Suad Amiry: il calvario delle donne palestinesi



ROMA - Non se ne parla quasi mai quando si affronta la “ questione palestinese. Le cronache ci raccontano di lunghe trattative con gli israeliani, di bombardamenti, morti, stragi, di insediamenti dei coloni nei territori palestinesi, delle privazioni anche materiali di un popolo .Ma la questione sociale e in particolare i riflessi di una situazione drammatica sulla vita delle persone rimangono in secondo piano.In particolare la condizione delle donne è praticamente ignorata dai media. Ne parliamo in questa intervista con Suad Amiry' una architetto palestinese, fondatrice e direttrice del Riwaq Center for Architectural Conservation a Ramallaah. Nel 2003 pubblica il suo primo libro “ Sharon e mia suocera”, nato da una risistemazione di email personali scritte nel 2001 durante l'assedio Israeliano al quartier generale di Arafat a Ramallah. Con uno stile semplice e ironico, racconta sfatando stereotipi e vittimismo, il quotidiano calvario che una donna colta e spiritosa vive nella Palestina occupata. Vincitrice del premio Viareggio nel 2004, recentemente ha pubblicato “Niente sesso in città” (2007) e l'ultimo romanzo-reportage“Murad Murad” (2009).Oltre ad essere architetto e scrittrice lei è anche una donna impegnata politicamente...Quando penso a me stessa mi identifico sempre con la generazione del OLP, un movimento che attrasse persone da tutte le classi, professionisti, intellettuali e chiamò le donne alla partecipazione. Noi non abbiamo vissuto solo una rivoluzione politica, ma anche e soprattutto sociale. Appartengo ad una generazione che è veramente secolare, sfortunatamente ho sentito che con le elezioni di Hamas questo movimento ha fallito nel suo programma di laicità. Ho speso trenta anni della mia vita combattendo contro la stereotipizzazione del popolo palestinese. Ecco, con Hamas mi è parso che ne avrei dovuti spendere almeno altri trenta. Se me ne restano ovviamente!In che senso nel suo libro “Niente sesso in città” parla di una “Palestina climaterica”?La menopausa è per la donna un età problematica. Vai incontro a molti cambiamenti, nel tuo corpo e nelle tue emozioni. Inizi a perdere il controllo, ti senti confusa, depressa. Ecco io credo che l'OLP, che ha governato la Palestina per 42 anni, con la vittoria di Hamas nel 2006 non ha solo perso il potere, ma e' diventata un organizzazione confusa, che non sa dove sta andando, che ha perso fiducia in sé stessa e non si sente più “attraente”. Nel mio libro il tema della menopausa simboleggia sia la perdita di potere e sicurezza di Fatah, sia l'oppressione sulla società palestinese della terribile agenda sociale di Hamas.Agenda sociale che colpisce in particulare modo le donne. Ritiene che sia cambiata negli anni la posizione della donna?Io personalmente non posso lamentarmi di essere discriminata come donna, non posso dire che negli uffici non venga presa seriamente in quanto donna. La questione innanzi tutto e' che non c'è una tipica donna palestinese, dipende dalla classe sociale e dal livello di istruzione. Ma anche le donne rurali, venti anni fa erano molto più liberali di quanto lo sono oggi. Dalla prima e seconda intifada le donne hanno pagato un alto prezzo. Quando c'è povertà il lavoro va agli uomini, quando ci sono i check point i genitori hanno paura di mandare le loro figlie in giro, e quindi anche a scuola. Uscire diviene pericoloso, rimani a casa, non studi. E cosa fai? Ti sposi prima. Ecco il deterioramento dell'economia e dell'occupazione, in tal modo si è riflettuto principalmente sulle donne, è a loro che è stato tolto di più.Spesso per spiegare le origini del consenso di Hamas ci si riferisce ad una maggiore disponibilità economica e alla presenza sul territorio con strutture assistenziali. Lei crede sia abbastanza per spiegare la vittoria?La questione è che con Oslo c'era un chiaro programma politico che prevedeva il riconoscimento di Israele e la creazione di uno stato palestinese. Credo che Hamas abbia vinto perché si e' presentato nel momento in cui l'OLP ha fallito nel suo programma di creare uno Stato. Ora la comunità internazionale si preoccupa che Hamas non riconosce Israele, ma Arafat aveva riconosciuto Israele e non è stato aiutato nella costruzione di uno Stato palestinese. Pensa che ci sia un modo per sottrarre il potere ad Hamas?Se venisse una soluzione politica dalla comunità internazionale, l'OLP riguadagnerebbe consenso. Non vi è altra soluzione se non un’iniziativa di pace che per noi significa lavoro, istruzione, movimento. Pace vuol dire sviluppo, vuol dire creare una nostra propria economia che Israele non ci sta permettendo di avere.Cosa significa per lei vivere sotto occupazione, in un territorio continuamente interrotto dai check point?Israele ha davvero cambiato la nostra concezione del tempo mettendo check-point ovunque. Se tu devi mettere cosi tanta energia per andare da qualche parte, non ci vuoi più andare. Da piccola andavo a Nablus ogni giorno, ora non ci vado da tre anni. Non possiamo incontrarci e dimostrare insieme perché non ne abbiamo la forza. Utilizziamo tutta l'energia per noi stessi, per sostenerci quotidianamente e non collassare. L'occupazione ha sconnesso le persone in questo modo, ci ha reso immobili. Io ti sembro normale, ma non lo sono, anche nei miei viaggi in Italia, ad esempio quando mi sposto per raggiungere un appuntamento, porto con me un’ansia dentro che le persone non capiscono.

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