in modo che questi procurino loro i permessi di lavoro. Le autorità competenti non sollevano un dito per porre fine a questo sfruttamento. Quando lavora legalmente, Amla spende la maggior parte del denaro per questa tangente e per i costi del viaggio. Ogni volta che entra di nascosto in Israele , la cosa gli costa 200 NIS e quando è privo di permesso, il ritorno a casa costa 100 NIS. Per un lavoratore l’affitto è di 500 NIS al mese. E per una giornata di lavoro i salari di Amla sono di 200 – 250 NIS. Dice che, dopo aver dedotto le spese, gli restano 1.500 NIS al mese – e per una tale cifra tutto quel rischio non vale la pena. 
Talvolta viene catturato, e, in questa occasione, i soldati gli hanno pure lanciato addosso i cani. E’ una prassi che era in uso fino a meno di due anni fa. Si pensava che non ci fosse più, ma a quanto pare è tornata in auge. 
Di norma, Amla resta in città per una settimana o due, in un alloggio miserabile di Ha’aliyah Street nella zona meridionale di Tel Aviv, che condivide con altri sei lavoratori palestinesi. Poi ritorna a casa per trascorrere il fine settimana con la sua famiglia. Vive nella località di Beit Ula, ad ovest di Hebron, ed è solito introdursi di nascosto in Israele attraverso un varco nella barriera di separazione nei pressi del villaggio di Ramadin. 
Circa un mese fa, lui e due suoi amici decisero di sfidare la fortuna passando attraverso un’apertura diversa – una, nella zona della West Bank proprio di fronte a Beit Guvrin, che era stata tagliata nel reticolato molto tempo fa e che nessuno si era preso la briga di riparare. Un sistema ben lubrificato di procacciatori e di autisti, su entrambi i lati della barriera, trasporta gli operai ai loro posti di lavoro. Se vengono catturati, il fatto si conclude di solito con i lavoratori che vengono fatti ritornare sull’altro lato del reticolato. Talvolta devono pagare una multa di 1.000 – 3.000 NIS. Una volta Amla venne condannato a tre mesi di carcere per il crimine di residenza illegale. 
Nella West Bank, le difficoltà di portare a casa i soldi per il sostentamento, per mancanza di un’altra fonte di guadagno, costringono migliaia di giovani ad attraversare il confine ogni notte. Lo stesso successe la sera del 15 maggio. Anche se il permesso di lavoro di Amla era ancora valido, il procacciatore glielo aveva sequestrato perché non aveva pagato la tangente per il mese successivo. In assenza di altra alternativa, egli decise di entrare ancora di nascosto in Israele 
"Avevamo paura" 
Quelli che attraversano illegalmente il confine lo consigliarono di farlo di sera. Alle 6:30 circa del pomeriggio, se ne andò da casa insieme a Jihad e Omar, suoi compagni di lavoro di Beit Ula. Poco dopo giunsero al reticolato, nel quale, al momento, c’erano due larghe aperture di 3-6 metri di diametro. I tre giovani aspettarono qualche minuto per essere certi che non ci fossero soldati nell’area – "per vedere chi-cosa-dove," come la presenta – e quindi cominciarono a camminare velocemente verso l’apertura. 
Ancor prima che riuscissero ad attraversare la barriera, da otto a dieci soldati sbucarono da un nascondiglio, dove erano rimasti in attesa di tendere un’imboscata a coloro che si fossero infiltrati. I soldati gridarono loro di fermarsi, altrimenti avrebbero sparato e li avrebbero uccisi. Amla racconta che i tre cercarono di correre indietro. "Avevamo paura," confessa. 
I soldati cominciarono a sparare loro pallottole di gomma, e poi dal lato palestinese della barriera saltò fuori un altro gruppo di sette soldati. Erano mascherati e accompagnati da cani. I giovani, spaventati, cercarono di continuare la fuga, indietro, verso il loro villaggio, e a quel punto i soldati aizzarono i cani contro di loro. 
"Il cane mi balzò addosso," racconta Amla, "mi afferrò con forza, mi mise le zampe sulla schiena e poi mi azzannò con i denti anche al collo. Non aveva la museruola alla bocca. Caddi a faccia in giù. Soffocavo. Mi sentivo di morire, di morire. Una sofferenza incredibile. E gridavo ai soldati: "Tenetelo [il cane], liberatemi", e loro non ne facevano di nulla. Erano a soli 100 metri. Cercai di liberarmi del cane. Gli tenevo la testa, ma lui manteneva la presa su di me con una forza maggiore. 
