Uri AvneryUNA MARCIA REPRESSA, UN ALTRO ‘MURO DELL'APARTHEID' E...UN CONTESTO PESANTE

“Qualcosa di stravagante, quasi bizzarro, sta accadendo in Egitto in questi giorni”: comincia così l’ultimo articolo dell’ex-parlamentare e uomo di pace israeliano Uri Avnery intitolato “Il Muro di ferro” in cui si ricapitolano notizie e avvenimenti degli ultimi giorni in gran parte ignorati o quasi ‘nascosti’ dai principali mezzi d’informazione, tutti concentrati sulla possibile nuova svolta della cosiddetta ‘guerra al terrorismo’, partendo questa volta dalle più remote montagne dello Yemen e dalla chiusura delle ambasciate americana e inglese a Sana’a. “Circa 1400 attivisti di tutto il mondo (venivano da almeno 42 diversi paesi, Italia inclusa con 140 partecipanti, ndr) si erano riuniti in Egitto nei giorni scorsi per raggiungere la Striscia di Gaza; per l’anniversario della guerra nota come ‘Piombo fuso’ (che in 22 giorni tra Dicembre 2009 e Gennaio 2009 aveva fatto 1400 vittime palestinesi e 13 israeliane, oltre a 100.000 senzatetto, ndr), intendevano partecipare a una dimostrazione non violenta contro il blocco che rende insopportabile la vita del milione e mezzo di abitanti della Striscia. Simultanee proteste dovevano svolgersi in altre località, Tel Aviv inclusa...”. L’emittente televisiva araba ‘Al Jazira’ e qualche agenzia di stampa ricordava sinteticamente ieri la manifestazione svoltasi Sabato in piazza Rabin, al centro di Tel Aviv. Nota come “Gaza freedom march”, la marcia è stata accolta da una sorpresa: “Il governo egiziano - scrive Avnery - ha vietato il viaggio a Gaza. Gli autobus sono stati fermati alla periferia del Cairo e respinti. Coloro che avevano raggiunto il Sinai con autobus di linea sono stati costretti a scendere. Le forze di sicurezza egiziane hanno condotto una vera caccia all’attivista”. Avnery descrive quindi i tentativi dei manifestanti di farsi sentire dalle loro ambasciate al Cairo e la mobilitazione egiziana contro di loro. “Alla fine - precisa l’articolo - dopo un incontro con la moglie del presidente egiziano, si scelse una soluzione tipicamente egiziana: a un centinaio di attivisti venne permesso di raggiungere Gaza. Gli altri rimanevano al Cairo, increduli e frustrati”. Altre fonti precisano che a ottenere il permesso erano state non più di 84 persone, soprattutto americani, in particolare dell’associazione ‘Code Pink - Women for Peace”, forse per i buoni uffici della signora Mubarak. In uno dei rari articoli dedicati alla marcia (sul quotidiano italiano “La Repubblica”), Ariel Vegasen di Code Pink dice: "Gli egiziani hanno attuato un'azione repressiva intensa e molto dura che purtroppo ha creato tensione e spaccato il gruppo”. Quelli che sono entrati a Gaza hanno percorso comunque sì e no un centinaio di metri, restando ben lontani dal valico di Eretz, principale punto d’ingresso e di uscita da Gaza per i pochi ‘privilegiati’ che hanno a volte da Israele il permesso di servirsene (qualche paziente, medici, giornalisti, diplomatici e gruppi umanitari). “Mentre i dimostranti cercavano di calmarsi nelle strade del Cairo - scrive Avnery - il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu veniva ricevuto da Hosny Mubarak nel palazzo presidenziale al centro della capitale” con lodi sperticate per il contributo alla pace “soprattutto per il ‘congelamento’ degli insediamenti in Cisgiordania, un gesto fasullo che non include Gerusalemme est. Mubarak e Netanyahu si sono incontrati in passato ma non al Cairo... l’invito al Cairo è quindi un elemento significativo di relazioni sempre più strette. Come regalo speciale al suo ospite, Mubarak ha anche permesso a centinaia di israeliani di recarsi in Egitto per pregare sulla tomba del rabbino Yaakov Abu-Hatzeira, morto e sepolto in Egitto 130 anni fa mentre viaggiava dal Marocco alla Terrasanta. C’è qualcosa di simbolico in tutto questo: il blocco degli attivisti pro-palestinesi sulla strada di Gaza in contemporanea con l’invito degli israeliani”. Israele, ricorda Avnery, riesce ad attuare il suo blocco soltanto su tre lati della Striscia di Gaza, incluso l'accesso dal mare, ma il quarto è il confine con l’Egitto sulle cui gallerie sotterranee il Cairo aveva finora chiuso un occhio. (continua) [CO]
