Giorgio Canarutto :Ebraismo e democrazia


   Il parlamento israeliano ha recentemente approvato una legge contro chi si pronuncia per il boicottaggio delle colonie. Non viene punito direttamente chi si esprime contro gli insediamenti ma l’obiettivo che questi siano zittiti viene ugualmente raggiunto. Con questa legge i coloni possono dichiararsi danneggiati da campagne per il boicottaggio dei prodotti delle colonie e ottenere compensazioni da chi ha sostenuto il boicottaggio senza dover neppure dimostrare l’effettiva sussistenza di un danno.
Zvi Schuldiner su Il Manifesto del 16 luglio ha bene illustrato che la nuova legge israeliana premia chi viola la legge internazionale, la IV Convenzione di Ginevra, che vieta di trasferire popolazioni all’interno di territori occupati e di confiscare beni degli occupati mentre punisce chi esprime il proprio pensiero, un diritto riconosciuto come fondamentale da tutte le democrazie moderne.
Oltre alla mancanza di diritti politici, nazionali e sociali dei palestinesi dei territori e alla discriminazione della popolazione palestinese con cittadinanza israeliana Schuldiner cita altre ingiustizie; tra queste la distruzione di villaggi beduini nel Negev, una legge che permette agli abitanti di piccoli centri di stabilire criteri di accettazione dei residenti e di respingere coloro che non li soddisfano. I primi che potrebbero essere esclusi sono appunto i cittadini israeliani di origine palestinese. Aggiungo all’elenco una notizia di poche settimane fa. Il rabbino capo di Kiryat Arba e di Hebron, Dov Lior, ha scritto la presentazione di un libro in cui si incita all’uccisione di non ebrei. Questo individuo dopo un breve colloquio con le autorità di polizia è stato lasciato libero senza né addebiti né perdita di incarichi.
Ahmad Tibi sul New York Times del 28 luglio scrive di rischiare di essere citato in un tribunale civile israeliano perché ha affermato e continua ad affermare che la colonia di Ariel è illegale e dovrebbe essere smantellata. Dice che la richiesta di danni potrebbe ridurlo in bancarotta. In quell’articolo Tibi cita un editoriale di Haaretz che definisce la legislazione antiboicottaggio “un atto politicamente opportunistico ed antidemocratico” [..], che “accelera il processo di trasformazione del codice legislativo israeliano in un disturbante documento dittatoriale”. Penso che il boicottaggio sia uno dei pochi strumenti pacifici in mano ai palestinesi per combattere l’esproprio delle loro terre e, che, aumentate le difficoltà per chi in Israele sostiene il boicottaggio delle colonie, sia giusto farlo dall’estero. Concordo inoltre con Tibi e il citato editoriale di Haaretz per i rischi della democrazia in Israele.
Questi argomenti ben raramente sono oggetto di articoli della stampa italiana ed in particolare di quella ebraica; lo sono ancor meno di discussione aperta. Ritrovo l’indifferenza descritta da Moravia nel suo romanzo dell’epoca del delitto Matteotti. La sinistra che negli anni ’70, ’80, ’90 fino all’omicidio Rabin si schierava per il ritiro dai territori si è zittita. Faccio un’ipotesi sulle cause. All’inizio chi era contro l’occupazione si raffigurava come controparte i coloni; più recentemente lo Stato e il rabbinato (o almeno una sua larga parte) si sono schierati per il mantenimento ed il sostegno delle colonie.
Negli anni della scuola dell’obbligo mi è stato insegnato un ebraismo incentrato sui comandamenti etici e morali. Associo all’ebraismo l’insegnamento di non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Ora acqua e terra vengono allocati discriminando in base all’appartenenza etnica, prevale un ebraismo che propugna la propria primogenitura. In Italia le Comunità sono in prima fila a sostenere la laicità delle istituzioni mentre tacciono sui privilegi ai religiosi in Israele e sulle discriminazioni su base etnica.
Essere contro le colonie vuole dire mettersi contro il governo e i rappresentanti ufficiali dell’ebraismo, rischiare di essere tacciati di tradimento, di essere ebrei che odiano sé stessi, antisemiti. Ultimamente sono stati attaccati rappresentanti autorevoli dell’ebraismo italiano quali Moni Ovadia e Giorgio Gomel perché non allineati col pensiero dominante .
Si decide chi è amico o nemico di Israele in base al sostegno al suo governo ed alle colonie. Non ci si fa scrupolo di accogliere con tutte le onorificenze i razzisti e le destre peggiori. Si fa strada un ebraismo monodimensionale, che non fa domande, uniformato, dogmatico, all’opposto di quello che è il suo patrimonio tramandato nelle generazioni, di essere vitale e fonte di conoscenza.
Giorgio Canarutto

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