Il fattore israeliano nell’aggravarsi della crisi iraniana
Il fattore israeliano nell'aggravarsi della crisi iraniana
a questione iraniana è di nuovo al centro dell’attenzione internazionale a causa della controversia fra i paesi occidentali e Teheran riguardo all’arricchimento dell’uranio iraniano e alla possibilità di un suo trasferimento all’estero.
Queste trattative sono affiancate dalle indiscrezioni sui preparativi militari per un possibile attacco all’Iran e per contrastare le possibili risposte iraniane su più fronti.
Tutto ciò riporta in primo piano l’interrogativo sulle possibilità di arrivare a un accordo o allo scontro militare con Teheran.
Il fattore israeliano è estremamente importante in questa crisi fra l’Occidente – e Washington in particolare – e l’Iran. Nella regione mediorientale, Israele è l’unico stato in possesso di un arsenale nucleare. Ma l’Occidente non presta alcuna attenzione ai pericoli che questo comporta, mentre invece impedisce a qualsiasi paese arabo o islamico di entrare in possesso di armi atomiche.
E non ha alcun valore la scusa sulla quale l’Occidente basa questa sua posizione, cioè il fatto che Israele sarebbe uno “stato democratico alleato” del quale ci si può fidare. Molti paesi mediorientali hanno infatti rapporti privilegiati con l’Europa e con gli Stati Uniti, ma ad essi non è permesso possedere armi nucleari.
Forse il miglior esempio a questo proposito è la Turchia, la quale fa parte della NATO ed è governata da un regime laico e democratico; ma ad essa l’Occidente impedisce di entrare nel club nucleare.
Israele ora spinge perché si giunga a un confronto militare con l’Iran. Nel caso in cui si dovesse arrivare a questo, Israele porterebbe a compimento i “successi” che ha realizzato finora a partire dall’11 settembre 2001 sotto la bandiera della “guerra al terrore islamico”.
Israele ha infatti sempre da guadagnare da qualsiasi conflitto che avviene tra l’ “Occidente” e l’ “Oriente”, perché ciò rafforza il suo ruolo (in primo luogo sotto il profilo della sicurezza) nei confronti dei grandi paesi occidentali, primi fra tutti gli Stati Uniti.l confronto militare fra l’Occidente e l’Iran causerà grave distruzione a entrambe le parti, e coinvolgerà numerose città arabe. La catastrofe colpirà anche le ricchezze petrolifere e finanziarie arabe, e le sue conseguenze potrebbero portare a una riduzione delle forze armate americane nella regione. Gli Stati Uniti dipenderebbero allora in misura ancora maggiore dalla forza militare israeliana in Medio Oriente.
L’escalation della crisi, e il confronto militare con l’Iran, sono destinati a creare un clima di conflitto interno in molti paesi arabi, da cui potrebbero nascere delle guerre civili che sconvolgeranno questi paesi, favorendo ulteriormente il progetto israeliano nella regione, che punta alla creazione di staterelli su base etnica e confessionale facilmente controllabili da Israele.
Secondo i calcoli israeliani, Israele sarà certamente colpito dagli attacchi militari dell’Iran e dei suoi alleati nella regione, ma sicuramente in misura minore, sia sotto il profilo militare che economico e finanziario, e sarà il paese che ne trarrà maggior vantaggio a livello politico e strategico, poiché l’entità israeliana rimarrà unita, ed anzi maggiormente in grado di rafforzare gli insediamenti nei territori occupati e la pratica del trasferimento forzato dei palestinesi all’interno di Israele e della Cisgiordania, e forse addirittura verso la riva orientale del Giordano – un vecchio progetto caro a Israele, ed in particolare all’attuale classe di governo, quello cioè della “patria alternativa”.Il confronto fra gli Stati Uniti e l’Iran ha aspramente polarizzato il mondo arabo in questi anni. In questo conflitto tutti i mezzi sono divenuti leciti, compresa la mobilitazione settaria e confessionale, la strumentalizzazione dei mezzi di informazione e l’arruolamento delle grandi firme dei giornali al servizio di questa o quella parte.
Alla fine, alcuni attori arabi, per interessi diversi, sono divenuti strumenti del conflitto, ed i loro paesi sono candidati a diventare i campi di battaglia di questo scontro. Ma le “questioni” regionali per le quali si combatte sono forse questioni “straniere” che non riguardano gli arabi, e che non interessano i loro governi ed i loro popoli?
Le radici della questione irachena risalgono alla guerra che il precedente regime di Saddam Hussein dichiarò contro l’Iran reduce dalla Rivoluzione che aveva rovesciato il regime dello scià; così come risalgono alla teoria del “doppio contenimento” adottata da diverse amministrazioni a Washington, e in base alla quale l’amministrazione Reagan sosteneva allo stesso tempo il governo iracheno e i contratti per la vendita di armi all’Iran, affinché le due parti si dissanguassero a vicenda.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che si è riunito più volte per studiare l’applicazione di nuove sanzioni all’Iran (sebbene l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica [AIEA] non abbia ancora smentito le affermazioni di Teheran secondo cui il suo programma nucleare ha scopi pacifici), non si riunisce per studiare le conseguenze della minaccia nucleare israeliana, o per esaminare la questione palestinese, così come negli anni passati non si è riunito per definire il destino della “questione irachena”.
Queste ultime due questioni sono infatti sotto la “tutela” americana diretta, o sotto l’occupazione israeliana. Questioni di questo genere non vengono esaminate dal Consiglio di Sicurezza! Il denominatore comune dell’Iraq e della Palestina è che l’occupazione israeliana si rifiuta di applicare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e delle Nazioni Unite, mentre l’occupazione americana in Iraq si rifiutò nel 2003 di rimettersi all’autorità del Consiglio di Sicurezza prima dell’invasione militare!E’ vero, la “questione iraniana” è una faccenda sulla quale è importante che i governi arabi si soffermino, soprattutto alla luce di dichiarazioni ed azioni iraniane che suscitano timori e preoccupazioni nei paesi arabi del Golfo. Tutto ciò rende legittimo anche l’interrogativo sull’entità delle ingerenze iraniane negli affari iracheni.E’ vero, la “questione iraniana” è essenziale per l’amministrazione Obama in relazione all’Iraq e all’Afghanistan, ma anche per il destino del conflitto arabo-israeliano e per le conseguenze estremamente negative per il Medio Oriente e per il mondo che potrebbero derivare da un ulteriore incancrenirsi di questo conflitto. E’ vero, l’amministrazione Obama forse non commetterà una follia che non commise nemmeno l’amministrazione Bush, malgrado tutta la sua avventatezza e malgrado le pressioni israeliane.Tutto questo è vero. Tuttavia gli arabi si trovano a dover scegliere fra due alternative: o puntare sulla solidarietà e sull’unificazione nazionale araba, ponendo le basi di una visione araba condivisa per rapportarsi con tutte le potenze internazionali e regionali interessate al Medio Oriente, o fare il gioco di Israele, con tutto quello che ciò comporterà in termini di devastante frammentazione dei popoli, degli stati e delle ricchezze arabe.
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