"Dopo almeno sette minuti, i soldati si avvicinarono e allontanarono il cane da me. Li sentii parlargli per placarlo. E occorsero altri due minuti prima che il cane mi mollasse il collo e in bocca gli rimase solo la mia maglietta. Il soldati mi dissero di togliermela. Tutta la schiena era piena di sangue e mi faceva male, e mi sentivo come fossi morto. E all’altro giovane, Omar – un cane gli aveva azzannato la mano, e Jihad si era preso una pallottola di gomma alla gamba. 
"Dopo che i soldati staccarono il cane da me, mi legarono le mani dietro con manette, molto forte. Un soldato mi mise la gamba sulla schiena mentre ero ancora sdraiato a terra e un altro mi calciò alle costole. La mia faccia era a terra e loro mi prendevano a calci. Ci misero una benda agli occhi e ci portarono alla loro jeep. Ci condussero alla loro base a Tarqumiya. Omar strillò: "La mia mano," e io gridai: "La mia schiena e il mio collo." In seguito, arrivò un soldato – dall’apparenza un paramendico – e mi mise una pomata sulla schiena. Un’ora e mezza dopo, giunse un’ambulanza e portò me e Omar al Barzilai Medical Center di Ashkelon. Verso la mezzanotte, rilasciarono Jihad al checkpoint di Tarqumiya dopo che questi aveva detto loro di soffrire di dolori al petto." 
I due feriti vennero portati all’ospedale bendati e ammanettati. I medici li esaminarono, li fasciarono e dettero istruzioni perché fossero ricoverati nel reparto chirurgico dell’ospedale. Amla venne messo in un letto, ma non c’era posto per Omar, che venne costretto a starsene seduto per tutta la notte su una sedia a rotelle. Non venne permesso loro di telefonare a casa. I medici prescrissero che venissero ricoverati per 24 ore, ma 12 ore dopo, a mezzogiorno, vennero prelevati dall’ospedale. 
Amla racconta di essere stato seduto ammanettato per circa sette ore su una panca all’esterno dell’ospedale, insieme a un soldato che doveva fargli la guardia, fino all’arrivo del mezzo che li avrebbe evacuati. Dice di aver sofferto molto per le sue ferite. Il certificato di dismissione del Barzilai Medical Center riportava: "Referto principale: morso di cane. Enfisema sottocutaneo sparso sul collo ed estrusione di….morsi nella parte posteriore del cranio, sul dietro del collo….ferite aperte….una ferita invasiva nella parte posteriore del collo." 
I due vennero portati alla stazione di polizia di Kiryat Arba. All’1:00 di notte, Amla ricevette un ordine di comparizione a un processo fissato per dicembre. La polizia dichiarò che avrebbero potuto essere rilasciati qualora avessero versato una cauzione di 1.000 NIS per ciascuno. Loro non avevano una somma di tale entità, per cui telefonarono al villaggio, ai loro amici, che arrivarono alle 4:30 con il denaro per la cauzione. "Yalla, vai", disse il poliziotto, e loro andarono in auto direttamente al Al-Ahli Hospital di Hebron, dove Amla venne ricoverato per altre 24 ore. Musa Abu Hashhash, un ricercatore sul campo per B’Tselem che lo ha visitato costì, ha raccolto la sua testimonianza e ha fotografato le sue ferite. 
Questa settimana, il portavoce dell’IDF ha riferito ad Haaretz che la faccenda è all’esame. 
Le ferite devono ancora guarire. Amla cammina piegato; una spalla è inclinata. Di notte, non riesce a trovare una posizione comoda. I soldati gli dissero che era un "kalb alman", termine arabo per "canelupo tedesco" – cioè un pastore tedesco. A dicembre inizierà il processo, ma per ora egli cerca un modo per fare causa a coloro che gli aizzarono contro i cani. Dice che, nel prossimo futuro, non tenterà di recarsi di nuovo sul suo luogo di lavoro. E’ tuttora inabile al lavoro fisico e, soprattutto, è tremendamente spaventato 
(tradotto da mariano mingarelli)


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