http://www.misna.org/news.asp?a=1&IDLingua=2&id=263432
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I tunnel, quasi sempre ricordati solo per il passaggio di armi, servono in realtà agli abitanti di Gaza per attenuare il rigore del blocco e consentire rifornimenti di merci indispensabili alla sopravvivenza quotidiana. Secondo gli ultimi dati disponibili dell'Unwra, organismo dell'Onu per i profughi palestinesi, nella seconda settimana di Dicembre sono entrati a Gaza 615 camion di provviste alimentari e di altra natura, pari ad appena un quarto di quelli che garantivano forniture regolari prima del 2007. Ma su quel quarto sforacchiato confine finora in qualche modo permeabile (per merci, persone e armi), “l’Egitto - ricorda Avnery - ha cominciato a costruire un muro di ferro - alla lettera - composto di grandi pali d’acciaio profondamente conficcati nel terreno per bloccare i tunnel. Ciò finirà con il soffocare in maniera definitiva gli abitanti”. Passando in rassegna diverse spiegazioni per questa decisione egiziana, Avnery ricorda: 1) il Cairo riceve ogni anno da Washington un sussidio di due miliardi di dollari che la lobby pro-Israele del parlamento americano può bloccare in qualunque momento; 2) Mubarak ha paura di Hamas e ancor più dei suoi rapporti con la Siria e l’Iran che configurerebbero un asse contrario a quello costituito da Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Cisgiordania guidata da Mahmoud Abbas, a sua volta forse interessato a rafforzare il blocco di Gaza per indebolire Hamas; 3) Mubarak è adirato con Hamas che si rifiuta di aderire alle sue indicazioni. Avnery sottolinea: “Ma come si permettono i palestinesi, piccolo popolo oppresso, di rifiutare il ‘consiglio’ del Grande Fratello?”. Tutte spiegazioni possibili per una politica che però è “molto pericolosa”, anche in considerazione del fatto che comunque non può essere ben vista da centinaia di milioni di arabi, un miliardo e 250 milioni di musulmani e perfino da milioni di egiziani “che si vergognano della partecipazione del loro paese alla morte per fame di altri arabi”. Perché Mubarak lo fa? La risposta di Avnery è che il presidente egiziano probabilmente non ha scelta. Perché, considerato anche il forte orgoglio nazionale, si trova oggi - non essendo più il leader incontrastato del mondo arabo-musulmano in cui emergono ormai Arabia Saudita, Iran e perfino Dubai - in una “brutta situazione”. E quindi, secondo l’ex-parlamentare israeliano, “Mubarak non ha altra scelta che seguire gli ordini degli Stati Uniti che in realtà sono ordini di Israele. E’ così che si spiega davvero la partecipazione dell’Egitto al blocco di Gaza”. Dopo aver ricordato la sua personale simpatia per il popolo egiziano e la “pazienza leggendaria” che in migliaia di anni di storia trova smentita in non più di tre o quattro rivolte popolari, Avnery ne sottolinea un altro aspetto, il senso di rassegnazione che, a suo avviso, incide negativamente sul progresso economico, sociale e politico. E conclude: “Sembra che il popolo egiziano sia disposto ad accettare tutto. Dagli antichi faraoni fino a quello attuale, i suoi governanti hanno incontrato poca opposizione. Ma potrebbe venire il giorno in cui l’orgoglio nazionale avrà la meglio sulla pazienza. Come cittadino d’Israele, protesto contro il blocco israeliano. Se fossi un egiziano protesterei contro il blocco egiziano. Come cittadino del pianeta, io protesto contro entrambi”. (continua)[CO]
http://www.misna.org/news.asp?a=1&IDLingua=2&id=263439

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