Amos Oz : " Altro che discorso ingenuo, ha parlato al cuore di tutti "



«È stato un grande discorso. Uno di quelli che restano nella storia. Obama lo sapeva e infatti ha dato i toni e i con tenuti che ci si aspettano da un presi dente americano. Mi ha impressionato per la capacità di dosare tutti gli ele­menti. Ha dato un’impressione di gran dezza, altro che discorso ingenuo e naif. È volato sopra le piccole dispute politiche, sopra le rivendicazioni del l’ultima settimana. Ha allargato l’oriz zonte. È stato un componimento mol to ben armonizzato in cui ha lasciato spazio al cuore. Ha parlato col cuore: ai musulmani, agli ebrei, agli arabi. Con equilibrio. Dimostrando uno studio molto profondo di ciò che unisce e ciò che divide».
Se dopo il Cairo, dice un sondaggio appena sfornato, il 53% degl’israeliani ha paura dell’uomo nero venuto da Chicago — «sarà un problema per Isra ele » —, Oz sta con l’altro 47. Lui che si cambiò il nome da Klausner in Oz, che vuole dire forza, è convinto che «un ri sultato è possibile perché la forza, Oba ma, ce l’ha. La volontà, anche. Sono le due cose che servono a un leader». Lo scrittore non si sente turbato dalla «gaffe» che perfino Avigdor Lieber man rinfaccia al presidente Usa, l’aver paragonato la Shoah alla tragedia pale stinese: «Io l’ho seguito con cura. Sta­mattina me lo sono anche riletto passo passo. Obama non ha fatto nessun pa rallelo fra la Shoah e la Nakba palesti nese. Lui ha ricordato all’Iran, e l’ha ri fatto nei lager tedeschi, che l’Olocau sto non può essere negato, perché que sto è un delitto contro l’umanità. Ma ha detto anche a Israele che non si può negare la sofferenza dei palestinesi. Non ha paragonato due tragedie, ha pa ragonato due negazioni. Queste accu se nascondono altro. Che ci sono due tipi d’israeliani: chi vuole vivere in pa ce coi vicini arabi e tornare ai confini prima del 1967, chi vuole che resti tut to com’è».
Raccontano che Netanyahu alla fi ne non l’abbia presa malissimo. Che s’aspettava peggio: «Non mi ha preso a mazzate da baseball», avrebbe com mentato.
«Meno male che ci crede. Netan yahu ora dovrà inventarsi qualcosa. Non può più tergiversare, deve dire chiaramente con chi sta. Vuole ridiscu tere i confini del 1967 o no? Prima che all’America, deve dirlo agl’israeliani. Il problema è che non ho affatto idea di che cosa risponderà. Non ce l’ho io e, quel che è peggio, temo non ce l’abbia neanche lui. Serve una risposta in tem pi brevi, però. Qui ormai si ragiona per settimane. Non so se ci sarà un terre moto politico in Israele. Tutto può ac­cadere, adesso».
Piccolo retrosce na. Dopo il discorso ufficiale, in una sala dell’università cairo ta, Obama ha convo cato sei giornalisti per un'intervista. C’erano un israelia no, una palestinese, un egiziano, un sau dita, un malese e un indonesiano. Aveva invitato anche un si riano e un libanese sciita, ma questi due hanno rifiutato: allora l’asse del ma le c’è ancora?
«Qualcuno confonde il dialogo con la debolezza. Sul fronte palestinese, per esempio, mi sembra sia piuttosto chia ro che Obama abbia deciso di lasciar fuori Hamas, finché non riconosce lo Stato d’Israele. Della rappresentanza politica, ricevendolo pure a Washin gton, ha investito Abu Mazen. Anche con l’Iran, Obama vuole evitare ogni fronte polemico. La sua strategia è evi tare ogni accenno alla forza, almeno per adesso. In altre occasioni, l’ha già detto: volete o no un dialogo? Non mi sembra che ci sia stata una risposta negativa e immediata. Ha risposto Hezbol lah, e male. Ma Hezbollah non è l’Iran. Bisogna aspettare. Certo, non c’è da es sere ottimisti. E se l’Iran risponderà in modo negativo, è chiaro che l’approc cio cambierà. Ma il suo è stato un di scorso ufficiale. Solenne. E merita una risposta ufficiale. Altrettanto solenne».
dal Corriere della sera del 6 giugno

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